Il personaggio
giovedì 9 Marzo, 2023
di Francesco Barana
Chiamatelo cavallo di razza. O, se volete, «mister preferenze». Mauro Bondi, avvocato, 63 anni, di quelle fa incetta da una vita. Prima nelle istituzioni – è stato assessore e consigliere provinciale dei Democratici di Sinistra, di cui fu anche segretario trentino; nel 2008, dopo 15 anni di attività, decise di non ricandidarsi e abbandonare la politica – poi nell’Associazione nazionale alpini, di cui è stato consigliere nazionale dal 2016 al 2022 e, l’anno scorso, presidente della commissione del 150° anniversario della fondazione del Corpo. Bondi, domenica, per la prima volta è entrato a far parte del consiglio sezionale dell’Ana di Trento. Con 12.500 preferenze è risultato il secondo più votato dopo il presidente Paolo Frizzi. «Sono più felice di quando venivo eletto in politica, i voti degli alpini valgono doppio» si lascia andare lui. Che non sente il peso di un’apparente contraddizione: uomo di sinistra, ma alpino e militarista convinto. «Gli alpini non sono né di destra né di sinistra, per loro esiste solo l’alto e il basso quando scalano la montagna» chiosa Bondi.
Eppure, nell’immaginario collettivo, la sensazione diffusa è che siate più vicini alla destra. Come se lo spiega?
«È una percezione di chi è esterno al nostro mondo e che lega il mondo militare o delle armi alla destra. Ma i partigiani usavano la forza ed erano soprattutto di sinistra. Insomma, le cose sono più complesse di come si raccontano. I social poi ci mettono il carico creando contrapposizioni semplificatorie. Tra l’altro la sinistra tradizionale ci ha sempre mostrato apprezzamento. A contestarci sono frange estreme, minoritarie, ma rumorose, che ci contestano la disciplina o la memoria dei caduti».
Valori che la destra sente suoi…
«Non sono mai stato comunista, ma ricordo che il Pci era forse il partito con il maggiore culto della disciplina. Come può dunque quello essere un concetto di destra? Vede, se si va a scavare si nota che questo immaginario è fondato su una narrazione superficiale».
Forse non è perché un pezzo di sinistra ha recepito istanze e valori della cultura pacifista e libertaria che stridono con i valori degli alpini?
«Ma pace e pacifismo sono due cose diverse. Il pacifismo è un’ideologia del senza se e senza ma, mentre la pace ha delle condizioni. Non c’è pace senza giustizia, l’Ucraina insegna. E non va dimenticato che la nostra Costituzione nasce dopo la guerra di liberazione dal nazi-fascismo, che è anche il mito fondativo della sinistra italiana. Oggi alcuni settori della sinistra confondono il pacifismo con la pace. È uno smarrimento d’identità, come sulla sicurezza…».
Tema destrorso per eccellenza…
«Eppure garantire regole, disciplina, sicurezza significa tutelare i più deboli, i più poveri. Con la legge della giungla e l’assenza di regole ne traggono vantaggio i più forti, in ogni società. Sono un socialista liberale, non un libertario: credo nella libertà individuale, che però non deve prevaricare la libertà altrui. Per questo sono necessarie le regole collettive».
Dovesse spiegare a un ragazzino oggi cosa sono gli alpini, cosa gli direbbe?
«Che siamo una grande famiglia fondata sul concetto di cordata, da noi non esistono primi, secondi o terzi, siamo una squadra. E che siamo una famiglia organizzata: abbiamo una struttura militare, una catena di comando che ci permette di operare quando arriva una direttiva. La nostra è una presenza capillare sul territorio: l’Ana di Trento ha 23 mila iscritti, con Bergamo siamo i primi in Italia, abbiamo più di 250 gruppi presenti nei vari Comuni. Ci siamo ogni giorno e ci siamo nelle emergenze, pensi alla distribuzione delle mascherine durante la prima ondata di Covid, o all’organizzazione logistica del piano vaccinale».
Da alpino trentino cosa la rende più orgoglioso?
«La ricostruzione del Friuli post terremoto nel 1976 fu opera degli alpini con l’allora presidente nazionale Franco Bertagnolli, che era trentino. Allora non esisteva la Protezione Civile, furono gli alpini, tra cui molti trentini, ad accorrere sul posto e aprire i cantieri».
Lei l’anno scorso era presidente della commissione legale dell’Ana quando scoppio lo scandalo delle presunte molestie sessuali al raduno nazionale di Rimini. Da alpino come ha vissuto quelle settimane con l’intero Corpo sotto attacco?
«Sono state dette e scritte molte sciocchezze e falsità, abbiamo denunciato e ci sono cause ancora in corso. Si è trattato di una strumentalizzazione di frange antimilitariste che hanno usato pretestuosamente un tema drammatico come quello della violenza contro le donne, che è un fenomeno preoccupante che non riguarda gli alpini come Corpo, ma ogni persona intollerante e misogina che purtroppo si trova in ogni ambito sociale. Peraltro questo è un tema molto serio che andrebbe affrontato con altrettanta serietà ogni giorno, mentre nella fattispecie è stato incanalato su un’onda mediatica che ha travolto tutto, salvo poi, una volta rifluita, dimenticarselo».
Qual è il futuro degli alpini? Invecchiate e senza leva obbligatoria il ricambio è sempre più esiguo…
«Gli alpini avranno ancora vita lunga. Ma mi faccia dire una cosa sul servizio militare…»
Lei che è militarista immagino sia per ripristinarne l’obbligo…
«No, ma sarebbe opportuno istituire un periodo di 6-12 mesi in cui i giovani, uomini e donne dai 19 ai 25 anni, si dedicano al Paese, in ambito militare o civile poi sceglieranno loro. Tornando al futuro degli alpini…».
Prego.
«A fine 2020 Ana aveva 330 mila iscritti: 250 mila alpini, cioè ex militari, e 80 mila aggregati che non hanno prestato servizio militare ma si riconoscono nei nostri valori. Quasi la metà degli aggregati ha meno di 60 anni. Mentre tra i quasi 14 mila alpini della Protezione Civile il 53% è under 60».
Il futuro dell’Ana quindi sarà dei non alpini?
«L’Anpi non ha più veri partigiani, ma per fortuna esiste ancora. Credo che chi si riconosce nei valori degli alpini potrà continuare la nostra storia».
l'intervista
di Davide Orsato
L’analisi del giornalista che ha di recente pubblicato un manuale per spin doctors dal titolo «Non difenderti, attacca» e contiene 50 regole per una comunicazione politica (imprevedibile e quindi efficace)