L'INTERVISTA

lunedì 3 Aprile, 2023

Fatima Zahra El Maliani, cavaliera al merito: «I requisiti per richiedere la cittadinanza non definiscono il mio essere italiana»

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La studentessa torinese sarà a Trento a settembre per frequentare il secondo anno della laurea magistrale presso la Facoltà di Sociologia

Avremo una cavaliera al merito in città. Fatima Zahra El Maliani, nata a Meknès in Marocco ma in Italia da quando ha memoria, è arrivata a Torino con la madre e la sorella nel 2002, quando aveva appena 2 anni. Studentessa della laurea magistrale congiunta in International Security Studies a settembre sarà a Trento per frequentare il secondo anno. Fatima ha ricevuto l’onorificenza al merito dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella che l’ha scelta “motu proprio” per la fondazione del progetto «Younicef», che aiuta bambini e bambine stranieri nel doposcuola. Paradossalmente, però, Fatima non è ancora italiana.

Cavaliere nell’ordine dei meriti per l’impegno nel doposcuola accanto a bambine e bambini stranieri. Come è nato il suo progetto?

«Durante il periodo in cui vivevo a Torino spesso ricevevo richieste da parte di mamme straniere per ripetizioni post scuola. Non essendo loro in grado di supportare i propri figli con i compiti per evidenti lacune linguistiche si rivolgevano a me ed io, all’epoca al primo anno di università, dedicavo le mie domeniche a questa attività. Questo, in realtà, era un grido disperato di aiuto da parte di tantissime famiglie immigrate che vivono a Porta Palazzo, uno dei quartieri più multietnici della città dove c’è un altissimo tasso di povertà educativa. Così nel 2019, grazie all’appoggio di Unicef che mi diede carta bianca, fondai «Younicef», il progetto di doposcuola che non si ferma allo studio ma dove organizziamo anche altre attività come l’incontro di poco tempo fa con il consigliere comunale di origine somala Abdullahi Ahmed e visite nelle rsa del territorio, attività che creano consapevolezza nei bambini e senso di cittadinanza. Il tutto è frutto della mia innata predisposizione all’aiuto dei bambini in difficoltà».

Forse perché anche lei, un tempo, è stata una di questi bambini?

«Sì, io ero una di loro. Non so come sarei stata al giorno d’oggi se non avessi frequentato il Sermig di Torino, il servizio missionario giovani organizzato dalla diocesi. A nove anni mia madre mi iscrisse a quel doposcuola ed è proprio lì che sono cresciuta a livello scolastico ma anche a livello personale. Ero una bambina molto insicura, bombardata da mille incertezze, ero arrabbiata perché mi sentivo diversa, fuori luogo anche a causa delle mie origini. Vedevo mia mamma faticare più di altri per mantenere me e mia sorella e notavo che per altri bambini le prospettive erano migliori delle mie».

Dalle difficoltà da bambina a una delle più prestigiose Università italiane con tanto di borsa di studio…

«Già al liceo scientifico di Torino ottenni una borsa di studio per proseguire gli studi al Collegio del Mondo Unito dell’Adriatico a Trieste, dove mi sono diplomata e dove posso dire di aver iniziato a vivere in modo indipendente. Una strada che volevo continuare a percorrere, così, ho provato ad iscrivermi in alcune Università europee ma purtroppo, senza cittadinanza italiana, le tasse che avrei dovuto sostenere come cittadina marocchina erano esorbitanti, quindi sono dovuta rimanere in Italia. Dopo la laurea triennale in Giurisprudenza a Torino ho provato ad entrare al corso di laurea magistrale congiunta in International Security Studies presso l’Università di Trento e la Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa. A onor del vero, ho affrontato la selezione con l’autostima bassissima ed avevo preventivato l’1% di possibilità di superarla. Invece, sono arrivata prima in graduatoria ed ho quasi concluso il primo anno. A settembre sarò in Trentino per la seconda parte del corso».

Si ricorda il momento in cui le è stata comunicata la nomina?

