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mercoledì 19 Luglio, 2023

Rovereto, lavoratore disabile licenziato: «È discriminatorio»

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La Corte d’appello dà ragione al metalmeccanico: «L’azienda deve reintegrarlo»

Era stato assunto in una ditta metalmeccanica di Ala nel 2004 e vi aveva lavorato con professionalità fino al 2019 quando dopo alcuni malori gli era stato diagnosticato il diabete di Tipo 2 che aveva causato l’amputazione di un arto costringendolo a rimanere assente dal lavoro per un lungo periodo di tempo, fin dopo il cosiddetto periodo di comporto, quel periodo in cui si conserva il posto di lavoro. Per la categoria dei metalmeccanici può arrivare fino ad un anno e mezzo. Al termine del comporto dell’operaio il licenziamento. Ieri la Corte d’Appello di Trento – Sezione Lavoro ha emesso una sentenza che l’avvocato dell’operaio, Giovanni Guarini, ha definito cruciale: «la prima in Trentino di questo calibro e su questo tema – spiega Guarini – perché è vincolante e innovativa. La sentenza ci dice che se il lavoratore ha una grave patologia che lo tiene lontano dal lavoro per più del periodo di comporto, l’azienda non può licenziare in modo matematico». La Corte ha quindi dichiarato la nullità del licenziamento «in quanto discriminatorio […] e condanna l’azienda a reintegrare l’operaio nel posto di lavoro e a pagargli a titolo di indennità risarcitoria, una somma pari alla retribuzione globale di fatto maturata e maturanda dalla data del licenziamento a quella dell’effettiva reintegrazione, oltre al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali». Nel merito della sentenza la Corte d’Appello ha riconosciuto che l’azienda era a conoscenza dello stato di salute del lavoratore in quanto lo stesso «di sua iniziativa e pur non essendo tenuto a farlo, si è preoccupato di informare il datore del proprio stato di salute, periodicamente e non una volta soltanto». Ossia l’azienda si trovava «nella condizione di potersi render conto della gravità della situazione, totalmente inabilitante, e di intraprendere idonee iniziative di tutela». Come ad esempio informare il lavoratore dell’imminente scadenza del periodo di comporto e quindi dargli la possibilità prevista contrattualmente di richiedere attraverso richiesta scritta di esser posto in aspettativa non retribuita. Insomma l’operaio originario dell’Est Europa da poco più di vent’anni residente in Trentino, in possesso di cittadinanza italiana, ha subito un licenziamento discriminatorio. Licenziamento arrivato in un momento estremamente delicato della sua vita, perché proprio a causa dell’amputazione si erano susseguite una serie di sciagure tra cui la morte di un figlio, la separazione dalla moglie e la perdita della casa in cui era in affitto. Soddisfatta la Cgil. «La Corte d’Appello accoglie il ricorso per un dipendente affetto da grave patologia lasciato a casa al termine del periodo di comporto – festeggia -. Un lavoratore disabile non può essere licenziato, sic et simpliciter, solo per il fatto di aver superato il periodo massimo per assenze per malattia. L’azienda ha infatti l’obbligo di mettere in atto tutto il possibile per mantenere il posto di lavoro, proprio per la situazione di fragilità del proprio dipendente. I giudici – continua -. I giudici hanno definito il licenziamento discriminatorio e dunque illegittimo. Adesso l’azienda dovrà risarcire l’ex dipendente. La sentenza chiarisce che il datore di lavoro, nei fatti, deve mettere in atto ogni accorgimento possibile di fronte ad un proprio dipendente affetto da grave patologia, perché questo non venga licenziato. Il dipendente gravemente malato o disabile infatti non può essere trattato, proprio per la sua situazione di vulnerabilità, come un qualsiasi altro dipendente. Questo perché, secondo i giudici, questo equivale a discriminarlo. Nel caso specifico il metalmeccanico è stato a casa per malattia molto tempo. L’azienda, pur conoscendo le condizioni di salute del proprio dipendente, non lo ha informato del fatto che poteva usufruire di 24 mesi di congedo non retribuiti, che gli avrebbe permesso di non superare il periodo di comporto e, dunque, di non essere licenziato. Con questa sentenza si mette un punto fermo a cui possono fare riferimento tutte le altre lavoratrici e lavoratori».