lupi
venerdì 28 Luglio, 2023
di Ambra Visentin
«Ci vuole serietà nella gestione dei lupi e norme applicabili in tempi brevissimi». Alessandro De Guelmi, ex veterinario della Provincia, spiega come si può affrontare l’emergenza lupi in Trentino e commenta la decisione, presa dalla giunta Fugatti, di abbattere due esemplari di lupo, in seguito all’intensificarsi di predazioni da parte di un branco della Lessinia. In seguito ai ripetuti attacchi nell’alpeggio di Malga Boldera sui Monti Lessini, dove ci sono state 6 predazioni in meno 2 mesi e 18 capi predati, la Provincia ha deciso di intervenire e ha ricevuto il parere favorevole dell’Istituto superiore di protezione e ricerca ambientale (il T di ieri).
Che cosa ne pensa di quanto accaduto a Malga Boldera e com’è stato possibile che la recinzione non è riuscita a proteggere il bestiame?
«La malga è gestita in modo ottimale e il recinto, che presenta 7 fili ben tesi e con corrente elettrica costante, aveva sempre funzionato. Il lupo è, però, dotato di grande intelligenza. I popoli che vivono nel nord dell’emisfero boreale, penso ai lapponi o ai siberiani, che convivono da sempre con quest’animale, ritengono che mentre l’orso è dieci volte più forte dell’uomo e intelligente quanto quest’ultimo, nel caso del lupo la proporzione vada invertita, esso è dieci volte più intelligente dell’uomo».
Il branco ha capito come superare l’ostacolo?
«I lupi hanno compreso che staccando le zampe da terra la corrente non scarica e non si sente dolore. Hanno quindi cominciato a saltare attraverso i fili della recinzione».
La decisione della giunta provinciale è condivisibile?
«L’emergenza esiste e l’abbattimento è la giusta soluzione. Una volta acquisito un vantaggio, in questo caso la conoscenza di come superare l’ostacolo della recinzione, i lupi trasferiscono questa conoscenza ad altri componenti del branco. Un patrimonio che quando gli esemplari giovani vanno a dispersione per creare nuovi branchi trasmettono a loro volta. In tal modo il presidio della recinzione diventa meno efficace».
L’abbattimento è l’unica soluzione possibile?
«Sono estremamente contrario all’abbattimento di massa. Occorre intervenire subito. Nel caso in questione l’abbattimento di quei soggetti andava fatto non appena i forestali si sono resi conto che lupi avevano incominciato a saltare».
Come si è evoluta l’interazione con gli esseri umani?
«Il lupo ha sempre avuto un’atavica paura dell’uomo, perché da sempre perseguitato. È tornato sulle Alpi 200 anni dopo e si ritrova in una situazione sempre più di iperprotezione. Perde giorno dopo giorno la paura dell’uomo. Abbiamo visto che ci sono persone che mettono loro a disposizione del cibo. Dunque, se prima si muoveva di notte, per evitare incontri con gli esseri umani, ora si muove anche di giorno e si avvicina ai centri abitati».
Il problema è solo trentino?
«In Italia vive il 25 per cento dell’intera popolazione di lupi europea. Stiamo parlando di un numero tra i 3.000 e i 5.000 esemplari. In zone come quelle del Piemonte, nelle valli del cuneese ci sono ampi spazi quasi disabitati. In Trentino, invece, la sfida più viene posta dalla crescente presenza dei branchi, ad oggi se ne contano 30 con circa 50 esemplari, a fronte della nostra elevata densità di popolazione sul territorio e anche a come si vive la montagna, si pensi all’esplosione delle attività outdoor».
Che differenze ci sono rispetto agli orsi?
«L’orso passa la vita in solitudine e perciò la gestione va fatta sul singolo soggetto. I lupi vivono in società con una bellissima organizzazione. Inoltre, sebbene attacchino molto più raramente rispetto agli orsi, nel 50 per cento dei casi attaccano per uccidere e non per soli scopi difensivi. Per gestirli occorre lavorare molto sulla prevenzione e sul monitoraggio e sulla possibilità di intervenire tempestivamente quando necessario».
Come rendere possibile la convivenza?
«Per mantenere l’equilibrio occorre cambiare la normativa e dare al corpo forestale, che è composto da persone dotate di capacità eccezionali e grande passione, gli strumenti per poter lavorare. Si dovrebbe, inoltre, affrontare il problema degli spazi vitali. Ci sono molte zone del Brenta e del Lagorai adatte. E occorre affrontare il problema della creazione di corridoi faunistici, attraverso un tavolo cui partecipano anche gli stakeholder delle altre regioni».