il forum
sabato 1 Aprile, 2023
di Alessio Kaisermann
Un centro sportivo con diversi campi da calcio ma non per uso interamente esclusivo, uno stadio concepito in modo tale da poter ospitare anche gli eventi di più grande richiamo che – in Trentino – si organizzeranno e nel giro di un paio di anni, magari, anche la serie B. Un sogno? Staremo a vedere, per il momento il calcio Trento è questo e recentemente è diventato anche un video gioco quindi – è, infatti, fra le squadre che compaiono e che è possibile costruire nel videogioco concepito da WeArena Entertainment che è partner ufficiale della Lega Pro – perché non azzardare di più? Che poi tanto chimera non è, spiega Mauro Giacca al forum de «il T» quotidiano. Il presidente e motore del club aquilotto, alla soglia del decimo anno della sua gestione, sta affrontando la seconda stagione in serie C dopo essere riuscito a riportare i colori gialloblu tra i professionisti ripartendo dal campionato di Promozione. Nel massimo campionato provinciale «Maurone» – come ama firmarsi lui – aveva trovato il Trento quando ne acquistò la proprietà nel 2014.
È sempre più soddisfatto, presidente, nonostante le grandi fatiche trascorse e che – in parte – sta ancora vivendo?
«Non v’è dubbio. Il Trento è parte integrante della mia vita, delle mie giornate, dei miei pensieri. Da imprenditore so che non tutto riesce sempre bene e al primo colpo ma sono anche uno che non ha mai mollato raggiungendo risultati nella mia vita imprenditoriale. Così deve essere anche per il calcio Trento».
Per crescere, avete sempre sostenuto, avete bisogno di spazi. In particolare, si sta discutendo dell’area San Vincenzo a Trento sud. Quali sono le vostre aspettative?
«L’ho detto più volte e lo ripeto che su quell’area c’è spazio per soddisfare molte esigenze: dal tempo libero alla musica passando per le diverse tipologie di sport. Ma proprio per questo il Trento chiede che sia considerata anche la sua esigenza che è quella di concentrare in un solo sito l’intera attività sportiva: dalla prima squadra al settore giovanile. Oggi contiamo quasi 300 ragazzini che devono allenarsi e poi giocare e i dirigenti del club ogni giorno si mettono alla guida di pulmini e furgoni distribuendo le diverse squadre sulla città e fino ad Aldeno, oppure a Ravina o Zambana per poter usufruire di un campo da calcio. Due o tre campi è difficile pensare che possano soddisfare le richieste di una realtà numerosa come il Trento».
Quindi?
«Avremmo bisogno di almeno 4 campi di misure regolamentari più altri 4 di dimensioni ridotte per il calcio a 9 e il calcio a 7. Questo consentirebbe allenamenti un po’ per tutte le categorie oltre ad essere a disposizione durante l’estate per eventuali camp o colonie. Sarebbe utile avere anche un vero e proprio centro di riabilitazione per il recupero da infortuni ed altro. Fino a quando non saremo convocati per una comunicazione ufficiale continuiamo e pensare che questa cosa sia considerata da chi è preposto a decidere. Non serve fare tutto subito, ovviamente. Basta pianificare».
Proviamo a concentrarci sulla stagione sportiva, presidente. Quali sono le sue prime riflessioni sulla coda di questa stagione?
«L’emotività ancora una volta mi e ci ha portato a sbagliare. Non su tutto, ma su alcune componenti fondamentali. Pensavamo che premiare con la fiducia chi ci aveva permesso di raggiungere certi obiettivi (l’ex ds gementi e l’ex tecnico D’Anna, ndr) fosse dare un segnale di serietà e di umanità da parte del club. Invece abbiamo capito che quando arrivi a certi livelli lo spazio per i sentimenti non deve invadere quello dell’obiettività e della strategia».
Da qui l’arrivo di Tedino prima e di Zamuner poi?
«Esatto. E meno male. Due scelte che ci hanno consentito di rimetterci in carreggiata, ma il viaggio non è ancora terminato quindi… calma».
Quanto manca e per quale obiettivo?
«Mancano quattro partite, con 4 o 5 punti ci salviamo. Ma non me lo toglie dalla testa nessuno che se si facesse almeno un punto a Vicenza sarebbe l’innesco di una carica motivazionale che potrebbe spingere la squadra ai playoff. Ma è solo una mia convinzione».
Sarebbe un orgoglio raggiungere gli spareggi. Ma anche solo salvarsi, visto come sono andare le cose quest’anno, non è poi così male. Che ne pensa?
«Il mio primo orgoglio è scorrere la lista dei nomi di chi oggi compone il cda della società. Imprenditori, rappresentanti dei principali e più importanti enti del territorio, persone che hanno disponibilità ma anche passione e che amano l’idea di far crescere il Trento. La seconda mia soddisfazione è riposta su chi si sta avvicinando al Trento. Stiamo ragionando con altre personalità importanti che si stanno dimostrando interessate per il futuro».
A proposito di questo all’ultima partita, giocata al Briamasco contro la capolista Feralpisalò, era presente in tribuna anche il responsabile di Amazon Italia. Possiamo pensare anche ad un ingresso del calibro del colosso dell’e-commerce?
«È un amico e voleva vedere da vicino la realtà del Trento…».
E della squadra, a questo punto, che dice?
«Posso solo dire che se rimarremo in categoria l’obiettivo sarà quello di costruire, per la prossima stagione, una squadra che possa puntare ad entrare nei primi 5 posti della classifica».
Una squadra che costruirà Giorgio Zamuner?
