Campi Liberi
giovedì 22 Giugno, 2023
di Gabriele Stanga
Una riforma che ha creato scalpore e anche qualche frattura politica. Il disegno di legge Nordio in tema di riforma della giustizia è al centro del più recente dibattito pubblico. Tra i principali temi toccati vi sono l’abuso d’ufficio, reato di cui il decreto prevede l’abolizione, la pubblicazione di intercettazioni e il divieto di appello riguardo a sentenze di proscioglimento per reati di minore gravità. L’aspetto che certamente ha suscitato più interesse mediatico è quello legato all’abuso d’ufficio. Si è creata sul tema una spaccatura interna alla sinistra con la segretaria del Pd Elly Schlein che si è detta contraria all’abolizione, mentre diversi amministratori appartenenti al partito si sono espressi in modo piuttosto favorevole. In testa il sindaco di Pesaro, Matteo Ricci, che l’ha definita una vittoria di tutti coloro che lavorano nell’amministrazione pubblica. Con lui si schierano anche baluardi storici della sinistra italiana come Fausto Bertinotti. Sarebbe un errore, quindi, farne una questione di bandiere e colori politici.
Abuso d’ufficio
Guardando la questione da un punto vista più prettamente giuridico, il presidente dell’Associazione nazionale magistrati, Giuseppe Santalucia, ha mostrato il proprio dissenso. Tuttavia, molti giuristi appoggiano il decreto. È il caso di Paolo Mirandola, avvocato ed ex consigliere comunale di Rovereto. «La posizione dei sindaci è legittima – dichiara – il 90% dei reati relativi si chiudono con l’archiviazione o assoluzione perché il fatto non sussiste. Si paralizza l’attività amministrativa in modo ingiustificato». Si associa l’avvocato Filippo Fedrizzi, presidente della Camera penale di Trento: «L’abuso d’ufficio è una norma da sempre criticata per mancanza di tassatività. Ci sono stati molti processi basati sul nulla, con l’incubo per gli amministratori di divenire ricattabili. Non si crea un vuoto di tutela, vi sono altre norme in merito e non tutti gli illeciti richiedono una dimensione penale». In modo parzialmente più cauto si esprime Alessandro Melchionda, professore ordinario di Diritto penale all’Università di Trento: «Credo si possa condividere l’esigenza di rivedere la fattispecie, che così com’è formulata ha mostrato criticità – afferma – Allo stesso tempo, però, la totale cancellazione crea un rischio di espansione di altre tipologie di reato parallele. Sarebbe forse più opportuno non cancellare ma sostituire con figure più specifiche e con limiti più definiti. Si potrebbe seguire l’ordinamento spagnolo o tentare qualcosa di simile a quanto provato dalla commissione Morbidelli». Da tempo, infatti, si cerca di modificare la norma. Tuttavia, i molti tentativi di riforma non hanno avuto troppo successo. Secondo Mirandola, poi, «c’è un vizio di fondo relativo alla cultura e al potere della magistratura, di cui non si è mai preso atto. Nordio ha fatto il pm per quarant’anni e conosce i risvolti relativi alla giustizia».
Le intercettazioni
Per quanto concerne le intercettazioni, invece, il ddl amplia il divieto di pubblicazione del contenuto delle intercettazioni. Sarebbe consentita soltanto la pubblicazione delle intercettazioni riprodotte dal giudice nella motivazione di un provvedimento o utilizzate nel corso del dibattimento. Vietato, al contrario, il rilascio di copia delle intercettazioni a chi non sia parte del procedimento. Si sono posti alcuni dubbi sulla tutela della libertà di stampa. «Lo scopo – commenta Fedrizzi – è quello di contemperare il diritto all’informazione con quello alla privacy delle persone intercettate e soprattutto la reputazione, che oggi è un valore di importanza primaria, al pari di vita e libertà personale». L’avvocato spiega anche che non sarebbero previste particolari sanzioni, non limitando eccessivamente l’attività giornalistica. «Il diritto all’informazione deve essere basato sui fatti penalmente rilevanti», conclude. In linea di massima si è detto favorevole anche Melchionda, che ha ribadito: «Non vedo una lesione della libertà di stampa. La costituzione tutela la segretezza delle comunicazioni personali. Limitare la pubblicabilità anticipata delle intercettazioni rispetto ai tempi del processo è una scelta che ha un proprio senso. Ci sono state molte situazioni in cui la diffusione anticipata ha creato problemi a persone coinvolte e poi rivelatesi non colpevoli». Si allinea Mirandola: «È un progetto di libertà, casi come quello di Enzo Tortora non devono più ripetersi. Non si tratta di operare una censura irragionevole al lavoro giornalistico ma di salvaguardare la privacy».
Limiti di appello del pm
Vi è infine l’aspetto della limitazione ai poteri di appello del pubblico ministero. La premessa che va fatta è che nel nostro sistema, per arrivare ad una condanna si deve accertare la colpevolezza dell’imputato oltre ogni ragionevole dubbio. «Se un imputato viene assolto in primo grado e condannato in appello da un altro giudice, è difficile sostenere che vi sia una colpevolezza certa, dato che un dubbio, evidentemente, il primo giudice lo ha avuto» asserisce Fedrizzi. Inoltre, come chiariscono sia quest’ultimo che Melchionda, l’intervento legislativo prevede che il pubblico ministero non possa impugnare le sentenze di proscioglimento non per tutti i reati, ma soltanto con riferimento alle contravvenzioni e ai reati per i quali è prevista la citazione diretta a norma dell’articolo 550 del codice di procedura penale. «La selezione è fatta in funzione di questo criterio tecnico. In parte condivido. Se il giudice ha già espresso un ragionevole dubbio, non ritengo sia una scelta irragionevole precludere l’appello per questi casi», chiosa il professore. Con la riforma Cartabia prima e il ddl Nordio poi, sembra quindi che la politica italiana spesso insensibile alle esigenze del sistema giustizia, stia mostrando una maggiore apertura sul tema.
il caso
di Redazione
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