L'INTERVISTA
domenica 12 Febbraio, 2023
di Tommaso Di Giannantonio
Non appena si siede, tira fuori il telefonino e lo poggia sul tavolo. Sa già che comincerà a squillare. E infatti le chiamate arrivano: prima c’è da organizzare l’incontro con il sindaco in vista del tour per i 20 anni del Centro servizi per il volontariato (Csv), poi una serie di aspetti tecnici da risolvere inerenti la distribuzione di cibo da parte di Trentino Solidale. Giorgio Casagranda è presidente sia dell’una (da 12 anni) che dell’altra associazione (da 4 anni): «È più di un lavoro», sorride. Il suo sguardo permette di tracciare un quadro sull’esercito di 3.500 associazioni di volontariato attivo in Trentino: «Lo stato di salute è buono, ma facciamo fatica con il ricambio generazionale: ci sono pochi giovani nella classe dirigente», considera Casagranda al forum de il T con il direttore Simone Casalini e il caporedattore Lorenzo Ciola. Le soddisfazioni non mancano però: l’ultima è la proclamazione della città di Trento come capitale europea del volontariato per il 2024.
Ve l’aspettavate?
«Immaginare che nel giro di 10 anni potessero vincere due città italiane (prima Padova per il 2020, ndr) era complicato, ma noi avevamo le qualità per farlo e infatti è andata così».
Cosa comporta?
«Nelle scorse settimane siamo stati in Norvegia con il sindaco per l’inaugurazione a Trondheim, capitale europea del volontariato per il 2023. È una città che se l’è meritata perché hanno un welfare molto sviluppato, con una grandissima attenzione alla disabilità: siamo entrati in una palestra e tutte le attività erano improntate per l’utilizzo da parte di persone con disabilità. Per il prossimo anno noi stiamo predisponendo una serie di eventi. L’inaugurazione ci sarà tra il mese di gennaio e la prima settimana di febbraio. Tra l’altro per una una serie di coincidenze — non pensavamo che la prossima capitale europea sarebbe stata un’altra città italiana — avevamo pensato come Csv nazionale (di cui è componente del direttivo, ndr) di fare Trento come capitale italiana del volontariato per il 2024. Ora quello che ci piacerebbe fare è un festival del volontariato a Trento».
Qual è il trend demografico delle associazioni di volontariato?
«In Trentino ci sono 3.500 associazioni, siamo veramente ben strutturati. Lo stato di salute è buono. Negli ultimi anni, però, c’è stato un calo. Sicuramente la pandemia ha messo in grande difficoltà tutto quel volontariato reso inoperativo da un giorno all’altro: dai circoli anziani alle case di riposo, fino alle attività negli ospedali. L’altra motivazione è la riforma del Terzo Settore, che ha spaventato tutte le piccole associazioni, che si sono trovate in difficoltà perché hanno dovuto cambiare statuto e organizzazione. Perdere un’associazione è sempre un dispiacere perché rappresenta una ricchezza per il territorio. Ma il vero problema del volontariato è l’invecchiamento della classe dirigente. Lo sforzo che stiamo facendo è quello di far entrare i giovani nella governance».
Come si attirano?
«Stiamo cercando di portare dentro le scuole il sentimento del volontariato. Al Csv abbiamo una dipendente che si occupa principalmente del rapporto con le scuole».
Quanti sono i volontari in Trentino?
«A Trento, dove sono attive circa 660 associazioni, la media è di un volontario ogni 5 cittadini».
Una delle più grandi è proprio Trentino Solidale. Quanti volontari conta?
«Trentino Solidale è una delle associazioni che hanno tratto beneficio dalla pandemia, perché in quel momento è scattata un’altra emergenza, quella del cibo: l’emergenza, ad esempio, di portare il cibo alle persone che non potevano muoversi o che erano in strada e sono state portate nelle strutture. Trentino Solidale è partita più di 10 anni fa con 5 volontari. Andavamo la mattina al supermercato del Poli a raccogliere il cibo, poi la sera, due volte a settimana, andavamo a portarlo ad una trentina di famiglie. Con il passare degli anni abbiamo iniziato a servire gli “storici” come la Bonomelli, l’ex Italcementi e il campo nomadi. Abbiamo capito che la cosa poteva estendersi. E da 5 volontari siamo diventati 700, con un raggio d’azione da Vipiteno ad Affi: andiamo in 330 punti a raccogliere cibo. Oggi abbiamo 20 furgoni di proprietà e quelle 38 famiglie sono diventate 2.000, con una media di 2,7 figli. Iniziamo la mattina alle 5.30 e attorno alle 15 tutti gli 80 quintali di cibo raccolti sono stati distribuiti. Abbiamo 32 punti di distribuzione globalmente. E il cibo che avanza viene distribuito ai contadini. Ma l’altro 50% del cibo viene sprecato dalle famiglie, per questo vado nelle scuole: c’è bisogno di parlare con le nuove generazioni per sensibilizzarle a questo problema».
Qual è l’identikit dei volontari?
«Ci sono i pensionati che si sono trovati a casa senza far niente e così l’idea di fare qualcosa li gratifica. Ci sono persone a cui distribuivamo cibo e poi sono diventati volontari. Una fetta grossa è formata dai giovani dell’istituto penitenziario minorile che fanno i lavori socialmente utili: in un anno abbiamo fatto 11.000 ore solo con loro. Per i giovani abbiamo attivato anche delle convenzioni per l’alternanza scuola-lavoro».
Com’è cambiata l’utenza?
«In questo momento il caro energia influisce molto perché rende impotente chi già lavora. Mi sono rimasti impressi due casi. Una persona che vive alle Torri di Madonna Bianca con due figli, ma con uno stipendio di quasi 1.300 euro non riesce ad arrivare alla fine del mese. E poi il caso di un agente di commercio, vestito bene, che una mattina si è trovato con il frigo vuoto. Adesso, a livello di utenza, siamo alla pari tra extracomunitari e italiani».
Sono cambiate le fonti di finanziamento delle associazioni?
«Per Trentino Solidale abbiamo bisogno di circa 300.000 euro l’anno: 120.000 li prendiamo dalla Provincia, gli altri dobbiamo recuperarli con fondazioni, banche e donazioni. Per fortuna troviamo molta sensibilità».
L'inchiesta
di Tommaso Di Giannantonio
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