«Indubbiamente. Con il ds c’è un accordo verbale che prevede che se la stagione finirà con la permanenza in serie C ci siederemo al tavolo per confermare la collaborazione».
Se così fosse riconfermerete anche mister Tedino?
«Sul mister la società non ha nulla da dire, ci mancherebbe, ma sarà compito del ds riproporlo eventualmente al cda».
Ma cosa vuole per il Trento del domani?
«La serie B. Magari nel giro di un paio di anni».
C’è una squadra che lei, presidente, prende a modello?
«Se devo pensare in grande ammiro tantissimo il Napoli di De Laurentis: sembra abbia bilanci sempre in ordine e continua a scoprire giocatori importanti. Ammiro, poi, l’oculatezza nella gestione di realtà come l’Udinese e l’Atalanta. Se devo guardare, però, dentro i nostri confini il nostro esempio non può che essere il Südtirol».
Non pensa di bruciare un po’ le tappe pensando alla B in due anni considerando quanto ha impiegato il Südtirol per arrivarci?
«Beh, ora vediamo di tenere ben in considerazione le diverse realtà. Con rispetto parlando il Südtirol non aveva una storia calcistica, se la sta costruendo ora. In Alto Adige chi ha storia vera è l’hockey ed infatti militano nella massima serie. In Trentino è il Trento ad avere una grande storia, noi siamo mentalmente più pronti».
Qualche mese fa sembrava vi fosse stata qualche crepa fra lei e uno dei giocatori simbolo di questo Trento, Cristian Pasquato. Ci racconta cos’è successo?
«Molto semplice. Era un periodo che Cristian sembrava un po’ spento, scarico. Nel prepartita di Novara ho appreso che partiva dalla panchina e mi sono sentito in dovere di affrontarlo, per provare a stimolarlo. Ho deciso di prendere un biglietto da visita che tenevo in tasca, di un’azienda artigiana e l’ho consegnato a Pasquato dicendo che se non avesse avuto più stimoli per giocare quell’azienda avrebbe cercato dei collaboratori. Era, indubbiamente una provocazione, la mia e ho ottenuto il risultato che volevo. Sul momento Cristian mi ha mandato a quel paese, ma da lì in poi è tornato ad essere il grande Pasquato che poi abbiamo rivisto e apprezzato».
Possiamo chiederle qual è il budget che serve oggi per gestire il Trento? Nel complessivo, quindi, anche il settore giovanile.
«Stiamo investendo più o meno 4 milioni di euro ed è nella media dei budget della serie C».
Senza debiti?
«Senza debiti, prestiti o mutui. Anzi, stiamo lavorando per aumentare il capitale sociale alla Camera di Commercio. Confido che arriveremo al milione di euro».
In serie B ne serviranno almeno il doppio.
«Sì, ma in serie B avremmo qualcosa come 8 milioni di euro di introiti derivanti dei diritti televisivi. Con quei soldi se ne fanno di cose fatte per bene».
Qualche mese fa Diego Mosna, intervistato qui da «il T», ribadì la necessità e l’auspicio che Trentino Volley, Aquila Basket e Calcio Trento si riuniscano sotto le insegne di un’unica polisportiva. Che ne pensa?
«È un’idea più che valida. Immaginate se si arrivasse magari ad avere un abbonamento unico che consente di vedere le partite di tutti; oppure un merchandising unico con gadget unici che richiamano allo stesso tifo. Una gran bella cosa ma direi che è bene si inizi da chi, oggi, condivide gli stessi spazi. Se Itas e Aquila si trovassero d’accordo nel condividere spazi ed un’unica gestione il Trento non potrebbe che accodarsi con orgoglio».
Si conosce bene il giacca pubblico, meno quello privato.
«Sono stato cresciuto quasi esclusivamente da mia mamma, mio padre è morto giovane di malattia, quando io avevo 16 anni. Mia madre è stata la prima donna a ricoprire il ruolo di funzionario della Cassa di Risparmio di Trento e Rovereto. Una donna forte che mi ha insegnato il rispetto e la serietà nelle cose che si fanno».
Come concilia le sue attività, imprenditoriale e di dirigente sportivo?
«Oggi mi sento orgogliosamente un artigiano, non un imprenditore. Dedico il 100% all’azienda, voglio bene ai miei collaboratori ai quali ho riservato un’area della nostra sede dove potersi intrattenere a fine lavoro per bere qualcosa e fare anche delle grigliate nella bella stagione. Spesso invito anche amici e titolari di altre aziende. Dedico il 90% all’azienda, al Trento riservo un 10% che spesso è fatto delle ore del dopocena e della domenica, ovviamente. Ho fondato la Giacca Mauro nel 2001 divenuta poi Giacca Srl nel 2004. Allora avevo 10 collaboratori, oggi sono 115. Di certo non posso mollare più di tanto, piuttosto cerco di essere ovunque. Dopo le partite io mi fermo negli spogliatoi della società che ci ospitano e provvedo personalmente a pulire dai rifiuti che lasciano i giocatori. Perché io voglio che Trento e i trentini lascino una buona impressione anche su queste cose».
Ancora una cosa. È vero che lei gode di buoni uffici con la Santa Sede?
«Sono credente, ho diversi rapporti in Vaticano e sono sempre a disposizione per lavori e interventi a titolo volontario».
l'intervista
di Davide Orsato
L’analisi del giornalista che ha di recente pubblicato un manuale per spin doctors dal titolo «Non difenderti, attacca» e contiene 50 regole per una comunicazione politica (imprevedibile e quindi efficace)