L'intervista
lunedì 6 Febbraio, 2023
di Veronica Ballotta
Gli strumenti ci sono. E sono tanti. Ma riuscire a catturare l’attenzione e spiegare davvero ciò che si fa (e come si innova) non è cosa da tutti. Ed è anche per questo che Luca Barbieri, giornalista ed esperto di innovazione, ha deciso di dare alle stampe il suo ultimo libro «Comunicare innovazione e impresa. Le regole del gioco per far parlare di sé». Un volume, spiega l’autore, che è una sorta di manuale e che giovedì verrà presentato a Trento, all’interno dell’evento «Comunicare l’innovazione. Come distinguere realtà e fake news», organizzato dalla sezione Trentino-Alto Adige dell’Associazione Italiana Formatori (AIF) (alle ore 17 alla libreria La Bookique di Trento).
Insomma, di cosa parla il suo libro?
«Il libro è una sorta di manuale dedicato a ricercatori, imprenditori e startupper, per spiegare loro come funzionano le regole dell’attenzione attraverso i media, e come possono comunicare bene un progetto; l’idea è aiutarli ad avere un impatto positivo maggiore sulla società, mostrando loro come far parlare di più dei propri progetti. Anche perché, le nostre aziende fanno molto bene sui mercati internazionali, ma comunicano poco. Il mio è quindi un tentativo di spronarle in questa direzione, anche per incidere di più sul dibattito pubblico portando al suo interno il tema dell’innovazione. Nel libro metto anche l’accento sulla necessità di verificare quello che si racconta: l’innovazione riceve una grande attenzione da parte di giornali e media, però sotto il luccichio delle startup a volte si nascondono truffe, o verità meno belle di ciò che sembra; è giusto che i giornalisti verifichino queste storie, e che tutti abbiano la giusta attenzione per non farsi ingannare da racconti troppo entusiasmanti».
Nel libro, lei racconta anche quanto sia importante per le aziende il tempo, il trovare il momento giusto.
«Decidere quando comunicare il proprio prodotto o progetto è un tema fondamentale per aziende e startup: se si sbaglia il timing, notizie e prodotti diventano vecchi. Allo stesso modo, se si comunica un prodotto tecnologico troppo in anticipo, si spreca un’attenzione che invece poteva essere capitalizzata. Avviene molto spesso che si comunichi un prodotto che ancora non è pronto per il mercato, e questo crea anche disillusione, perché le persone – vedendo un prodotto non pronto – pensano che tutto il processo sia una bugia, e quindi cala la fiducia nell’innovazione e nella scienza. E’ anche – in parte – quello che abbiamo visto con la pandemia: la comunicazione sui vaccini è stata troppo anticipata rispetto alla loro reale disponibilità per la massa, e questo ha creato anche della sfiducia».
Cosa vuol dire per lei fare innovazione all’interno di un’impresa?
«Secondo me, vuol dire innanzitutto chiedersi se si tratta di un’innovazione con effetti concreti e utili, che rende la società più equa e sostenibile, e che dà spazio alle persone che magari non hanno i mezzi, ma che hanno delle buone idee tecnologiche. Poi, per capire se qualcosa è davvero innovativo dal punto di vista tecnologico, bisogna fare riferimento ad un benchmark internazionale. Ma il primo aspetto su cui punto è la responsabilità sociale dell’innovazione, se questa è davvero utile al miglioramento della società: l’innovazione o ha una ricaduta sociale, o non è vera innovazione».
Anche in Italia è giunto il fenomeno delle grandi dimissioni, per cui moltissime persone si dimettono per cercare condizioni di lavoro più favorevoli.
«C’è una parte dell’imprenditoria che ancora resiste a certi cambiamenti, come lo smart working, che dal punto di vista ambientale ha effetti positivi e, inoltre, spesso permette di risparmiare tempo e lavorare meglio. Io vedo un’incapacità di comprendere le nuove generazioni, che spesso portano avanti valori che la nostra società non ascolta. Anche io sono abituato a lavorare molto, ma riconosco che un equilibrio migliore tra vita e lavoro sia indispensabile. Dobbiamo cambiare l’approccio culturale verso le nuove generazioni, altrimenti la difficoltà di attrarre più giovani in azienda sarà sempre più pressante».
Anche perché, molti giovani – non trovando condizioni di lavoro vantaggiose in Italia – si spostano all’estero.
«Sì, e il fatto interessante è che la fuga di cervelli non è diretta solo verso l’estero: Veneto e Trentino perdono molti immatricolati e laureati verso la Lombardia e l’Emilia Romagna. E – cosa ancora più interessante – da un un rapporto della Fondazione Nord Est è emerso che questo non è dovuto agli stipendi, ma a due dati: in Lombardia e Emilia Romagna, i grandi brand comunicano le possibilità di carriera che offrono al proprio interno, e i territori raccontano le opportunità per i giovani. Questi temi sono molto legati alla comunicazione; quindi, se le aziende vogliono essere attrattive, devono imparare a comunicarsi, perché altrimenti tra poco saremo senza lavoratori».
Oggi quali sono i settori più all’avanguardia e più promettenti?
«Nel mondo, il macrotrend di quest’anno è l’intelligenza artificiale, molto sviluppata nel panorama americano; in questo ambito, anche in Trentino ci sono delle eccellenze, come Fbk. Poi, in Europa e in Italia un c’è l’industria 4.0, quindi l’automazione in ambito produttivo, le scienze della vita e le biotecnologie».
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