Covid

venerdì 10 Marzo, 2023

Inchiesta di Bergamo, gli studi di Merler presentati ai pm: «Chieste le zone rosse fin da subito»

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Il «piano segreto» sotto la lente dei magistrati. La realtà è stata peggiore dello scenario più estremo

I numeri di Stefano Merler, epidemiologo della fondazione Bruno Kessler, sono tornati protagonisti a tre anni esatti dallo scoppio dell’emergenza Covid 19 in Italia. Sono al centro, infatti, del «piano segreto» predisposto dall’allora ministro della Salute, Roberto Speranza, finito sotto la lente dei pm di Bergamo, che indagano sul focolaio che colpì tra febbraio e marzo 2020 la provincia lombarda e dove si ebbe la maggiore concentrazione di morti in Italia. Lo stesso Merler, tra massimi esperti mondiali di modelli matematici in grado di prevedere l’andamento dell’ epidemia, li ha confermati in una testimonianza raccolta il 7 dicembre 2020, il cui verbale è ora agli atti.

All’epidemiologo trentino si era rivolo l’Istituto superiore di sanità, nella persona del direttore generale Andrea Piccioli. La richiesta era la seguente: «valutare i possibili scenari di diffusione del Covid e d’impatto sul sistema sanitario». «Ho mandato un primo report il giorno stesso — ha raccontato Merler ai giudici — e il giorno seguente ho presentato i risultati al Cts, il Comitato tecnico scientifico». Tra le stime di Merler in quella circoastanza non figura un’ipotesi sulla mortalità: solo in seguito parlerà di «centomila morti» (saranno poi 188 mila in oltre due anni), ma ci sono previsioni molto precise su contagi e ricoveri, compresi quelli più critici, in terapia intensiva. Per Merler, «La probabilità di sviluppare sintomi severi», tali cioè da richiedere il ricovero in terapia intensiva, ma senza ventilazione meccanica era — a febbraio 2020 — del 18.75%. Seguita dai casi ancora più gravi, quelli, precisa Merler, «da richiedere la ventilazione invasiva». Rappresentano, secondo le stime, il 5% del totale e, sottolinea il ricercatore, «questi pazienti restano in nel reparto di terapia intensiva per venti giorni».

Si passa, quindi alla trasmissibilità. L’unico dato disponibile è quello che arriva da Wuhan, dove si è ipotizzato un R0 di 2.6, una persona ne contagia, in media, più di «due e mezzo». Abbastanza, secondo Merler, da prefigurare «un impatto sul sistema sanitario devastante». Queste considerazioni sono datate 11 febbraio 2020, quando non c’era ancora nessun caso ufficiale di Covid in Italia (a parte quello riscontrato a Roma da su due turisti cinesi). Meno di una settimana dopo, il 17, arrivano i risultati preliminari di un modello matematico messo a punto da Merler assieme alcuni esperti dell’Iss. La versione completa viene mostrata al ministro Speranza e ai membri del Cts il 20 febbraio. Anche questo passaggio è stato ricordato dallo studioso trentino: «In quell’occasione — spiega Merler agli inquirenti — mi sono occupato di fornire stime del possibile andamento della pandemia in Italia e le valutazioni sugli interventi per contenerla».

Su questi dati si basa la decisione «politica» di adottare la prima zona rossa a Codogno, il comune dov’era stato individuato il cosiddetto «paziente zero» (che poi si scoprirà non essere tale). Successivamente, il 29 febbraio, arrivano i tre scenari, in ordine di gravità. La variabile è data dall’R0, l’indice di contagio. Il numero totale dei casi va dai 672 mila (nella migliore delle ipotesi) ai 3 milioni). Lo scenario peggiore (indicato come «3b» sul documento) ipotizza mille casi dopo i primi trenta giorni, con il collasso delle terapie intensive nel giro di due mesi. Le previsioni (e i calcoli che ci stavano dietro) sono stati ripetuti e confermati da Merler a fine 2020. La storia ha poi dimostrato che la realtà è stata capace di rivelarsi peggiore dello scenario più estremo: non c’è stato bisogno di aspettare un mese per avere i primi trenta casi, ma meno di dieci giorni dall’individuazione del supposto «paziente zero».

E poco più di una settimana, otto giorni, sono bastati per arrivare alla soglia delle sessanta terapia intensive occupati da pazienti Covid. «L’ovvia conseguenza — è la tesi della procura — è che sin da quei giorni il Cts avrebbe dovuto proporre, ed il ministero adottare, provvedimenti restrittivi ben più incisivi». Il «piano segreto» a cui ha collaborato Merler parlava di «misure reattive su base geografica». Ossia quelle che successivamente saranno battezzate «zone rosse». Ma andavano, per l’appunto, fatte prima e nelle aree della Lombardia già piagate dal virus nelle ultime settimane dell’inverno 2020. Cosa che non è stata fatta. Da lì a pochi giorni le restrizioni prima su base provinciale e poi su base regionale. Quindi il «lockdown» esteso a tutta Italia.