L'INTERVISTA
domenica 4 Giugno, 2023
di Francesca Dalrì
«Il clima culturale negli ultimi 40 anni è radicalmente cambiato. La famiglia come istituto vive oggi un momento di crisi e ripensamento importante, spesso isolata e impreparata nell’affrontare le sfide di una società molto richiedente e frammentata. Grava inoltre su questo quadro l’aumento di famiglie sotto la soglia di povertà e la presenza di coppie migranti che, oltre a vivere situazioni di precarietà alloggiativa e lavorativa, risultano privi dei riferimenti familiari e culturali necessari alla positiva assunzione del proprio ruolo genitoriale». È un’analisi che potremmo attribuire a un sociologo quella di Giuseppe Spadaro, presidente del tribunale dei minori di Trento. Un’analisi che parte da un anniversario: quello della legge 184 sull’affidamento familiare che quest’anno compie 40 anni. Approvata nel 1983, prevede l’affido temporaneo di un minore a un’altra famiglia, un singolo o una comunità «quando la famiglia non è in grado di provvedere alla crescita e all’eduzione del minore». Ed è proprio ai minori che il magistrato ha dedicato la sua vita, non solo lavorativa. Spadaro è padre di due bambine (una biologica e una adottata) e in passato ha avuto sei ragazzi in affido. A livello lavorativo, invece, prima di approdare a Trento nel gennaio 2021, ha lavorato per nove anni al tribunale dei minori di Catanzaro e per altri sette ha presieduto quello di Bologna.
Presidente, lei parla di una crisi delle famiglie come istituto nella società: vivono una crisi anche al loro interno?
«Oggi i figli rappresentano troppo spesso un rifornimento narcisistico che impedisce ai genitori di vedere le criticità e la bontà di interventi volti alla tutela della loro relazione. Si proiettano sui figli le proprie speranze e i propri progetti, le proprie aspettative, dimenticandosi tuttavia che i figli non sono nostri: sono persone con le loro caratteristiche, il nostro compito è solo quello di aiutarli a essere autonomi».
Quali sono gli aspetti centrali in un percorso di affido?
«Viene data sempre più attenzione al mantenimento dei legami con la famiglia di origine e sempre più energie sono profuse al recupero delle capacità genitoriali di madri e padri fragili, garantendo nel modo migliore il benessere del bambino. I servizi che si occupano di protezione dell’infanzia sono sempre più qualificati e gli operatori sono sempre meglio addestrati a vivere con le famiglie la complessità e le fatiche che affrontano. Ciò è fondamentale affinché il progetto di affido non venga vissuto in ottica punitiva ma come un’occasione di crescita per tutti i soggetti coinvolti: minore, famiglia d’origine, famiglia affidataria, operatori».
Di che numeri parliamo sul territorio?
«Gli ultimi dati disponibili risalgono al 2020 e parlano di 333 bambini in affido, di cui 166 in comunità socio-educative, 46 in centri di pronta accoglienza, 35 in centri per l’infanzia e 86 affidi familiari, per la maggior parte (il 60 per cento) eterofamiliari, ovvero al di fuori del nucleo familiare originario. Nei due anni di Covid anche gli affidi hanno subito una battuta d’arresto».
Al di là della pandemia, i numeri sono stabili?
«La crisi economica ha impattato sulle famiglie trasversalmente, portando a una diminuzione delle famiglie disposte a fare esperienze di affido ma anche di accoglienza familiare. La pandemia ha acuito questa tendenza, limitando le possibilità per le associazioni e l’ente pubblico di organizzare incontri di formazione e sensibilizzazione sul tema. Una leggera inversione di tendenza si è registrata proprio nel corso dell’ultimo anno, nel post pandemia».
A livello di tessuto sociale, sul territorio c’è una rete di supporto alle famiglie che accolgono?
