La testimonianza
giovedì 10 Agosto, 2023
di Davide Orsato
«Non sappiamo dire se è lei. Il fisico potrebbe essere il suo. Ma il volto non saprei… è irriconoscibile». È toccato alla famiglia Santacatterina, i cugini di Iris Setti, il doloroso compito del riconoscimento. O, almeno quello che era possibile distinguere della povera vittima del barbaro omicida. Sono le prime ore di domenica. Aldo Santacatterina, accompagnato dal figlio si reca alla camera mortuaria dell’ospedale Santa Chiara di Trento. Ne esce sconvolto. Da allora deciderà di non parlare dell’accaduto, non dire nulla. Lasciare che il tempo (e le indagini) faccia la sua parte. Una scelta difficile, ma, per la famiglia della vittima, l’unica che può salvaguardare la dignità della donna uccisa. Anche il drammatico dettaglio del riconoscimento parziale aggiunge sofferenza a una tragedia che la famiglia, ristretta e legatissima, di Iris Setti, sta affrontando. A cominciare dall’anziana madre, Carla, 87 anni. È innanzitutto lei che la famiglia sta tentando di proteggere: Iris era la donna, la figlia che l’accudiva. Sa che è morta, ma le sono stati risparmiati i dettagli. Il cerchio delle conoscenze di Iris, a Rovereto, è piuttosto ristretto. Certo, il suo era un volto noto, in molti, fino a due anni fa, la vedevano alla sede centrale della Cassa Rurale. Ma fuori dal lavoro le persone che vedeva erano poche: selezionava con cura gli affetti. Anche per questo motivo le tante voci che sono girate negli ultimi giorni hanno fatto infuriare amici e conoscenti. Una fra tutte, che lei e il suo assassino si potessero conoscere. Nel suo delirio Chukwuka Nweke avrebbe detto anche «l’ho fatto per amore». Anche gli inquirenti, allo scopo di capire il possibile movente hanno chiesto ai conoscenti di Iris Setti se le due persone si conoscessero. «Io non so come è potuta spuntare fuori questa balla – è lo sfogo di Paolo Falcieri, commerciante del centro di Rovereto che conosceva Iris Setti personalmente – lui, l’assassino era molto conosciuto, e non certo per cose positive. Era noto per le sceneggiate all’aperto, nei bar, nelle palestre, per gli episodi di violenza, le cui vittime sono state anche le sorelle. Iris non poteva avere idea di chi fosse. Era una donna abitudinaria, quando tornava a casa faceva sempre lo stesso percorso, con un passo molto veloce, da carabiniere. Non dava confidenza a nessuno». Falcieri si dice pentito di non essere stato lì al momento dell’aggressione. «Spesso scendo per portare a spasso i cani a quell’ora. Se ci fossi stato, magari sarebbe andata diversamente». Le cronache degli ultimi giorni hanno raccontato le parole dell’assassino. Un uomo che, davanti al giudice, ha fatto scena muta ma che è riuscito comunque a esprimere «stupore» per quello che è accaduto. Perché afferma di non ricordarsi niente, di non credere al fatto che la vittima della sua violenza sia morta. Parole che hanno fatto arrabbiare molti sul lungo Leno. «Ci sentiamo presi in giro – afferma un vicino di casa – ad Iris è mancata la protezione dello Stato e ora ci toccherà magari assistere alla beffa di vedere un criminale del genere dichiarato incapace di intendere e di volere».
Intanto, dopo l’iniziativa lanciata da Cgil, Cisl e Uil, continuano ad arrivare fiori sul luogo dell’agguato mortale. Accompagnati da tanti bigliettini. Alcuni sono firmati: amici e conoscenti che desiderano in questo modo dire addio a Iris. Qualche fogliettino si chiede, semplicemente «perché». Un saluto provvisorio in attesa di quello definitivo. Dopo l’autopsia svolta martedì per il nulla osta da parte della magistratura dovrebbe essere questione di ore. I parroci di Rovereto, però, non sono ancora stati avvisati delle intenzioni della famiglia.