la storia

mercoledì 22 Febbraio, 2023

Da Trento alla guerra in Ucraina. Vitalyk e il biglietto alla madre: «Perdonami non potevo fare altro»

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Il giovane è partito lasciando una nota sulla scrivania il 15 marzo di un anno fa. Ha combattuto anche in Donbass ed è ancora arruolato fino alla fine dell’incubo

«Mamma ti voglio tanto bene, perdonami. Non potevo fare altro». Recitava così il bigliettino che Angela Rotyk ha trovato nella camera del figlio Vitalyk Rudan il 15 marzo di un anno fa. L’inizio di un dolore sospeso, effetto collaterale dello scoppio della guerra in Ucraina. Era sera, Angela stava rientrando a casa dopo una giornata di lavoro, il figlio, che all’epoca lavorava come bracciante a Bolzano era solito tornare dalla madre il weekend, ma quel martedì a casa c’era qualcosa di diverso.
Il telefono spento
«La casa era pulita ed ordinata –racconta– e mi sono chiesta come fosse possibile che Vitalyk fosse già tornato, lo aspettavo per il sabato. Ho provato a chiamarlo decine di volte ma il cellulare era spento. Ho capito subito che qualcosa non andava». Poi la scoperta nella cameretta e tutto d’un tratto la situazione era diventata chiarissima: Vitalyk era partito per combattere con l’uniforme del suo Paese. A quel punto Angela non ha potuto fare altro che pregare: «Ho preso in mano la foto di mia madre, morta nel 2021, e le ho chiesto di proteggere il mio unico figlio come fosse stato il suo. Mi sono seduta ma non ho pianto. Ero bloccata dal dolore».
«Mai accennato alla guerra»
Viene spontaneo chiedersi se Vitalyk, Vito per gli italiani, avesse mai accennato alla madre di voler partire. Da dieci anni in Trentino, 35 anni, si era laureato in Ucraina in legge mentre qui da noi ha fatto mille mestieri, specialmente in agricoltura. Non aveva quasi mai parlato della guerra tranne la domenica prima della sua partenza quando aveva raccontato ad Angela che molti dei suoi amici in Ucraina si erano arruolati nell’esercito volontariamente. In particolare Yuri, il suo migliore amico che viveva in Germania, era partito per combattere. «Anche io sto pensando di andare» aveva detto Vitalyk la stessa sera, quasi di sfuggita e in tono scherzoso, ma il discorso era stato prontamente chiuso da Angela che non gli avrebbe mai permesso di partire. «Invece ho capito tardi che mio figlio non stava scherzando» afferma Angela con un nodo alla gola e trattenendo a stento le lacrime.
L’attrezzatura a Bolzano
Il viaggio, a dire il vero, era stato programmato nei minimi dettagli da tempo. Vitalyk aveva anche acquistato a Bolzano dell’attrezzatura che poteva servire in battaglia come scarponi, passamontagna e ginocchiere. Questo, però, Angela l’ha scoperto molto dopo. Vitalyk non ha perso tempo e si è arruolato immediatamente nell’ufficio militare della sua città d’origine, Chernovtsy. Solo una volta concluso l’iter ha chiamato la madre: «Sapevo che non mi avresti mai lasciato partire. Questa è la mia volontà. Non permetterò a nessun russo di calpestare la tomba della nonna». Si conclude così l’ultima telefonata, con il ricordo della nonna, la stessa nonna a cui Angela si era appellata chiedendo di proteggere il figlio. «Vitalyk – spiega Angela – è cresciuto con lei, era come una madre».
Il doppio sms
Comunicare durante una guerra non è facile e per 3 mesi Angela ha dovuto accontentarsi di un messaggio al mattino e uno alla sera via whatsapp con «un bacino o una manina che salutava». A Vitalyk non era permesso dare informazioni su nulla. «Un giorno mi ha mandato una foto – racconta Angela – mentre era su un elicottero. Ho cercato di capire dove fosse, studiando lo sfondo. Stava sorvolando il Donbass».
A poco a poco i messaggi si sono fatti più chiari anche grazie a Signal, un’applicazione che consente di effettuare chat e chiamate audio-video crittografate.
Il trasporto delle salme
Vitalyk aveva spiegato alla mamma che per un periodo aveva anche dovuto trasportare i corpi dei caduti «il più giovane aveva 19 anni, il più vecchio 37» le aveva scritto. Dai messaggi sono passati a brevi telefonate, di qualche minuto, in cui Vitalyk diceva sempre «sto bene, stiamo bene. Al nostro battaglione vengono distribuiti pasti pronti, precotti e in scatola dalla Polonia». Il cuore di una madre però non demorde e in uno dei dialoghi Angela riesce a capire che mancano medicine, in particolare gocce per idratare gli occhi, sciroppo per la tosse e tourniquet, dei lacci usati per controllare le emorragie. Così Angela comincia ad inviare rifornimenti di medicine con cadenza regolare grazie anche all’attività dell’associazione di cui è presidente.
Il video e gli spari
I mesi passano e Angela vede il figlio solo tramite foto o brevi registrazioni che le vengono inoltrate da lui. «Una volta – si ricorda– mi ha mandato il video di una sparatoria. Si stava facendo un selfie, non parlava e potevo sentire gli spari in sottofondo. Percepivo in lui la voglia di mostrarsi forte e coraggioso». Angela ammette di aver molto sofferto alla vista di quelle immagini ma Vitalyk ha spiegato molto bene il suo intento: «Ogni messaggio che mando, ogni foto, ogni video potrebbe essere l’ultimo».

A Chernovtsy l’incontro                                                                                                                                                                                        È chiaro che i messaggi e le foto però non bastavano. Dopo nove mesi, a dicembre, si è recata a Chernovtsy, sua città natale, per distribuire aiuti umanitari all’orfanotrofio della città e aveva insistito per organizzare un incontro con Vitalyk che, però, non le aveva mai confermato l’appuntamento. «Il 30 dicembre –racconta– dopo aver scaricato il materiale all’orfanotrofio, ho seguito mio fratello a ritirare un pacco. Dopo più di mezz’ora di attesa, chiusa in macchina, iniziavo ad indispettirmi». All’improvviso la richiesta di scendere e voltarsi. Vasilyk era proprio lì, in divisa, con il suo zainetto e un sorriso che solo la madre aveva saputo riaccendere. «Ho lasciato cadere il panino a terra e ci siamo abbracciati per 5 minuti, in lacrime». Le prime parole di Vasilyk sono state: «Scusa mamma». D’altronde, spiega il militare, «solo quando guardi in faccia la morte rifletti su tutto ciò che hai fatto in passato e comprendi gli errori commessi» e così ha fatto. Vasilyk è ancora immerso nelle trincee della guerra, arruolato fino alla fine dell’incubo.