IL FORUM

sabato 18 Febbraio, 2023

Il presidente del Consiglio degli studenti: «L’ateneo attrae, la Provincia investa di più. Caro affitti? Rientra nel diritto allo studio»

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Domande e risposte al forum de «il T» con Gabriele Di Fazio, 22 anni, da poco presidente degli universitari. È iscritto al terzo anno di Giurisprudenza ed è originario di Latina

Appena tornato da un’esperienza Erasmus in Belgio, si prepara a vivere appieno il mandato da presidente del Consiglio degli studenti dell’Università di Trento. Eletto lo scorso dicembre, Gabriele Di Fazio, 22 anni, è uno studente fuori sede al terzo anno di Giurisprudenza, originario di Latina. E rappresentante della principale associazione universitaria in Trentino, «Unitin». Didattica, aule e sale studio, trasporti, equità e sostenibilità ambientale. Sono tanti i fronti aperti: alcuni ricorrenti, altri no. Ma se estendiamo lo sguardo al prossimo ventennio (seguendo lo schema temporale tracciato dal rettore) «l’università dovrà farsi crocevia di più idee, di più modelli di pensiero, senza legarsi alla dimensione nazionale e dando spazio a qualcosa di diverso e unico», così immagina il futuro dell’ateneo Di Fazio al forum de il T con il direttore Simone Casalini.
Quali sono le priorità che avete individuato per il prossimo mandato biennale?
«Il Consiglio degli studenti ha una funzione consultiva: è un organo di raccordo che deve portare le istanze degli studenti nel discorso che si tiene tra gli amministratori, la componente docente e gli stakeholder. I principali problemi sono tre: didattica, spazi e trasporti. Ci sono poi altre aree che orbitano attorno a questi tre temi, come equità e diversità, quindi come si può ottenere una maggiore inclusione all’interno dell’università e come si può promuovere la diversità per farne un punto di forza. Negli ultimi mandati, ad esempio, siamo riusciti a ottenere la carriera alias, quindi non è obbligatorio per uno studente che si immatricola dichiarare di essere maschio o femmina perché può mettere anche la terza opzione. Tra le altre questioni c’è la sostenibilità ambientale: siamo riusciti a collaborare con l’università per proporre soluzioni alternative all’uso dell’energia e ad aumentare il riciclo dei rifiuti».
Sul fronte della didattica su cosa state lavorando?
«Abbiamo in cantiere le misure di sostegno alla didattica e l’implementazione delle carriere part-time per più corsi di studio perché attualmente è possibile solo per un corso triennale di Economia. La carriera part-time è la possibilità di frequentare un corso di studio anziché a tempo pieno in un tempo dilazionato permettendoti di lavorare o svolgere altre attività che non sono solamente legate all’università. Altri atenei del Nordest, ma anche di Milano, lo fanno già: se l’Università di Trento volesse incentivare la professionalizzazione degli studenti non vediamo perché non dovrebbe concedere una modalità più flessibile per la didattica».
Per i trasporti quali sono le proposte?
«Stiamo cercando di potenziare la via di comunicazione bus-treni tra Trento e Rovereto. Rovereto è una parte integrante dell’ateneo, come lo è San Michele all’Adige, che ospita il C3A. A Rovereto, tra l’altro, stanno costruendo un nuovo studentato, quindi sarebbe benefico avere maggiori connessioni da e per Trento».
Nello scorso mandato lei ha ricoperto il ruolo di delegato agli spazi del Consiglio degli studenti. Qual è la situazione?
«Sugli spazi l’ateneo deve cercare un bilanciamento tra il numero di studenti e la sostenibilità dei servizi: trovare aule e sale studio a sufficienza per il numero di studenti. Se si vuole aumentare il numero chiuso, che potrebbe essere un obiettivo di lungo termine, bisogna assicurare che si trovino spazi nuovi. Le criticità? Le facoltà scientifiche lamentano spesso una carenza di manutenzione degli spazi. Una questione annosa, a Povo, è il parcheggio chiamato “Vietnam”: un parcheggio dell’università poco controllato».
Siete favorevoli ad aumentare gli iscritti?
«Sono favorevole ad aumentarli e contrario al numero chiuso perché comunque si tratta di un’università pubblica che dovrebbe essere accessibile a tutti. Detto questo, bisogna assicurare che i servizi siano di qualità e questo ontologicamente non ci permette di avere un numero aperto a Trento, anzi il numero chiuso è l’unica possibilità. A Giurisprudenza, ad esempio, due anni fa abbiamo aumentato le unità da 500 a 600 ed oggi le aule spesso non bastano. Per risolvere il problema abbiamo fatto tre aule all’ex Cte e abbiamo tripartito il corso di laurea di Giurisprudenza (prima era bipartito) per sfruttare meglio gli spazi. Ma non si può andare oltre».
Per quanto riguarda gli spazi, la volontà dell’amministrazione comunale di Trento è di realizzare una cittadella universitaria in Destra Adige, dove sorgerà, all’ex Italcementi, un nuovo studentato. Cosa ne pensate?
«L’idea di avere un campus universitario solletica un po’ tutti. Sarebbe sicuramente una buona cosa. Da questo punto di vista la passerella ciclopedonale sull’Adige sarà determinante».
La studentato richiama il tema «casa»: qual è la situazione degli affitti?
