A un anno dalla tragedia

domenica 2 Luglio, 2023

Marmolada, Liliana diceva: «Se devo morire sia in montagna»

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Il ricordo della famiglia dell’ambulante di Levico, unica vittima trentina della valanga del 3 luglio 2022. «Anche il sabato, vigilia della tragedia, era al mercato di Pergine con la sua polleria su ruote. Poi era partita per l’escursione»

«Se devo morire allora voglio che sia in montagna». Amici e familiari avevano sentito pronunciare in più occasioni questa frase a Liliana Bertoldi, unica vittima trentina della poderosa valanga di ghiaccio e roccia che un anno fa (domani) è franata a valle dal ghiacciaio della Marmolada. Capitava spesso che Lilly, come la chiamavano affettuosamente, lo dicesse quando si trovava lassù, in altura, ad allenare le gambe, a riempirsi lo sguardo di panorami mozzafiato, a respirare quella sensazione di infinito. Una frase che l’ambulante originaria di Susà di Pergine e residente a Levico, mamma di tre figlie a cui aveva trasmesso la grande passione per la montagna e lo sci, pronunciava come un mantra. Con quel suo sorriso spontaneo che sapeva colorarle il viso. Quasi a voler provocare il destino. Che le ha dato retta. La commerciante infatti era parte della comitiva dei «Valsuganoti» che quell’incancellabile week end è salita in Marmolada. Di lei si sono persi i contatti dopo che l’enorme seracco del ghiacciaio si è staccato e si è trasformato in una lava che, spietata, ha trascinato nel suo percorso a valle tutto e tutti. Erano le ore 13, 43 minuti e 27 secondi del 3 luglio 2022, come registrato dai sensori per il monitoraggio sismico. Bertoldi è stata la quarta vittima del disastro ufficialmente riconosciuta. L’unica trentina delle undici persone che la montagna non ha risparmiato (tra queste otto venete e due ceche). Pensare che aveva spento 58 candeline solo due giorni prima e proprio in quei giorni era diventata nonna per la seconda volta: una grande gioia per lei.

La donna sportiva
Chi l’ha conosciuta ne parla come di un’escursionista esperta, che saggiava la montagna in ogni stagione, soprattutto in inverno, con gli sci ai piedi, attiva anche negli ambienti sportivi. Era stata in Marmolada, affrontando in parte lo stesso percorso, anche due mesi prima la tragedia, salendo fino a Punta Rocca. Lì dove si è registrato il terribile distacco. «Una famiglia con lo sport nel dna e con un grande spirito altruistico» la nota della Federazione italiana sport invernali del Trentino, un anno fa, spiegando che le tre figlie Francesca, Sara e Caterina avevano intrapreso percorsi agonistici nello sci.

La grande lavoratrice
E poi c’era la Liliana delle levatacce, quella delle trasferte sul furgone, dei polli da cuocere e dei clienti da servire. Instancabile. Sempre gentile e sorridente. «Ogni sabato era al mercato di Pergine con il suo furgone per vendere polli allo spiedo e patatine, ed è stato così anche il giorno prima della tragedia — racconta il cognato, ambulante a sua volta — Quel sabato 2 luglio 2022 è stata l’ultima volta che l’abbiamo vista. Liliana aveva terminato come sempre verso le 14, poi era tornata a casa ed era partita per la montagna, la sua grande passione. Ci andava quando poteva ed è lì che, diceva, voleva morire. Lo ripeteva sempre più spesso». Una donna dolce e altrettanto determinata, la 58enne di Santa Giuliana di Levico. Stacanovista, la descrive ancora il parente. «Sveglia presto la mattina, trasferte con il suo furgone nei vari mercati del Trentino, e fino a tre collaboratori da gestire, che potevano essere anche alcune delle sue figlie. Lo ha fatto per una vita». Ieri il furgone era piazzato come sempre il sabato all’imbocco di via Battisti a Pergine. A preparare i polli il marito Gian Paolo Mattiolo. Blindato nel silenzio anche a distanza di un anno, ma i suoi occhi che ha tentato di nascondere abbassando la testa parlavano più di tante parole.

Gli altri trentini coinvolti
A pochi passi dalla polleria-rosticceria ambulante c’è il bar gestito dall’amica della 58enne, Laura Sartori, che un anno fa era nella stessa cordata. La trentenne però è stata risparmiata. Il primo a soccorrerla era stato il gestore del rifugio Capanna del Ghiacciaio, Luca Toldo, anche lui perginese. Travolto dalla furia di quella maledetta frana grigia anche Davide Carnielli, 31enne di Fornace, consigliere comunale, che era rimasto per due giorni nella lista dei dispersi, ricoverato all’ospedale di Treviso. Ironia della sorte la ferramenta di famiglia è a poca distanza dal bar e dal mercato.
Quel 3 luglio era rimasto ferito anche Giuseppe Spinelli, sempre di Pergine. Altri due compaesani l’hanno invece scampata. E cioè Alberto Casapiccola e Martina Zanei, in quei terribili istanti in cui il fragore del distacco si è alzato sopra le loro teste, sono riusciti ad evitare la titanica colata di tonnellate di materiale rifugiandosi in una nicchia di roccia. «Sento ancora quel fragore che ci ha fatto balzare gli occhi verso la vastità di roccia e ghiaccio che stava improvvisamente crollando su di noi — era stato il racconto di Casapiccola rivivendo quei drammatici momenti — Pochi secondi per fuggire dall’ignoto verso l’ignoto; sarò sempre in debito con questa sorte a cui sono stato risparmiato». Un anno fa lo stesso aveva ricordato Bertoldi in un post, riservandole un augurio: «Ciao Lilly, che tu possa salire sempre più in alto».