Storie
lunedì 31 Ottobre, 2022
di Sara Alouani
Passo trascinato, occhi sbarrati e sguardo perso nel vuoto entra in ospedale con una giacca troppo leggera per una serata piovosa di febbraio. Viveva così Frank Contreras Castillo nel 2019 quando lo incontrai dopo gli anni trascorsi insieme tra i banchi delle scuole medie.
Nato a Cuba nel 1991, si è trasferito a Trento con la madre all’età di 6 anni. Dj e cuoco per passione, Frank ha suonato in diversi locali a Trento e ha lavorato in alcuni ristoranti di Londra e Manchester, ha, però, anche dovuto fare i conti con un passato fatto di abuso di droga ed alcool per parecchi anni. Oggi Frank è una persona diversa, lavora presso il nuovo fast food Pescaria e si reputa molto felice.
Come è stata la sua vita a Trento?
«Sono nato a Cuba e cresciuto a Meano con mia madre e suo marito che è italiano. Per questo ho la cittadinanza italiana, mia mamma è una cittadina naturalizzata. Ho anche una sorella più piccola nata dal loro matrimonio. Meano era un posto in cui tutti i miei coetanei fumavano e bevevano, io frequentavo persone che facevano lo stesso, anche più grandi di me e per sentirmi parte del gruppo ho iniziato a fumare molto precocemente, in adolescenza, poi mi sono avvicinato anche all’alcool e alle droghe e per anni sono andato avanti con questo genere di vita. In quel periodo non ero più me stesso, ho cominciato ad avere screzi con la mia famiglia e ci siamo allontanati molto. Così nel 2014 sono andato all’estero».
Cosa l’ha portata a trasferirsi in Inghilterra?
«Nel mio paesino purtroppo ho potuto vivere esperienze poco belle, la gente quando mi vedeva bestemmiava borbottando, mi chiamava negro, alcuni scrivevano sul muro frasi razziste, forse anche un po’ per farsi notare, per sentirsi migliori. Tutto questo mi infastidiva. Io non amo i pregiudizi ed ho capito che la mia mentalità era molto lontana dalla loro. A Milano, un giorno, notai che qualcuno aveva attaccato fuori dal Mc Donald’s dei poster con frasi razziste come “ritornate a casa vostra, rimandiamoli al loro Paese”. Ecco, questo genere di cose mi feriva sempre. Ho sempre faticato a capire la logica delle persone. Molti in passato mi hanno attaccato perché, essendo io di colore, credevano fossi ignorante, ma credo fermamente che la vera conoscenza stia nell’accettare la diversità. Certo, magari non avrò conseguito una laurea ma conosco la cultura della diversità ed è importantissima. Ho passato un periodo in cui ero depresso, abusavo di sostanze stupefacenti ed alcool, non riuscivo a trovare lavoro e non avere qualcosa da fare mi ha fatto chiudere in me stesso. Non vorrei addossare tutta la colpa ai pregiudizi ma sicuramente hanno giocato un ruolo molto importante nella mia ricerca lavorativa. Quando portavo i curriculum vedevo sguardi disinteressati e non venivo mai chiamato. Le poche volte che ho trovato un impiego è stato tramite un passaparola di conoscenze a cui serviva un lavoretto saltuario».
In Inghilterra ha avuto un’esperienza migliore?
«Si, a Londra, Norwich e Manchester ho lavorato tranquillamente. Facevo l’aiuto cuoco. Cucinare è quello che so fare meglio, mi piace molto e l’ho sempre fatto per passione. Mi arrangio in cucina da quando ho 14 anni perché mamma e papà lavoravano sempre. Certamente non sono mancate battute poco gradevoli da parte di colleghi inglesi ma ho sempre trovato lavoro con facilità. Qui a Trento ho vissuto nella speranza attendendo una chiamata di lavoro, invano».
Perché è rientrato in Italia?
