Il progetto

sabato 5 Agosto, 2023

Noi Parco, il libro che racconta la natura trentina tra clima, orsi e turismo di massa

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Il Parco Adamello Brenta presenta un'opera dedicata alla sua fauna e alle problematiche attuali

Conoscere la situazione per pianificare presente e futuro. Il parco Adamello Brenta ha lanciato una nuova collana di libri intitolata Natura Cultura, di carattere divulgativo, che punta a far conoscere la realtà naturalistica del parco ad un pubblico il più ampio possibile. Il primo libro realizzato si intitola Noi Parco, la fauna, è stato scritto da Filippo Zibordi, Mauro Fattor e Anna Sustersic, e sarà presentato l’otto agosto a Carisolo presso la Casa del Parco Geopark. Si tratta di un libro a metà tra la divulgazione e il racconto. Alle interviste con gli esperti infatti si alternano dei racconti, fittizi ma veritieri, narrati da differenti punti di vista. Il ricercatore, la turista e tanti altri personaggi immaginari raccontano il parco e la sua fauna affrontandone i temi. «Si tratta di un modo originale e speriamo accattivante per far conoscere il parco ai lettori», spiega Filippo Zibordi, esperto di conservazione della fauna alpina e uno dei tre autori del libro.

Zibordi cominciamo da qui, cos’è Noi Parco, La fauna?
«È il primo di quattro testi che vogliono andare alla scoperta della straordinaria biodiversità del Parco Adamello Brenta. Partiamo dalla fauna per poi affrontare la flora e tanto altro».

Cosa si può trovare?
«Una descrizione divulgativa dello stato generale della fauna del parco e poi di ogni specie. Particolare è l’escamotage narrativo che abbiamo deciso di utilizzare. Mettendo in scena 9 personaggi di finzione, ma veritieri, che affrontano altrettante tematiche diverse importanti per raccontare gli animali del parco. C’è l’entomologo occupato nelle sue ricerche, il rifugista attento e la turista che guarda con sorpresa ciò che la circonda».

Come sta la fauna del parco?
«Possiamo dire che sta relativamente bene se pensiamo che a livello globale ci troviamo in mezzo alla sesta estinzione di massa. La fauna del parco si sta difendendo, ancora qui troviamo tutte le specie caratteristiche dell’ambiente alpino. Almeno per quel che riguarda i mammiferi, c’è tutto quello che dovrebbe esserci».

Il cambiamento climatico sta avendo effetti?
«Assolutamente sì e in parte mi smentisco subito. Qualcosa di brutto sta succedendo. Il surriscaldamento globale si sta facendo sentire anche nelle aree montane. Il lato positivo è che le specie, animali e invertebrate, si stanno adattando, modificando i loro areali. Stiamo assistendo a una migrazione verso l’alto, per ora questo permette loro di difendersi. Il problema è che, se le temperature continuano ad aumentare, ad un certo punto la possibilità di salire ulteriormente finirà e si verificherà la cosiddetta “summit trap” (trappola di cima), che rischia di portare alcune specie all’estinzione. Un altro effetto che stiamo vedendo è la modifica delle abitudini di alcuni animali. Per esempio le marmotte stanno riducendo il loro periodo di letargo».

E il turismo di massa?
«È un altro tema cruciale e che viene affrontato nel libro dal racconto della turista americana. La donna lo affronta con la prospettiva di chi conosce il selvaggio dei grandi parchi americani e non lo trova da noi. La coesistenza sulle Alpi va ricercata consapevoli dell’unicità di questi luoghi. Qui non si può separare nettamente la sfera animale da quella umana. Bisogna trovare un compromesso tra le due sfere, consapevoli che si frequentano le stesse aree. Trovare soluzioni utili che permettano la vita e il benessere di tutti».

Che altri effetti ha il turismo?
«Sicuramente è possibile che una grossa frequentazione possa modificare i comportamenti degli animali, penso agli ungulati. Il bello però è che se si rimane sui sentieri il disturbo non è così marcato. Mi è capitato, ad esempio, salendo dal Brentei verso la Bocca di Brenta, di trovarmi faccia a faccia con dei camosci a 20 metri da me. Finché sono rimasto sul sentiero non erano per nulla preoccupati, perché hanno interiorizzato la cosa. Da questa conoscenza dobbiamo partire per regolare meglio l’area del parco».

In che modo?
«Una soluzione potrebbe essere un numero massimo di frequentatori giornalieri nel parco, oppure limitare alcune aree. Zonizzare il parco distinguendo tra aree libere, aree in cui bisogna attenersi ai sentieri e altre che sono invece interdette del tutto o durante alcuni periodi critici, come quello dell’accoppiamento. Anche lo scialpinismo va regolato altrimenti diventa una fonte di stress grave per alcune specie come i galli forcelli o la pernice bianca. Sono convinto che questa sia la strada da perseguire, anche perché già adesso vediamo tante persone nei nostri parchi. Il rischio è che un ulteriore aumento li porti al collasso».

Abbiamo parlato molto di turisti eppure gli incontri, anche con i grandi carnivori, hanno sempre interessato i residenti
«È così e ci sono vari motivi. Per incontrare un animale selvatico bisogna muoversi in certi orari (molto presto o molto tardi) e in certi luoghi (quelli meno frequentati), facendo molto silenzio. Queste caratteristiche si ritrovano di più nei residenti, che si spostano da soli in aree più isolate, rispetto ai turisti che frequentano le aree più conosciute e spesso con il loro rumore allontanano automaticamente ungulati e grandi carnivori. Io ritengo che in alcuni momenti, come quello di riproduzione dell’orsa, potrebbe essere utile limitare l’accesso ad alcune aree. Bisogna anche capire però che qui non siamo in Alaska, non ci sono zone che “appartengono agli orsi”. Quindi bisogna lavorare su coesistenza e informazione corretta».

C’è bisogno di regole?
«Certo per entrambi. Così come ne abbiamo per l’orso, e quello dannoso o pericoloso va rimosso, così dobbiamo averne anche per gli uomini. I cani devono essere al guinzaglio, bisogna fare rumore per segnalare la propria presenza ed è meglio non avere cuffiette perché bisogna stare attenti a ciò che ci circonda».

Un’ultima domanda, recentemente un ministro ha detto che lo scioglimento dei ghiacciai è ciclico. I ghiacciai dell’Adamello cosa ci dicono?
«È vero che in milioni di anni la terra si è raffreddata e riscaldata varie volte, ma sempre per fattori endogeni naturali non riconducibili all’uomo e molto lenti. Ora sta accadendo tutto molto velocemente invece e la pistola fumante è in mano all’uomo. Il riscaldamento è colpa delle emissioni di gas climalteranti. Dobbiamo invertire la rotta subito».