L'intervista
giovedì 6 Luglio, 2023
di Lorenzo Fabiano
«Film ne ho fatti tanti, e diversi. La mia è la filmografia di un pazzo, mi mancano solo horror e cartoni animati e poi c’è tutto» asserisce. Occhietti vispi con quell’aria di chi non sai se stia facendo sul serio o ti stia prendendo elegantemente per i fondelli, la battuta che gli scorre veloce nelle vene, Giovanni Veronesi è un cineasta a tutto tondo, poliedrico: regista, sceneggiatore, attore, conduttore di un fortunatissimo programma radiofonico, in quarant’anni di carriera i suoi film hanno inanellato successi di botteghino e critica. Uomo che nell’ironia ha il suo fondamento, questa è però per lui un’estate segnata dal dolore per la perdita di un amico, meglio dire un fratello, Francesco Nuti: «Avevamo tante cose in comune. Per merito suo il nostro era un rapporto alla pari, sebbene lui fosse più famoso e ricco di me. “Quando sei povero, hai bisogno di un amico ricco; ma quando sei ricco, hai bisogno di un amico povero” diceva. Francesco era un uomo molto generoso».
Ora si ricordano tutti di lui, ma in troppi se lo erano dimenticato. Non crede?
«È un mondo strano dove la gente fa prima a dimenticarsi delle persone che ha amato piuttosto che ricordarsi di loro. Siamo una società di smemorati. Non ci si ricorda delle gioie che abbiamo vissuto attraverso i film di Francesco; ora partono rassegne coi suoi film, poi passata la ventata delle commemorazioni, si tornerà come sempre nel dimenticatoio. Lo stesso è stato per Massimo Troisi: gli hanno istituito un premio a Salina, ma artisti così meriterebbero una sezione al Donatello o ai Nastri d’Argento».
Francesco Nuti ci ha lasciati nello stesso giorno di Silvio Berlusconi. Un’altra Italia: cosa è stato il berlusconismo secondo lei?
«“Son tutti ladri corrotti” urlava la donna al mercato. Pareva esagerato, ma alla fine aveva ragione lei. Pensavamo la classe politica avesse toccato il fondo con Mani Pulite. Dall’inizio degli anni ’80 abbiamo assistito a una discesa agli inferi dal punto di vista culturale, cosa che Pasolini aveva predetto molto tempo addietro. Fossimo su una pista da sci del Trentino, una discesa libera senza casco. Nella destra italiana, a differenza di Fini e Bossi, Berlusconi non aveva un’ideologia, se non i soldi e la logica del profitto. Il risultato è aver sciupato una generazione, oggi quarantenne, cresciuta nella convinzione che la cultura non conti nulla e che, piuttosto, conti di più arricchirsi, rifarsi le tette, apparire per non scomparire. Una mentalità superficiale della quale Berlusconi non ha pagato le conseguenze, ma noi sì. Siamo la terra di Dante, ma se non lo leggi getti al vento la fortuna di essere nato in un Paese come il nostro».
Sceneggiatore e regista, ma lei è anche un bravo attore: ha appena ricevuto un Nastro d’Argento per una fantastica interpretazione di Pontormo in «La divina cometa» di Mimmo Paladino, e il suo debutto al cinema fu proprio da attore, in «Una gita scolastica» di Pupi Avati nel 1983.
«Magari sarei stato un buon caratterista, non so…Vedermi allo schermo con tutti i miei difetti ingigantiti, mi fa però ribrezzo. Quando al festival di Venezia Puti Avati presentò “Una gita scolastica” ricevetti molti complimenti, ma quelle due ore di proiezione furono per me una vera tortura e dissi “mai più!”. Il cameo nel film di Paladino è venuto bene: dovevo essere brutto, e brutto lo ero per davvero!».
Ha lavorato con tutti i maggiori attori italiani; con chi passerebbe una settimana in tenda, voi due soli?
