L'inchiesta
giovedì 2 Febbraio, 2023
di Benedetta Centin
«Sono contenta che siano state chiuse le indagini preliminari, mi ha emozionato sapere che l’atto è stato notificato alle parti. Quello che accadeva nell’unità operativa di ostetricia e ginecologia dell’ospedale Santa Chiara di Trento è tutto nero su bianco. E certo, senza la scomparsa di mia sorella, non sarebbe venuto a galla quell’ambiente tossico; senza di lei non saremmo arrivati fino a qui. Quello che mi auspico è che ora si vada verso il processo, e non solo per Sara. Perché è giusto che ci debba essere, anche per far decadere il negazionismo. Un processo che possa essere un esempio, uno stimolo, per una coscienza collettiva. Mi auguro poi che a costituirsi parte civile, come faremo noi, ci sia anche l’azienda sanitaria: sarebbe importante». Si affida alla giustizia Emanuela Pedri, la sorella di Sara, la ginecologa di 31 anni originaria di Forlì sparita nel nulla dal 4 marzo del 2021, il giorno dopo aver inviato una lettera di dimissioni all’azienda sanitaria. La parente commenta così la notizia della chiusura delle indagini preliminari da parte della procura di Trento nei confronti di Saverio Tateo, allora primario dell’unità operativa di ostetricia e ginecologia dell’ospedale Santa Chiara, e della sua vice Liliana Mereu, ai quali viene contestata l’accusa di maltrattamenti. Che – è la contestazione – sarebbero stati messi in atto tra 2018 e 2021 in concorso e in modo continuativo, nei confronti dei loro sottoposti (parti offese due ostetriche, cinque infermiere, dodici ginecologhe e due ginecologi), dai due indagati che dovevano dirigere il reparto anche sul fronte della formazione, organizzazione e tutela della salute. Nel capo di imputazione, ventotto pagine in tutto, sono stati contestati dettagliatamente decine di episodi. Una trentina anche solo a carico di una ginecologa, una di quelle sentite in aula davanti al gip nel corso dell’incidente probatorio. Secondo quanto imputa la Procura ai due camici bianchi – che avranno venti giorni di tempo per farsi interrogare o per depositare delle memorie difensive – ci sarebbero state ingiurie, denigrazioni, ma pure percosse, atteggiamenti inquisitori e minacce di sanzioni disciplinari. «Sara era tra le parti maltrattate, è lei che ha dato il via alle indagini ma il tutto non può essere circoscritto al suo solo caso – continua la parente – In quel reparto del Santa Chiara mia sorella ci era arrivata con il massimo entusiasmo e con grande determinazione ma lì l’hanno fatta sentire ingabbiata, inutile, incapace, un peso per tutti. Tanto che era arrivata a vergognarsi pure di prendere lo stipendio». Emanuela Pedri non si trattiene. «Quell’ambiente tossico ha fatto ammalare mia sorella, i segni erano evidenti, erano anche sotto gli occhi dei medici così come è apparso a noi, una settimana prima che scomparisse – insiste la familiare – Sara non stava bene, non mangiava e non dormiva, invece che parlare sussurrava, si era tolta le catenine, gli occhiali. Era irriconoscibile. E quella paura bloccante l’ho vista anche in lei». Quella paura che «assieme alla mancanza di protezione e tutela in reparto, ha portato a muri di omertà, a uno stato di disgregazione» prosegue la forlivese. «Avrò un senso di sollievo se dopo il processo si prenderà coscienza che in tali circostanze è necessario fare squadra, avere una coscienza collettiva; capire che se fanno del male a te lo fanno anche a me e non bisogna voltarsi dall’altra parte».
Le aspettative della famiglia sono anche sulle ricerche (le ultime ad ottobre scorso) che potrebbero riprendere tra marzo e aprile, sempre nel lago di Santa Giustina. «Per noi Sara si trova là sotto – fa sapere la sorella – in quello specchio d’acqua dove ci sono continue perlustrazioni e dove dovrebbero tornare i sub non appena ci saranno le condizioni, quando cioè il livello dell’acqua si abbasserà».