L'inchiesta

domenica 12 Marzo, 2023

L’ombra dei pesticidi in Alto Adige, secondo i dati «irrorazioni quotidiane»

di

La Süddeutsche Zeitung accende i riflettori sui trattamenti delle mele in val Venosta. Nei sette mesi analizzati dalla testata tedesca i pesticidi sono stati usati 38 volte per meleto

L’altra faccia della mela. Il rapporto 2022 dell’Enviromental Working Group poneva le mele al quinto posto nella classifica degli alimenti più contaminati da pesticidi dietro solo a fragole, spinaci, cavolo e pesche. Ora un’inchiesta della Süddeutsche Zeitung, il secondo giornale più letto in Germania, condotta assieme all’emittente televisiva bavarese Bayerischer Rundfunk, rivela un mondo della melicoltura altoatesina ben diverso da quello raccontato abitualmente nelle campagne di marketing. La val Venosta, con i suoi 5.200 ettari di cui adesso poco più di mille di coltivazione biologica, è una delle più grandi aree di coltivazione di mele della regione e, secondo il giornale tedesco, ha un problema con i pesticidi.
I dati
L’inchiesta, realizzata assieme all’Umweltinstitut di Monaco di Baviera, analizza dati relativi al 2017, datati quindi, ma interessanti perché, come sottolinea il giornale tedesco, «è la prima volta che è possibile per l’opinione pubblica osservare da vicino i metodi usati nella melicoltura, forse non solo in Alto Adige». Un campione quindi interessante per il mondo delle mele in generale considerato che in Sudtirolo sono circa 18.000 gli ettari in cui si coltivano, 7.000 i melicoltori e la produzione del 2021 si è attestata su 935mila tonnellate. I dati arrivano in particolare dei registri dei trattamenti eseguiti nel 2017 da 681 melicoltori della val Venosta e relativi a circa 3.100 ettari sui 5.200 della valle. Analizzandoli «si scopre che tra marzo e settembre – scrive la Süddeutsche Zeitung – In val Venosta non è passato un giorno senza che si spruzzasse qualcosa sui meleti. In media in questi sette mesi i pesticidi sono stati usati 38 volte per meleto». Intervistato dal giornale, il professore e scienziato ambientale del Politecnico di Kaiserslauten-Landau Ralf Schulz sostiene che: «In una singola stagione è tantissimo. I pesticidi possono essere molto velenosi». Per fare un raffronto l’istituto di ricerca tedesco Julius-Kühn, che fa capo al ministero dell’agricoltura tedesco, ha stabilito che «sono accettabili 20,8 trattamenti all’anno per le mele», poco più della metà di quelli effettuati in val Venosta. Ma quali sono i fitofarmaci utilizzati? E per quale scopo? «I coltivatori non usavano i pesticidi solo per combattere parassiti, funghi e piante infestanti, ma anche per migliorare l’aspetto dei frutti» scrive il giornale, aprendo qui a un discorso diverso, ma che andrebbe a sua volta affrontato: ossia le pretese estetiche sul prodotto agricolo che arrivano dal mercato. La Süddeutsche Zeitung precisa poi che «secondo quanto annotato nei registri, nel 2017 le 681 aziende coinvolte hanno usato i pesticidi nel rispetto delle leggi». Non solo i melicoltori della valle si sono impegnati nel seguire le linee guida dell’agricoltura integrata, cercando di proteggere le piante quindi con un mix di metodi a basso impatto ambientale e pesticidi, sfruttando al meglio le difese naturali delle piante e riducendo l’uso dei prodotti chimici. L’inchiesta però critica la definizione di sostenibilità legata al certificato di frutticoltura integrata. «È più una questione di pubblicità che di benessere per ambiente e salute» sostiene l’Istituto per l’ambiente di Monaco di Baviera aggiungendo che l’uso documentato dei pesticidi sarebbe «in evidente contrasto con un metodo di coltivazione ecologica e sostenibile». Le irrorazioni riportate nei registri in sette mesi sono state 590mila. Per le associazioni dei coltivatori questo sarebbe dovuto all’uso di prodotti mirati. «Questo significa più irrorazioni, che però hanno un effetto preciso e limitato» aggiunge la portavoce del Consorzio mela Alto Adige intervistata dalla Süddeutsche Zeitung. I dieci usi più frequenti sono relativi ad agenti chimico-sintetici comuni a circa l’80% delle aziende. «Tra questi ci sono anche sostante che l’Unione Europea ha classificato come potenzialmente cancerogene» scrive la Süddeutsche Zeitung. C’è poi un altro problema. Stando ai dati, nel 2017 sui campi della val Venosta ogni giorno venivano spruzzati più prodotti diversi, fino a 9 nell’arco di 24 ore. Fabian Holzeid, dell’Istituto per l’ambiente di Monaco, avverte «di stare attenti all’effetto cocktail: nessuno sa bene come reagiscono e si combinano tra loro questi agenti chimici. Gli effetti nocivi possono sommarsi in modo pericoloso». L’inchiesta entra poi nel merito di quali sono i princìpi attivi più usati, i primi 4 sono dei funghicidi il quinto un erbicida. «In testa alla classifca – scrive la Süddeutsche Zeitung – con un totale di 66.373 irrorazioni, c’è il dithianon. Segue il bupirimate (55.414), poi il captano (40.546) e il penconazolo (30.060). Al quinto posto c’è il glifosato (30.055)». Il captano e il bupirimate in particolare sono stati classificati come «probabilmente cancerogeni» dall’Unione europea nel 2008 e nel 2016 e comunque utilizzati nel 2017.
Un mondo nascosto
In conclusione del suo pezzo la Süddeutsche Zeitung specifica che: «Mettere alla gogna solo l’Alto Adige, però, sarebbe ingiusto: quando si tratta dei pesticidi usati in agricoltura, soprattutto nella coltivazione della frutta, la trasparenza manca in tutta Europa». Esiste un regolamento dell’Unione europea che obbliga gli agricoltori a documentare il loro uso, ma non è stata fissata una procedura per farlo e renderlo quindi obbligatori. Anche la storia di come si è arrivati a questa inchiesta vale la pena di essere raccontata perché getta luce su un lato spesso nascosto del nostro sistema regione. I registri dei trattamenti infatti provengono da un’operazione di polizia italiana, eseguita su mandato della procura di Bolzano, frutto di un azione legale di 1.300 melicoltori dell’Alto Adige, mobilitati dall’assessore provinciale Arnold Schuler, contro gli ambientalisti, portati in tribunale affinché non alzassero voci critiche contro i metodi di coltivazione. Il paradosso è che si è raggiunto l’esito opposto. Nel 2017 avevano infatti querelato alcuni attivisti dell’Istituto per l’ambiente di Monaco che avevano pubblicato un manifesto e un sito in cui denunciavano l’uso di pesticidi nei meleti altoatesini. La procura di Bolzano ha aperto un’indagine a carico degli ambientalisti, principalmente per diffamazione, rinviandone nove a giudizio. Alcuni procedimenti sono stati archiviati, poi le querele furono ritirate. Quello che rimane sono i registri acquisiti dalle forze dell’ordine ai fini dell’indagine e che, per una volta, portano luce sull’altra faccia della mela.