L'intervista
domenica 21 Maggio, 2023
di Simone Casciano
La mancata nomina di un componente nel Cda dell’Università di Trento da parte della Provincia, raccontata ieri sulle pagine de Il T, che lascia ancora vacante un posto vuota da ormai un anno, è solo l’ultimo screzio tra le due istituzioni i cui rapporti appaiono ormai incrinati. Se l’evento scatenante è stato forse l’affaire medicina, quando Fugatti si mosse in autonomia dall’Università di Trento contattando direttamente la facoltà di Padova, il fatto più grave rimane il primo bilancio in rosso certificato dall’ateneo un mese fa. Un fatto inedito nella storia dell’Università di Trento, figlio del mancato adeguamento del finanziamento provinciale all’ateneo, e che preoccupa molto l’ex rettore Davide Bassi. Oggi vicepresidente dell’Università della Svizzera Italiana ma alla guida dell’Università di Trento dal 2004 al 2013 e a lungo professore di Fisica sperimentale al dipartimento di Povo.
Davide Bassi cosa ne pensa del primo bilancio in rosso della storia dell’ateneo?
«È stata una sciabolata, non potrei definirla altrimenti. Ai miei tempi una cosa così sarebbe stata inimmaginabile, spero che la situazione si risolva».
La preoccupa?
«Beh, da vicepresidente dell’Università della Svizzera Italiana è mia preoccupazione che i conti siano sempre in pari. Non perché ci siano dividendi da distribuire, ma perché abbiamo il compito di fare ricerca e istruzione. Se il bilancio va in deficit significa che l’università è esposta, una volta può essere un fatto estemporaneo, e l’ateneo di Trento ha i mezzi per far fronte a questo, ma se si protrae l’autonomia dell’università è a rischio».
Perché?
«Perché non si può andare avanti con i conti in rosso e allora che si fa? Si chiedono prestiti, si fanno debiti, ma questo mette in discussione l’autonomia di un ateneo. È un momento delicato, ma non ho dubbi nelle capacità dei vertici dell’università, riusciranno a risolverlo»
Questi problemi sono figli della legge delega del 2011?
«No, tutto questo è figlio di una giunta che ha relegato l’università e la ricerca in fondo alla lista delle priorità. L’università si mantiene con i fondi che arrivano dalla Provincia e dallo Stato e la prima è stata mancante in questo senso».
Il suo è un J’accuse a tutte le giunte?
«No, no io mi riferisco proprio a quest’ultima, che ha di fatto limitato i finanziamenti all’università. Se vuole che l’ateneo vada avanti bisogna aumentare le risorse, anche alla luce della nuova facoltà di medicina».
In che senso?
«Che i costi aumentano e i soldi l’università non li può tirare fuori da un sacco magico. Aumenta la spesa per il personale e quella per gli spazi. La Provincia non può pensare che sia l’ateneo a far fronte a tutto questo».
Lo Stato che cosa può fare?
«Lo Stato ha dato una delega alla Provincia. Il mio augurio è che di fronte alle prolungate mancanze da parte della giunta lo Stato possa intervenire, ma sarebbe una soluzione triste per un ateneo nato come università libera per volontà della Provincia. Senza contare che legandosi allo stato rischierebbe di diventare marginale nel grande sistema universitario nazionale. Per questo ci vuole chiarezza».
Cioè?
«Se il presidente Fugatti e la giunta non ritengono che sia una priorità finanziare adeguatamente l’Università di Trento devono avere il coraggio di dirlo ai cittadini. Ancora di più adesso che siamo vicini alle elezioni. E che si apra un dibattito pubblico. È una priorità per la Provincia a no? Mi sembra sia fondamentale che se ne parli di più o vogliono parlare sempre e solo di orsi?».
Professore si può fare un bilancio della legge delega a più di 10 anni dalla sua introduzione?
«Direi che ha i suoi pro e i suoi contro. L’Università di Trento funziona bene quando c’è sinergia con la Provincia. Non significa ingerenze, ma lavorare insieme. Quando invece la si riduce a un ruolo marginale o non particolarmente avanzato tutto si perde. La delega può essere un acceleratore di potenzialità, ma anche un freno. Dipende dalla visione politica che le si dà».
E intanto i laureati se ne vanno…
«Certo e verranno da me in Svizzera dove guadagnano il triplo. Questo però mi lasci dire è responsabilità anche delle imprese. Questo si chiama mercato e il problema mi sembra strutturale di tutto il paese».
Per ora, comunque, cambi di rotta non se ne vedono all’orizzonte, quali rischiano di essere i primi effetti di un bilancio in passivo?
«Visto il patrimonio non è che si rischi di portare i libri in tribunale domani. Una banca pronta a sostenere l’ateneo si trova, ma è imperativo che non diventi un problema strutturale. Non può andare avanti per altri 5 anni come già successo in questi 5, dove le risorse extra hanno coperto i problemi. Tagli ne sono già stati fatti, che altro si può fare? La logica di un’università non è quella di un’azienda, non c’è un prodotto commerciale da vendere».
E se fosse strutturale?
«Allora il modo più semplice di rientrare è tagliare i costi. Non sostituire i professori che vanno in pensione o si trasferiscono, ma questo è un cane che si morde la coda. Perché meno professori significa anche minore capacità di intercettare i fondi di ricerca. Anche per le risorse del Pnrr serve personale sennò i progetti non vanno avanti con tutto quello che ne consegue. Mi faccia essere chiaro: i piccoli risparmi e l’efficientamento l’ateneo lo ha sempre fatto, anche quando ero io rettore e i conti erano solidi. Si chiama buona gestione, perché i soldi sono sempre dei cittadini. E proprio perché appartengono a loro è giusto se ne parli».
E torniamo alla Provincia.
«È stata la Giunta a volere la facoltà di medicina, ma le entrate non sono adeguate. Non c’è stato un finanziamento ad hoc. Qui a Lugano per la facoltà è stato previsto un extra-budget che ha accompagnato il progetto per 10 anni. Come si fa a partire con un’idea così ambiziosa senza destinarle risorse adeguate? È da irresponsabili. Mi sembra che gli assessori siano andati alla “armiamoci e partite”. Un tempo la Provincia credeva che la ricerca fosse un punto di forza del Trentino, è ancora così? Bisogna che se ne parli, che ci sia un dibattito pubblico, con la consapevolezza che rinunciare alla ricerca significa relegare l’ateneo di Trento alla marginalità. La Provincia deve fare una scelta strategica e avere il coraggio di dirlo ai cittadini. Non si può parlare di eccellenza a vuoto, l’eccellenza costa».
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