«In Trentino il soggetto principale preposto alla realizzazione del progetto di affidamento familiare è l’equipe multidisciplinare per l’affidamento minori e famiglie (Emamef). Tra le cose di cui si occupa, accompagna gruppi di sostegno e apprendimento: per coppie in attesa di affido o che stanno vivendo l’esperienza, per i figli naturali di queste coppie e i minori affidati, per le famiglie d’origine. Ci sono poi la Provincia e i Comuni che collaborano e promuovono iniziative del privato sociale interessate a valorizzare luoghi di confronto con altre famiglie che desiderano crescere come rete. Una forma significativa di generatività sociale è proprio l’esperienza di quelle famiglie accoglienti che si aprono ai bisogni di altri appartenenti alla comunità, minori: rispondono con un intervento temporaneo e preventivo alla richiesta di una famiglia in difficoltà veicolata dal servizio sociale. Queste famiglie si incontrano per momenti di formazione e supervisione e le interazioni che producono rappresentano un’opportunità di crescita per tutti gli attori coinvolti e per il contesto sociale stesso. Diverse sono poi le iniziative a livello locale, si pensi all’istituzione di un distretto famiglia come “Trento città per educare”. A livello istituzionale ma anche sociale c’è una concordanza nel riconoscere che le famiglie hanno bisogno di ritrovare e ricostruire un tessuto sociale che si sta disfacendo, ricreando una cultura che sappia rimettere al centro la relazione e il benessere dell’altro, soprattutto quando si tratta di soggetti più piccoli o più vulnerabili. La realtà di una rete sociale solida costituisce quella comunità educante che previene situazioni di devianza minorile e la frammentazione dei ruoli sociali, a favore di una riqualificazione delle funzioni educative genitoriali ma non solo».
Oltre alla sua attività in tribunale, lei incontra spesso le scuole: perché?
«La scuola è il contesto educativo privilegiato per veicolare valori fondamentali per la vita di ciascun individuo in formazione, un contesto che mette in dialogo i ragazzi con gli insegnanti, le famiglie e tra loro stessi. Per questo il tema della legalità va portato dentro quella cornice. Aiutare i ragazzi a conoscere le istituzioni, le leggi, i diritti e i doveri di cui sono protagonisti, promuove la responsabilità del proprio agire e aumenta la consapevolezza dei fattori che possono prevenire situazioni di rischio, ad esempio relativamente al cyber-bullismo e ai pericoli nell’utilizzo scorretto della Rete. Di solito faccio venire i ragazzi in tribunale, nell’aula delle udienze, e mi sottopongo alle loro domande. Ad oggi ho incontrato quasi tutte le scuole superiori di Trento e Rovereto».
Guardando al futuro, pensa che il ruolo del vostro tribunale cambierà?
«Un elemento critico certamente da non sottovalutare, in prospettiva futura, è dato dal fatto che l’anno prossimo interverrà l’applicazione dell’ultima riforma del processo di famiglia e minorile (la cosiddetta riforma Cartabia), che prevede l’attribuzione di tali delicati procedimenti a un giudice monocratico dell’attuale tribunale ordinario e non più, come ora avviene, al tribunale per i minorenni in composizione collegiale. La criticità starà proprio nel fatto che a occuparsi di tali questioni sarà chiamato un giudice non abituato a ragionare mettendo al centro il minore, con buona pace della tanto decantata iperspecializzazione richiesta da un mondo sempre più complesso e richiedente come quello dell’affido. Inoltre verrà meno il confronto garantito oggi dalla composizione collegiale».
Quando era a Bologna il suo tribunale ha emesso la prima sentenza che ha riconosciuto come fratelli tre bambini nati da due donne unite civilmente. Le è capitato di affrontare casi simili in Trentino?
«A Trento casi del genere non me ne sono ancora capitati, ma sono qui da poco più di due anni e di mezzo c’è stato il Covid. Il tema mi è molto caro perché ritengo che dove il legislatore si attardi a redigere una normativa chiara e attuale, la giurisprudenza possa e debba intervenire per la tutela di realtà che sono sotto ai nostri occhi. Ciò, in primo luogo, proprio per la tutela dei minori stessi, che già vivono in un determinato contesto e che si vedono privati di alcuni diritti per un’indecisione legislativa di cui non hanno alcuna colpa. Garantire un’adeguata e presente genitorialità, che non ritengo dipendere dall’orientamento sessuale di un individuo, permette di aumentare il benessere dei figli della coppia. In questo senso mi preme precisare che la letteratura scientifica che si è occupata di indagare la salute fisica e psichica dei bambini cresciuti da famiglie omogenitoriali non ha rilevato alcuno svantaggio o danno subito dagli stessi. Ha invece evidenziato come sia la reazione sociale, il fatto che molte persone abbiano forti pregiudizi e discriminino questi ragazzi, a creare loro dei reali problemi di benessere».
l'intervista
di Davide Orsato
L’analisi del giornalista che ha di recente pubblicato un manuale per spin doctors dal titolo «Non difenderti, attacca» e contiene 50 regole per una comunicazione politica (imprevedibile e quindi efficace)