«Con Rocco Papaleo. Vive nel suo mondo, il mondo dei Papalei, gente che si fa gli affari suoi. Oro colato al giorno d’oggi. E poi lui non russa».
L’hanno dipinta come «il nuovo Monicelli»; le ha pesato questa etichetta?
«Un nuovo Monicelli non esiste. Io sono solo un allievo cresciuto nel desiderio di essere come lui e altri grandi registi, ma anche scrittori e sceneggiatori, ineguagliabili».
Lei regista, suo fratello Sandro scrittore: che educazione avete ricevuto dai vostri genitori?
«Onestà, sincerità, rispetto, studio. Un’educazione standard, di quelle che vanno bene per tutto, come le colazioni continentali nelle grandi catene alberghiere internazionali. Diciamo che Sandro, da primogenito, a casa mi ha spianato la strada».
E a tennis fra voi due chi vince?
«Io. Sono un giocatore da fondo campo con un buon dritto, ma devo però mettere dentro la prima di servizio, perché la seconda è poca cosa».
«Vorrei che le nostre mani continuassero a unirsi anche da vecchi». Lo ha detto la sua compagna, Valeria Solarino. Sembra un «Manuale d’Amore»…
«Valeria è una donna particolare, una brava attrice senza le fisime delle attrici. Il bizzoso sono io; se stiamo assieme da vent’anni il merito è suo. Anch’io vorrei invecchiare con lei, senza che mi faccia da badante però».
Dove trascorre l’estate?
«A Roccamare, vicino a Castiglione della Pescaia, nella casa nella pineta che mio padre ebbe l’intuizione di comprare e costruire. Un’oasi di pace, dove posso dedicarmi alla mia passione per i cavalli e andarmene in giro come un buttero maremmano».
Altra sua passione è la Juventus, ma lì le cose ultimamente non vanno benissimo…
«E che ci vuol fare. Vivo a Roma da quarant’anni come un agente in borghese, come Serpico. Ma quando mi trovo con la troupe romanista mi prendo le mie rivincite».
I suoi ricordi in Trentino?
«Le sciate in posti magnifici. Da bambino venivo a fare le gare. Le Dolomiti sono montagne uniche al mondo: aprire la finestra al mattino e poterle ammirare è un privilegio enorme».
Il Trentino tiene ora banco per la questione degli orsi. Lei da che parte sta?
«Non sono mai andato in piazza per la politica, ma lo farei per JJ4. Non posso credere che qualcuno lo uccida. Danno la colpa all’orso, ma la colpa è loro, della loro arroganza e della loro incompetenza nel trattare questi animali. Ho visto foto di segnaletiche per terra senza che nessuno le rimetta in ordine. C’è tanta superficialità e vogliono condannare l’orso. Aberrante. Le do una notizia…».
Prego.
«Voglio farci un film. Non solo su JJ4, ma sull’arroganza degli uomini che vogliono mandarlo a morte. Questa storia sembra un cartone della Disney, dove i bambini prendono le difese dell’orso e gli adulti diventano i cattivi».
Nei suoi film lei ha raccontato vezzi e vizi degli italiani: per dirla alla sua maniera, perché «non siamo un Paese per giovani»?
«Duecentomila giovani se ne vanno via dall’Italia ogni anno. Tra dieci anni avremo un buco generazionale. Siamo un Paese dove si sfrutta il lavoro giovanile e si paga ancora in nero. L’Italia è un Paese che non crede nei giovani».
I social?
«Coltivano un male come l’invidia sociale, che era sepolta. Hanno tirato fuori il lato peggiore dell’umanità. Sono come il demonio: ti attirano per farti vedere il meglio, e poi ne subisci il peggio».
Chiudiamo con i prossimi progetti.
«A settembre inizio a girare un film. Sto anche lavorando a un bellissimo progetto tra le montagne del Trentino Alto Adige. Posso solo dirle di aver realizzato un sogno…»
Quale?
«Ho sciato con Gustavo Thoeni, altro non le dico».