il forum
domenica 13 Agosto, 2023
di Simone Casciano
Dopo mesi in cui in tanti, forse troppi hanno parlato di orsi, lupi e gestione faunistica, ora sono i professionisti del parco Adamello-Brenta a prendere la parola. Lo fanno in occasione del forum di «Terra Madre» de il «T» con l’obiettivo di spiegare, perché le persone hanno «il diritto di sentire le cose vere, quelle laiche. Non quelle del partito dell’orso o di chi è contro, che fanno male all’uomo e alla natura» spiega Andrea Mustoni, responsabile dell’unità scientifica del parco e fondatore del progetto «Life Ursus». Sono quattro gli esperti arrivati per fare il punto a 360 gradi sul parco Adamello-Brenta: il presidente Walter Ferrazza, il direttore Alessandro Brugnoli, il responsabile dell’unità scientifica Andrea Mustoni e il professore ordinario di zoologia all’università di Sassari e consulente del parco Marco Apollonio. Il parco Adamello-Brenta è una realtà complessa in cui emergono molte tematiche cruciali della contemporaneità: il turismo di massa, le sfide ambientali così come la mobilità. Impossibile però non partire dal tema dei grandi carnivori
A che punto siamo nel rapporto tra uomo e orso, come analizzate il momento?
Apollonio: «Premetto che quando muore una persona è sempre un evento tragico. Secondo me ci sono alcuni fattori che non sono stati considerati nella discussione. Il primo è che si è tratta comunque di un evento rarissimo, per quanto tragico. Sembrerà banale, ma statisticamente è molto più pericoloso mettersi in macchina ogni mattina per andare a lavoro. Per capirci, la probabilità di essere ucciso da un orso è un ottantaseiesimo di quella di essere colpito da un fulmine, a sua volta un evento estremamente raro. Il motivo per cui ci colpisce così profondamente è che non contempliamo più la possibilità di morire uccisi da un altro mammifero, mentre consideriamo più normale la morte per un incidente stradale. Il secondo aspetto che emerge da questa tragica storia è quanto gestire la fauna sia una cosa seria, da fare con impegno e continuità. Quando si lavora con animali potenzialmente pericolosi, non si può improvvisare, è mancata una reazione immediata a una situazione di pericolo. Mi faccia essere chiaro: il problema non è togliere dal Trentino 70 orsi, perché 69 non li vediamo mai. Il problema è che quando un orso si dimostra pericoloso, e ormai abbiamo capito che ogni mammifero ha una sua personalità, bisogna gestirlo, che significa anche rimuoverlo. Poi si può discutere se sia meglio l’abbattimento o la cattura, ma va rimosso. In Trentino non abbiamo il problema di sterminare una specie, ma di gestirla. I grizzly pericolosi in America li rimuovono subito. Se non si fa questo si rischia di andare in contro a fatti come quello di aprile, detto che la fatalità gioca sempre un ruolo, ma i rischi vanno minimizzati. Questa non è neanche scienza, è solo buonsenso applicato alla gestione faunistica. Farlo però richiede preparazione del personale faunistico e preparazione gestionale della parte politica. Sarebbe invece stupido aprire alla caccia dei grandi carnivori. La gestione faunistica è gestione e controllo, non fare le cose a caso».
Mustoni: «Dico che conservazione significa anche gestione e cultura di questi animali. L’Italia è carente da questo punto di vista. Dove orso e lupo non sono mai scomparsi notiamo atteggiamenti diversi da parte della popolazione. Bisogna agire anche sulla cultura pratica delle persone per favorire la convivenza. Dobbiamo gestire i rifiuti, sapere come comportarsi nel parco, cambiare qualche abitudine. Noi abbiamo sempre detto che è l’orso che deve adattarsi all’uomo nel contesto alpino, ma qualche accorgimento lo possiamo fare. Faccio un esempio: in Slovenia è normale, quando si va per funghi e si esce dai sentieri, fare rumore, battere le mani e farsi sentire. Dobbiamo abituarci anche noi a fare così. Lo so che ci viene innaturale ma possiamo abituarci. La convivenza passa da tre parole: gestione, cultura e coraggio. Anche di cambiare».
Si dice che gli orsi in Trentino siano troppi.
Mustoni: «Io vivo in Rendena, ho casa in alta quota. Devo dire che l’orso lo incontro sempre più spesso. Il tema del numero c’è e va affrontato in modo sereno, ma non è la priorità. Affronterei prima il problema della gestione degli esemplari problematici. Poi non si deve essere preclusi a ragionamenti sul numero totale, ma quello che rifiutiamo è parlare del numero e basta. In un piano di convivenza generale la comunicazione, la gestione delle emergenze, il rimborso dei danni e la gestione turistica vengono prima. La gestione faunistica non è il lugo delle soluzioni semplici e univoche».
