Lo spettacolo
giovedì 18 Maggio, 2023
di Federico Oselini
Tutti hanno nel cassetto un sogno impossibile, ma non sono tanti a poter dire di averlo realizzato. L’escapologo e illusionista trentino Andrew Basso, classe 1985 e originario di Borgo Valsugana, è sicuramente uno di quelli che ce l’hanno fatta e, dopo dieci anni di tour mondiale che l’hanno visto protagonista sui più importanti palcoscenici mondiali con lo spettacolo dei record The Illusionist, si prepara ad un ritorno a casa in grande stile con il suo nuovo one man show Credi nell’Impossibile. Acclamato come l’erede del grande Harry Houdini e considerato l’escapologo numero uno al mondo, Basso salirà sul palco del teatro Sociale di Trento questo weekend – sabato alle 21 e domenica alle 17.30 e alle 21, con biglietti ancora disponibili per quest’ultima replica aggiunta last minute – per regalare a chi l’ha visto crescere un’ora e mezza all’insegna dello stupore, del divertimento, di grandi emozioni e in cui, come dichiara, «non vedo l’ora di farvi credere nell’impossibile».
Andrew Basso, che effetto le fa tornare «a casa»?
«Questa volta devo dire che sono stati i trentini a togliermi il fiato, e non il contrario. Ci tenevo molto a fare un bel ritorno a casa, ma questi sold out hanno superato ogni mia aspettativa: spero davvero, con l’aggiunta della terza replica, di riuscire ad accontentare tutti, compresi quelli che come me arrivano spesso all’ultimo minuto. Anche perché sarà l’ultima chance per vedere lo spettacolo».
A proposito, ha dichiarato che proporrà numeri «mai visti».
«Gli spettatori vivranno novanta minuti di magia, illusionismo, ed escapologia in cui farò loro trattenere il fiato assieme a me, con numeri adrenalinici. Ci saranno però anche momenti esilaranti, di puro divertimento, in cui le persone interagiranno con me sul palcoscenico. L’impossibile è il minimo comune denominatore di ciò che presento, e può avere varie sfaccettature: saper mescolare le carte “all’americana” con una sola mano, contattare lo spirito di Houdini o stare in apnea a testa in giù chiuso in una stretta vasca piena d’acqua sono cose diverse e richiedono abilità diverse, ma che al primo approccio sembrano appunto impossibili. Sa cosa le dico? Che negli anni ho capito che l’impossibile è solo l’inizio di ogni viaggio».
Parlando di Harry Houdini, lei è acclamato come suo erede. Come si è avvicinato a lui?
«Da bambino divoravo tutti i libri di magia che trovavo, e lui in questi era onnipresente. Così mi chiesi il perché di questo nome “immortale” e, leggendo la sua biografia, mi resi conto delle incredibili imprese che lo resero un mago leggendario. Avevo quattordici anni, l’età in cui tutte le cose che mamma ti dice di non fare assumono ai tuoi occhi un grande fascino: nel mio caso erano quelle pericolose. Cominciai così a farmi legare da mio padre a una sedia con decine di metri di corda, arrivando a farmi ammanettare e incatenare all’interno di un baule d’acciaio che venne calato nel lago di Caldonazzo: fu un esordio indimenticabile come escapologo».
Ha avuto altri maestri ispiratori?
«Sono cresciuto guardando in televisione l’illusionista Tony Binarelli e il mago Silvan, con però il mito dell’americano David Copperfield: è guardando lui che tentava di liberarsi prima di cadere nelle impetuose cascate del Niagara che ho iniziato a sognare in grande. Però il mio vero maestro è il trentino Sergio Molinari, che mi prese sotto la sua ala quando avevo dodici anni e che tutt’oggi riconosco come la figura che mi ha “cresciuto” nella magia».
Ci racconta il momento esatto in cui ha capito che questo sarebbe stato il suo destino?
«Avevo otto anni e a Bolzano vidi un prestigiatore far sparire una pallina rossa, che riapparì nella mano di mia madre Clara: in quel preciso istante nacque il mio sogno di diventare un mago capace di regalare emozioni indimenticabili».
C’è un incontro, nel mondo artistico, che le ha cambiato la vita?
«Mi trovavo a Saint Vincent, sul set televisivo di “Masters of Magic”, condotto da Walter Rolfo, e fui notato da un grande ospite americano che rimase impressionato delle mie abilità di escapologo. Otto mesi dopo, grazie a quell’incontro, mi trovai sul primo palcoscenico internazionale: quello del Sydney Opera house in Australia. Fu solo l’inizio del successo stratosferico di “The Illusionists”, spettacolo che riunisce i sette migliori illusionisti al mondo e con il quale ho girato il globo per dieci anni consecutivi, calcando i più prestigiosi palchi mondiali, dal Pantages di Hollywood al Marriot Marquis di Broadway».
Lanciando uno sguardo alla sua giovinezza, chi è stato il primo a credere in lei?
«Mio padre Armando. Fin da subito è stato il mio assistente e fan numero uno: grazie a lui ho potuto muovere i primi e fondamentali passi e seguire la mia passione per la magia».
Tra le varie arti dell’impossibile, come mai si è avvicinato proprio all’escapologia?
«Amo la paura, è un’emozione che mi affascina e trovo incredibile l’effetto che ha su di noi: affrontarla a modo mio mi ha aiutato a superare tante paure che portavo con me. L’escapologia è quindi la compagna di gioco perfetta, in quanto è l’unica disciplina dell’arte dell’impossibile dove la paura è uno dei fattori più presenti. Il numero “La cella della tortura dell’acqua”, ad esempio, racchiude una serie di elementi che lo rendono il più complesso in assoluto: lo spazio stretto, la posizione, il fatto di non poter respirare, le mani e le caviglie bloccate e la possibilità di fallire davanti al pubblico rappresentano un mix che lo rendono altamente complesso soprattutto dal punto di vista mentale».
Lei ha dichiarato: «Sono esattamente dove sognavo di essere da bambino». Dove sogna di arrivare in futuro?
«Le dico solo questo: da bambino sognavo, mentre ora i sogni li vivo».