«A settembre c’erano ancora i problemi legati allo strascico del Covid. Con la pandemia le lezioni sono passate interamente online e quindi molto studenti hanno chiuso i loro contratti di locazione anche perché non si sapeva quando sarebbero finite le restrizioni. E così molti proprietari hanno scelto di affittare a famiglie con un contratto più blindato 4+4. In un periodo breve non possono convertire questi appartamenti in alloggi per gli studenti e questo ha creato problemi dal punto di vista dell’offerta. A riguardo partecipiamo al tavolo di lavoro sugli affitti con il Comune, ma è difficile trovare una soluzione. Gli affitti dipendono molto dalla zona: una singola in centro storico si aggira attorno ai 410-420 euro al mese, mentre verso l’esterno siamo più bassi. Questo chiaramente è un problema per il diritto allo studio».
Qual è l’attrattività dell’Università di Trento per uno studente che finisce le superiori?
«È innanzitutto un’università che punta molto sul suo lato internazionale. Ad esempio, la facoltà di Giurisprudenza punta molto sulla comparazione tra sistemi giuridici di altri Stati europei».
Vi sentite integrati nel tessuto sociale cittadino?
«Nell’ultimo periodo sento che il sindaco di Trento, Franco Ianeselli, si sta molto prodigando per cercare di integrare maggiormente la componente studentesca all’interno della città. Negli scorsi semestri abbiamo organizzato diversi progetti su piazza Dante per cercare di animare la movida trentina e abbiamo cercato di trovare delle attività che potessero intercettare la comunità studentesca. Ovviamente c’è il solito problema della movida in centro storico, ma questo è dovuto ad un tema di progettazione della città perché in quelle zone non dovrebbero esserci residenti. Allo stesso tempo è una dinamica quasi inevitabile in un momento di transizione, che va comunque risolto: confido che si possa raggiungere una dimensione di convivenza con i residenti».
La sua generazione vede la politica come strumento di trasformazione della realtà?
«Se non credessi nella politica come strumento di trasformazione non mi sarei candidato come rappresentante. Dal punto di vista politico credo che questa grande confusione derivi anche dallo svuotamento di potere delle istituzioni tradizionali come il Parlamento perché ci sono delle sovrastrutture come l’Europa che stanno assumendo sempre più potere».
All’inaugurazione dell’anno accademico il rettore Flavio Deflorian ha tracciato il percorso dell’Università di Trento suddividendolo in ventenni e auspicando che se ne apra uno nuovo con nuove prospettive. Allo stesso tempo ha lanciato un forte appello alla Provincia a sostenere l’ateneo: con questa giunta i rapporti non sono stati sempre facili. Vi spaventa?
«Di sicuro la Provincia autonoma di Trento ha diverse competenze e deve distribuire i fondi su più settori. Forse sì l’università potrebbe avere un maggiore peso all’interno del bilancio provinciale. Adesso la questione sarà giostrarsi con i vari servizi di diritto allo studio per cercare di mantenere la situazione stabile».
Quale dovrebbe essere la principale linea di sviluppo del prossimo ventennio?
«Forse si dovrebbe recuperare una linea più internazionale perché credo che la competizione sia il motore di un cambiamento e anche di un miglioramento. Se un’università si chiude nella dimensione locale si può creare una sorta di stagnazione. L’università dovrebbe forse aprirsi di più a modelli esteri per essere un hub di innovazione, non solo dal punto di vista scientifico, ma anche sociale. Dovrebbe essere questo l’obiettivo anche perché Trento ha una posizione geografica molto felice in quanto crocevia tra il mondo latino italiano e il mondo germanico. Penso che l’Università di Trento debba farsi crocevia di più idee, di più modelli di pensiero, senza legarsi alla dimensione nazionale e dando spazio a qualcosa di diverso e unico».
In questi giorni ci siamo occupati del tema dei giovani laureati trentini espatriati. Secondo lei quanto incide la motivazione sentimentale? Cioè il fatto che siete una generazione cresciuta con l’Erasmus? Che cosa spinge i giovani di oggi ad andare all’estero? Tra le storie che abbiamo raccontato, molti soffrono il clima di un Paese un po’ razzista.
«Di sicuro la risposta non può essere univoca: ci sono tanti fattori. Penso che innanzitutto ci sia una questione di carattere economico: non ci sono quelle opportunità che un giovane nel 2023 potrebbe attendersi nella sua vita. Il fatto di non voler tornare in Trentino, che è una delle province più ricche in Italia, significa che forse è proprio il Paese che non funziona. Il secondo fattore è la questione più strettamente lavorativa, nel senso che spesso ci sono giovani super specializzati che non trovano lo sbocco lavorativo che meritano. Da questo punto di vista dev’esserci un maggior coordinamento tra l’impianto industriale e il mondo universitario. C’è poi il fattore di una chiusura culturale del Paese, anche se nella dimensione locale credo che si stia cercando di integrare le diverse comunità cercando di creare un sentimento comune. C’è poi una sorta di sfiducia nella possibilità che la classe dirigente possa dare una direzione di prosperità al Paese. La rassegnazione è una cosa che si riscontra in moltissimi giovani. Dovremmo cercare un modo di intercettare questi sentimenti e canalizzare queste energie. All’ultimo posto metterei il fattore sentimentale legato alla generazione Erasmus».