Archivio T
martedì 27 Giugno, 2023
di Paolo Ghezzi
Cantare en plein air: un modo molto trentino di stare al mondo, di raccontare il mondo. Di alzare la voce ma in modo gentile. E corale. Almeno finché il Trentino non si è normalizzato, adeguato al mondo, quello meno ingenuo e meno armonizzato. Eppure il canto, d’altro canto, in qualche cantone o cantina resiste.
«Canti all’aperto» è una delle opere di Gino Pancheri, nato nella Trento ancora asburgica nel 1905 e morto ottant’anni fa, nella Trento bombardata.
Tra i danni irreparabili e non contabilizzabili delle guerre ci sono anche le opere che ci sono mancate di coloro che sono mancati. Oggi, i musicisti e le musiciste dell’Ucraina che sono stati ammazzati dai missili russi, ieri Pancheri, tra le vittime del primo bombardamento di Trento, il 2 settembre 1943, con altri duecento trentini.
Ce lo ricorda un manuale uscito nella serie «I libri di postergiovani», rivista della Provincia diretta da Mauro Neri, in collaborazione con il Museo di scienze naturali, non ancora ribattezzato Muse. Anno di edizione: il 1996. Titolo: «Trentini illustri – 150 protagonisti della storia del Trentino». Le donne sono solo dieci, un’illustre minoranza. L’autore, il giornalista Paolo Tessadri.
Pancheri, nell’ordine alfabetico dei brevi ritratti, capita al numero 99. Si ricorda che fu profugo in Boemia nella prima guerra mondiale, con migliaia di altre famiglie trentine, che studiò a Brera e si avvicinò al futurismo, incontrando personaggi del calibro di Manzù e Carrà, nonché il poeta Alfonso Gatto. Si ricorda che Pancheri fu, dal 1930 al 1937, segretario del sindacato fascista per le belle arti della Venezia Tridentina, prima di Fortunato Depero.
Artista «inserito» dunque. Vinse un concorso nazionale per la celebrazione dell’Impero e sua è l’immagine dell’Italia coloniale, ora defascistizzata e orfana della firma Mussolini, sulla galleria davanti alla chiesa di San Pietro a Trento.
Ma non solo retorica: Pancheri fu animato da una ricerca interiore, spirituale oltre che pittorica, che nel 1938 lo porta a trasferirsi in Toscana, alla ricerca di cieli più grandi e colori più trasparenti.
Da un cielo più stretto, quello sopra la valle dell’Adige, cadrà la bomba antifascista che lo ferirà mortalmente, causandogli oltre tre mesi di lunga agonia, fino al 23 dicembre 1943. Fine dei sogni di Gino, fine dei colori sotto il cielo.
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