Le indagini
mercoledì 5 Luglio, 2023
di Benedetta Centin
I carabinieri del Ris di Parma hanno analizzato uno ad uno i ventisei fucili calibro 270 acquisiti lo scorso autunno da cacciatori della zona di Celledizzo, effettuando test e prove di sparo e procedendo al confronto con il malconcio frammento di ogiva (parte del proiettile), trovato sul cadavere del giovane Massimiliano Lucietti il 31 ottobre 2022. Ma tutti gli sforzi degli specialisti del reparto balistico di Parma al momento non hanno portato ad individuare con certezza l’arma da cui è partito il colpo che quel dannato lunedì mattina ha ucciso il cacciatore di 24 anni nel bosco sopra l’abitato di Celledizzo di Peio, dove abitava con la famiglia.
A quanto trapela, infatti, non sono emersi riscontri scientifici certi, di compatibilità piena, capaci cioè di tenere la prova dell’aula, tra le ventisei carabine su cui gli esperti si sono concentrati. E tra queste c’era anche quella di Maurizio Gionta, il 59enne che aveva rinvenuto il corpo senza vita del ragazzo e che il giorno dopo si è tolto la vita, lasciando un biglietto.
E così, dopo oltre otto mesi di indagini, ecco che si rendono necessari ulteriori verifiche da parte dei militari del reparto investigazioni scientifiche: nuovi accertamenti balistici, questa volta su altri fucili, con calibri simili a quello già vagliato, con l’obiettivo di arrivare a una svolta decisiva nell’inchiesta, di riuscire a dare risposte certe su quello che, a distanza di diverse settimane, continua a rimanere un giallo. I carabinieri della compagnia di Cles già in questi giorni convocheranno in caserma i cacciatori di Celledizzo e delle aree limitrofe alla valle per chiedere loro di fornire i fucili in loro possesso (potrebbero essere circa una decina secondo le prime stime). Armi di un calibro simile e vicino a quello dei fucili già analizzati, tutti con munizioni 270 Winchester (usate per la caccia in montagna). Una scena, insomma, che si ripropone, quella di chiedere ai cacciatori di presentarsi dai militari e mettere a disposizione le armi detenute. Era infatti già accaduto dopo la tragedia. O meglio, la doppia tragedia. E cioè dopo il rinvenimento del giovane operaio senza vita nel bosco, freddato durante una battuta di caccia da un colpo alla nuca, e dopo il suicidio, avvenuto il giorno successivo, di Gionta. Come detto, tra i ventisei fucili finiti nei laboratori di Parma e per i quali non sono emersi profili di compatibilità alta, indiscutibile, con l’ogiva, c’era anche il suo. Detto che si era già stabilito che l’uomo non poteva aver sparato: non erano infatti state trovate tracce di polvere da sparo sulle sue mani e neppure sui suoi vestiti. E a scagionarlo, nei mesi scorsi, erano stati sempre i Ris.
Le certezze, al momento, sono poche ma la Procura di Trento, che coordina il lavoro dei carabinieri del nucleo investigativo di Trento, della compagnia di Cles, e, appunto, del Ris, non intende desistere. Quello che è stato appurato finora è che non era stato il fucile di Lucietti, una carabina Winchester con cartucce calibro 300, ad aprire il fuoco. Ma ad oggi non è ancora stato possibile inchiodare il responsabile, stabilire chi gli abbia sparato al giovane da una distanza che poteva variare, secondo quanto emerso dall’autopsia, da almeno mezzo metro a diversi metri. Ora, ultimate le verifiche sulle carabine con munizioni calibro 270, si amplia lo spettro delle indagini, delle possibilità, guardando appunto a un calibro simile. Un lavoro, quello degli inquirenti, in salita anche per il fatto che il proiettile, o meglio l’ogiva rivenuta sul luogo della tragedia, è molto danneggiata e questo rende più difficoltoso il lavoro degli specialisti di Parma.