«È stato un momento epico. Io non sapevo nemmeno della nomina, che deve essere arrivata al Quirinale attraverso un articolo che il Corriere della sera dedicò al progetto “Younicef” di Torino. Erano le 9 del mattino di un venerdì e mi stavo riposando quando improvvisamente mi arriva una chiamata da un numero molto strano. Credendo fosse uno dei call center che giornalmente mi contattano con messaggi pubblicitari non ho risposto. Alla seconda chiamata ho ceduto e quando la signora si è presentata menzionando il Quirinale complimentandosi con me ho continuato a credere fosse uno scherzo e non ci ho dato peso, ho ringraziato ed ho interrotto la telefonata. Solo la sera, quando ho ricevuto una e-mail ufficiale, ho iniziato a realizzare che cosa stava accadendo. Il giorno dopo c’è stato un boom mediatico ed ho ricevuto moltissime telefonate da numerosi giornalisti».

Cavaliere al merito della Repubblica italiana ma senza cittadinanza. Sembra quasi un ossimoro. Cosa significa per lei non essere italiana (sulla carta)?

«È un ostacolo in più, una filtrazione in più su quello che altri fanno senza problemi. Ad esempio, io non posso lavorare nel pubblico, partecipare a concorsi. Sono limitata in molte cose e il motivo è un reddito minimo che non riesco a dimostrare ma che, a mio avviso, non definisce la mia italianità».

Si spieghi meglio.

«Vivo in Italia da 20 anni, ho seguito un percorso scolastico identico a quello dei miei coetanei, mia madre ha la cittadinanza italiana ma io, non avendo il requisito del reddito minimo, che equivale a 9000 euro annui, non posso ottenere la cittadinanza. Dimostrare di avere entrate per tre anni consecutivi pari o maggiori a 9000 euro è obbligatorio per poter richiedere la cittadinanza. Io al momento, frequentando l’università, non posso permettermelo. Dovrei abbandonare gli studi per diventare cittadina italiana ma è un compromesso che al momento non mi sento di accettare anche per motivi ideologici. Avere quel denaro non dimostra né definisce il mio essere o meno italiana».

Inutile chiederle cosa ne pensa dello ius culturae e dello ius soli.

«Non mi spiego come si possa dire a un bambino che è nato in Italia ma ha i genitori nigeriani che non è italiano e invece dare la cittadinanza a un altro che ha il trisnonno italiano ma in questo Paese non c’è mai stato. Significa che il sangue è diverso, ha un valore diverso. Io, ovviamente, sono favorevole a entrambe le soluzioni perché noi, cresciuti in Italia, ci sentiamo di condividere i valori repubblicani, i valori dell’Italia e esigiamo che le nostre azioni siano riconosciute. Mi hanno detto che grazie a questa nomina potrei ricevere la cittadinanza ma questo non risolve il problema alla radice.  Il punto di svolta sarà quando non avremo più bisogno di chiedere la cittadinanza ma ci verrà data senza doverla elemosinare».

Cosa ne pensa del nuovo governo Meloni?

«Mi aspetto dalla classe dirigente che prenda in considerazione tutti. Le aspettative sono sempre state traballanti ma non escludo totalmente che il tema della cittadinanza non venga preso in considerazione. Mi sento di darle fiducia anche se non sono felice che ancora oggi le nostre vite debbano essere messe ai voti.  Mi auguro che venga fatto un ragionamento sincero che porti a capire il vero valore e l’essenza delle persone. Sarà il tempo a decidere».

La strage di Cutro è stata oggetto di grandi dibattiti politici. Lei che idea si è fatta di ciò che è accaduto?

«Per me è poco chiara la tecnicità di quanto successo, non posso dire molto a riguardo ma di una cosa sono certa: mi fa rabbia a prescindere dal colpevole. Le confido una cosa: una delle mie più grandi paure di sempre è quella di morire soffocata, schiacciata, mentre cerco invano di aggrapparmi alla vita pur sapendo di star morendo. È una paura innata ma quando vado a dormire sono serena perché so di essere al sicuro. Poi penso a quelle persone, bambini, donne che hanno scalciato, gridato in acqua e che hanno provato disperatamente fino all’ultimo a mettersi in salvo tra le onde, finché il muscolo non li ha abbandonati e sono finiti negli abissi. Qualcuno ancora purtroppo è rimasto laggiù. Tutto questo mi fa sentire poco umana e, in qualche modo, responsabile. Al loro posto potevo esserci io, mia mamma o mia sorella».