l'esodo

martedì 31 Gennaio, 2023

La fuga dei migranti: Inghilterra, Canada ma anche rientro nei Paesi d’origine

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Quasi mille stranieri hanno lasciato il Trentino nel corso dell'ultimo anno. Cuellar, presidente dei colombiani: «Molti hanno qualifiche non riconosciute e vanno altrove»

Sembra proprio che i cittadini stranieri in Italia non ci vogliano più stare e nemmeno in Trentino (il T di sabato e domenica). L’acquisizione della cittadinanza italiana ha sicuramente un impatto importante sul calcolo degli stranieri presenti in Trentino che sottrae ben 2603 unità alla quota totale di cittadini non italiani. Se consideriamo, però, che a gennaio 2022 la provincia contava 3468 persone in meno rispetto all’anno precedente ne mancherebbero quasi 900 a rapporto. Questo, perché non si tratta di numeri che aumentano e calano senza apparenti ragioni, bensì di vite, di famiglie intere «alla ricerca di una vita migliore – spiega il sociologo di origine irachena Adel Jabbar– che fuggono da Paesi molto instabili sia economicamente che politicamente o da guerre» nella speranza di potersi creare una nuova vita in un posto diverso da quello di origine e che non sempre lasciano volontariamente e con facilità.
I nuovi flussi
Secondo Jabbar, alcuni gruppi etnici sono incentivati a lasciare il Trentino per «raggiungere i familiari residenti in altri Paesi come, per esempio, i pakistani che in questo periodo, soprattutto dopo la Brexit, si stanno affrettando a partire per l’Inghilterra prima che diventi troppo complicato». Anche gli effetti della pandemia, sommati alla crisi economica che affligge l’Italia da ormai qualche mese, sono complici di un’emigrazione di questa fascia di popolazione, anche verso il Paese di origine con un ritorno a casa dove l’aspettativa di vita è molto migliorata rispetto a quando l’hanno lasciata.
La retromarcia dei rumeni
Lo conferma Dan Ion, presidente dell’associazione dei rumeni e segretario del console onorario della Romania in Trentino. Ad oggi la comunità rumena è la più numerosa della Provincia e rappresenta il 22,3% degli stranieri totali. «Negli ultimi quattro anni – dice Ion – abbiamo assistito a una retromarcia dei cittadini rumeni. Laddove qualche tempo fa i salari non erano minimamente in linea con quelli comunitari (circa 600 euro al mese) ora è stato introdotto dal governo un salario minimo universale sotto il quale un lavoratore non può percepire. Paradossalmente sono più avanti dell’Italia. Sono anche migliorate le opportunità di lavoro, soprattutto nelle grandi città, come Bucarest, dove oggi è molto facile trovare un impiego». Molti rumeni, a detta del presidente Ion, si sono spostati anche in Gran Bretagna, spinti senza dubbio da una volontà incessante di miglioramento della propria condizione di vita ma incentivati anche dal lento declino dell’economia italiana.
Pratiche a rilento
Un’ulteriore pecca che fa virare i cittadini stranieri verso altre destinazioni che non siano il Trentino sono le tempistiche elleniche della burocrazia e il mancato riconoscimento dei titoli di studio, come spiega la presidente dell’associazione culturale dei colombiani Dora Cuellar: «Tanti hanno qualifiche molto valide come medici, infermieri, ingegneri che, però, qui non vengono riconosciute e questo ci fa guardare altrove; il Canada e la Francia sono tra le principali destinazioni». Chi rimane, in poche parole, è chi non possiede titoli di studio.
L’ostacolo nell’ultimo decreto
Quindi il problema diventa duplice. Da un lato, la manodopera in calo sul territorio che viene sopperita grazie alla presenza di cittadini stranieri che si prestano con più facilità ad eseguire alcune mansioni specifiche rispetto ai cittadini autoctoni «che –secondo Jabbar– hanno culturalmente aspettative diverse sul piano lavorativo». Dall’altra, il calo di questa forza lavoro che potrebbe essere risolta con i decreti di flusso migratorio emessi dal governo italiano: una «pezza» riparatoria su un pantalone strappato, per usare i termini di Roberto Busato, direttore generale di Confindustria Trento. L’ultimo decreto, emanato proprio il 27 gennaio scorso, però, è una toppa che copre il buco a metà. Infatti, rispetto all’ultima delibera, quest’anno viene introdotta la necessità di verifica da parte del datore di lavoro, presso il Centro per l’impiego, che «non vi siano altri lavoratori già presenti sul territorio nazionale disponibili a ricoprire il posto di lavoro per cui si ha intenzione di assumere la persona che si trova all’estero». Tale richiesta deve essere inoltrata all’ufficio competente attraverso un modulo dedicato. Un ulteriore passo a gambero sull’iter burocratico che, invece che facilitare l’assunzione di personale qualificato, rallenta le procedure e, secondo Veronica Ciubotaru, presidente dell’associazione italo-moldava del Trentino «penalizza chi è già sul territorio ma non può essere iscritto alle liste di collocamento, perché in stato di clandestinità».