«Sono rimasto in Inghilterra solo 9 mesi, ancora non stavo bene mentalmente, mi sono ritrovato per strada e sono rientrato a Trento con il supporto della mia famiglia. Nel 2015 mia mamma mi ha offerto un viaggio per tornare a Cuba, perché erano anni che non andavo a trovare mio padre, forse l’ha fatto per aiutarmi ad uscire da un brutto periodo e mi ha fatto molto piacere. Sono rimasto sei mesi ed è stata una vacanza molto importante. Mia madre è stata, ed è tuttora, un pilastro portante nella mia vita, è una gran donna e lo rimarrà sempre. Purtroppo, però, al mio rientro da Cuba la situazione in casa non era tra le migliori. Litigavo con la mia famiglia tutti i giorni, avevo capito che la mia presenza in casa era diventata ingombrante ed insostenibile, così, con dispiacere me ne sono andato. Mi sono trovato nuovamente a vivere in strada: dormivo nei parchi, molte volte mi ospitavano alcuni amici, quando faceva troppo freddo o pioveva mi riparavo all’Ospedale Santa Chiara e categoricamente avevo discussioni con le guardie, perché non gradivano la mia presenza. Spesso venivo cacciato».
Oggi lei è molto cambiato. Come è riuscito a rifarsi una vita a Trento?
«Nel 2020 ho avuto la fortuna di essere seguito da un’assistente sociale che mi ha inserito nella casa di accoglienza ‘Il Portico’ a Rovereto. Per me è stata una vera svolta. Chiaramente da parte mia c’è stata la volontà di cambiare ed interessarmi della mia vita, di questo mi prendo il merito. Ad un certo punto è stato come se fossi diventato adulto tutto d’un tratto dopo tanti errori commessi nel passato. La mia età mi ha portato a volermi sentire migliore, non volevo passare la vita a non fare nulla. Ho iniziato a leggere molto, ad informarmi e ho riscoperto la voglia di studiare. Siamo bombardati di centinaia di informazioni provenienti da fonti disparate ma poi, quando si tratta di comunicare con altre persone, bisogna farsi un’idea critica e non si può parlare a vanvera. È necessario informarsi, interessarsi ed io non smetto di farlo. Credo che non si finisca mai di imparare. Infatti, ho ricominciato le scuole serali: frequento l’ultimo anno presso l’Istituto Tecnico Economico A. Tambosi, perché vorrei diplomarmi. Lo scorso luglio mi sono candidato online ad una posizione a Pescaria ed ora lavoro come aiuto cuoco, che è proprio quello che ho sempre voluto fare».
Ha ancora problemi legati ai pregiudizi?
«Credo che i pregiudizi siano frutto delle idee sbagliate che le persone si fanno basandosi sulle apparenze. Ad esempio, il fatto che molti crimini commessi da stranieri vengano spesso pubblicizzati oltre misura e siano oggetto di propaganda influisce sul modo in cui le persone guardano me ed altre persone di origine straniera o straniere. In cucina a Pescaria abbiamo tutti un background straniero. Io lavoro con un ragazzo colombiano, una marocchina, un marocchino ed una moldava. In sala, invece, sono tutti italiani. Io mi comporto in modo educato e vengo trattato allo stesso modo. È così che abbatto i muri del pregiudizio, infatti, ora mi trovo molto bene e non subisco comportamenti discriminatori come in passato».
Con che occhi guarda al futuro?
«Io sono molto positivo. Ora sono ospite presso la struttura di prima e seconda accoglienza ‘Il Sentiero’ e sono molto felice. Sto facendo il bravo. Qualcosa finalmente si è mosso nella mia vita e continuerò a darmi da fare nel mio percorso formativo e lavorativo. Vorrei trovare una stabilità economica per permettermi una casa tutta per me. Io mi sto impegnando al massimo ed ho anche ripreso i contatti con mia mamma: le scrivo tutti i giorni».