Crisi climatica
domenica 7 Maggio, 2023
di Francesca Fattinger
Simone Ficicchia, 21 anni, è un attivista ambientalista. Ha conosciuto Ultima Generazione, un gruppo di persone comuni che fanno azioni di disobbedienza civile non violenta contro il collasso climatico, nel 2021, quando studiava storia all’Università di Padova. In quei mesi ha vissuto un momento di grave crisi rispetto all’attivismo che aveva fatto fino ad allora, perché non stava dando l’incisività che riteneva necessaria. Per questo è entrato in Ultima Generazione e a inizio febbraio 2022 è arrivato a fare la prima delle sue azioni, che gli hanno fatto rischiare la sorveglianza speciale. Il 6 maggio sarà a Rovereto per un intervento al Wired Next Fest, il più grande evento in Italia dedicato all’innovazione e all’impatto delle tecnologie digitali, per riflettere sul rapporto tra protesta e comunicazione digitale.
La vostra protesta parte dalla vernice, ma è la vostra immagine veicolata dal digitale che ne moltiplica la forza e la risonanza. Qual è allora il vostro vero strumento di protesta?
«È una cosa comune a molti movimenti dell’era digitale e anche noi ci siamo sicuramente adattati, con il pensiero che la disobbedienza civile è qualcosa che deve aprire una conversazione pubblica su un tema che si ritiene non abbastanza trattato. Il primo passo quindi per Ultima Generazione è stato quello di parlare della crisi climatica e farlo attraverso i media, che siano quelli più tradizionali e ovviamente i social, che ci danno anche la possibilità di avere un’informazione gestita direttamente da noi e non mediata. Quindi sì, sono un elemento importante della protesta e sono in forte crescita i nostri canali social. Però noto che molto spesso rappresentano forse meno di quanto pensiamo il paese reale. È vero che vediamo commenti per la maggior parte negativi sui social, molto violenti e arrabbiati, che rappresentano una parte del paese, perché i nostri mezzi sono sicuramente divisivi, però allo stesso tempo quando poi si va in giro per l’Italia a parlare con le persone e a fare le presentazioni ci si rende conto che in realtà tutta questa rabbia cade. È una rabbia molto indotta dal sistema social».
Il digitale gioco forza quindi vi aiuta ad amplificare la vostra voce. Quali sono i suoi punti forti e quali i rischi?
«A livello tecnologico, al di là del mezzo social e dei rischi di cui ho appena parlato, un aiuto molto grosso ci viene dato da tutte quelle piattaforme che ci permettono di comunicare a distanza però in maniera diretta. Noi siamo dislocati un po’ in tutta Italia, la maggioranza delle riunioni che facciamo sono quindi su Zoom e questo ci ha permesso di crescere. Molto probabilmente se la campagna fosse nata prima del Covid non avrebbe avuto la stessa forza. Non avremmo avuto ad esempio fin da subito l’idea di fare delle presentazioni e riunioni online e non saremmo neanche cresciuti così tanto. Questo mezzo ci ha poi permesso di collegarci anche a gruppi di altri paesi. Nella rete internazionale A22 di cui facciamo parte c’è un continuo scambio da una parte all’altra del mondo di pratiche e consigli».
Qual è il confine, se esiste, tra la natura che volete proteggere, l’arte che usate come vetrina di protesta e la tecnologia che fa diventare le vostre proteste virali?
«Uno dei grossi errori dell’uomo degli ultimi secoli che ci ha portato a una situazione di crisi climatica e di collasso degli ecosistemi sta proprio nel fatto di pensarci separati dalla natura. Quindi per me queste tre cose vanno insieme, nel senso che sono appunto legate: uno è il grosso contenitore, cioè la natura, e poi ci sono l’arte e la tecnologia, che sono prodotti dell’uomo, ma che è natura esso stesso. Noi non usiamo questo slogan, perché viene da altri movimenti, ma spesso si dice che “siamo natura che si difende” e quindi la mostruosità, quello che è fuori natura, è la deriva che ha avuto la rivoluzione industriale e il fatto che abbiamo smesso di pensarci come un tutt’uno».
Come sintetizzerebbe il vostro messaggio in termini concreti? Quali sono, in altri termini, le principali istanze di Ultima generazione e dell’intero movimento?
«Le richieste del movimento sono la fine dei finanziamenti con soldi pubblici all’industria del fossile e lo spostamento di alcuni miliardi delle tasse dei cittadini che vanno all’estrazione di petrolio, gas e carbone in progetti di rinnovabili e di assestamento del territorio italiano rispetto agli eventi climatici estremi che stiamo vivendo sempre di più.
Perché imbrattare proprio opere d’arte e monumenti?
«A livello pratico l’idea di inserire l’arte nella protesta e, anche di farlo attraverso la tecnologia che amplifica il nostro messaggio, è anche per far notare alle persone quanto teniamo a un bene così prezioso che sarà uno di quelli più colpiti dalla crisi climatica. Quindi per integrare in una protesta che è politica anche un amore per l’arte. Siamo spesso di fronte a persone scandalizzate per una colla su un vetro che è venuta via dopo dieci minuti, cosa succederà quando non avremo più soldi per tenere aperti i musei? Pensate poi al fatto che i monumenti sono erosi millimetro dopo millimetro da piogge acide e smog e polveri sottili e che questo lo stiamo causando noi dimenticandoci di dover essere i custodi di queste opere di inestimabile valore. Molti storici dell’arte hanno dato questo tipo di parere rispetto alle nostre azioni: sono un modo per riconsiderare il museo qualcosa di politico, in osmosi con la società».
il festival
di Redazione
“Tieni il tempo!” è il titolo scelto per la decima edizione del Festival, che animerà Rovereto fino a domenica. Ospite della prima giornata il famoso climatologo