Apollonio: «Bisogna darsi una gerarchia. La cosa più importante è la capacità di rimuovere gli esemplari pericolosi. Poi darsi degli obiettivi univoci sui grandi carnivori. Dopo si possono fare ragionamenti sui numeri. In Slovenia, che è grande quanto la Lombardia, ne hanno 1.200 e ne abbattono 200 l’anno. Bisogna recuperare visione e programmazione e poi basare le scelte politiche sulle evidenze scientifiche».
Si è parlato di zonizzare il parco, interdire all’uomo alcune aree.
Mustoni: «Una zonizzazione del parco esiste già, ma per motivi scientifici. Altra cosa è attuare misure di interdizione: nel caso specifico dell’orso pensiamo che non sia né opportuno, né auspicabile. Sia perché sarebbe controproducente per l’obiettivo di far abituare l’orso alla presenza dell’uomo, sia perché, vista la diffusione del plantigrado sul territorio, non sarebbe nemmeno efficace. L’idea del parco è sempre stata quella di mettere in relazione persone e natura. Più che mettere regole serve spiegare come costruire una relazione sostenibile tra uomo, parco e fauna».
Ferrazza: «Anche solo pensare a una zonizzazione sarebbe già una sconfitta. Significherebbe buttare via tutto il lavoro di conoscenza e convivenza fatto fino ad ora. Creare recinti, zoo, sarebbe una sconfitta della scienza, ma anche della politica. Il Trentino non deve diventare questo, ma essere il luogo in cui entrare nella natura per trovare benessere. Per farlo bisogna gestire la fauna secondo basi scientifiche. Il parco non ha paura di dire quello che pensa, ma la politica lo vuole prendere in considerazione? Spero di sì ma anche se non volesse, alla lunga non può ignorare le evidenze scientifiche».
Ecco però su JJ4 furono proprio i tecnici a fermare l’abbattimento.
Apollonio: «E bisognerebbe chiedere a loro il perché. Dico che a volte in Italia la parte tecnica finisce a fare la politica quando questa non è in grado di farlo. Faccio presente quanto sia cambiato l’atteggiamento di un ente tecnico da quando c’è un ministro più interventista rispetto a quello che si metteva le magliette con l’immagine dell’orso, comportamento quest’ultimo che mi ha fatto vergognare di essere italiano. I giudizi tecnici devono essere oggettivi e non opinabili. Non possono essere influenzati dai giudizi personali di valore. Un giudizio tecnico non è legato a ciò che è giusto e sbagliato. Un orso problematico va rimosso, non c’è un alternativa tecnicamente corretta, questo non è oggetto di contesa».
Ferrazza: «Aggiungo che, quando i Trentini si espressero favorevolmente alla reintroduzione dell’orso, lo fecero sulla base di regole di ingaggio ben precise, quelle previste dal Pacobace. Queste norme adesso vanno rispettate, non si possono cambiare 20 anni dopo. Invece sembra che il resto d’Italia, come istituzioni e popolazione, se lo sia dimenticato e ora i trentini sono cornuti e mazziati, perché si devono tenere gli orsi problematici e sono cattivi se vogliono rimuoverli».
Mustoni: «Un mio pallino è l’orgoglio trentino. Troppo facile criticarci perché trattiamo male gli orsi. Ma li abbiamo voluti noi, ci siamo assunti questa responsabilità e vorrei che le genti trentine fossero orgogliose non solo dell’orso, ma di tutta la natura che siamo riusciti a proteggere. Su JJ4 non mi tiro indietro, anzi mi sporco le mani. Degli errori vengono fatti in termini gestionali, però è vero che siamo calati in un contesto legale che limita quello che possiamo fare in autonomia. Per questo credo che sia importante ricostruire un rapporto di fiducia tra le istituzioni provinciali e quelle nazionali con cui dobbiamo lavorare, un rapporto deteriorato in questi anni. Un rapporto antagonista non aiuta nessuno. Far comprendere che stiamo facendo il meglio per gestire la situazione quando chiediamo aiuto. Quando avanziamo richiese devono essere basate sulla ricerca scientifica».
Qualche critica è stata mossa per l’appunto al monitoraggio e sulla mancanza di radiocollari.
Mustoni: «La popolazione ursina trentina è tra le più conosciute e studiate al mondo. Però è vero che negli ultimi anni c’è stato un taglio agli investimenti, che tradisce in parte lo spirito del progetto Life Ursus che puntava a una forte ricerca scientifica che deve essere il carburante della comunicazione e delle decisioni politiche. Certo la ricerca costa, ma faccio presente che inseguire l’emergenza costa di più».
Brugnoli: «Faccio presente che c’è molto di più oltre ai radiocollari. Noi facciamo un monitoraggio genetico degli orsi ogni 2 anni. Il tema non è mettere il radio collare al 5 o al 10% dei plantigradi, ma condurre analisi estese sulla fauna e sul suo stato».
Dall’orso al lupo.
Apollonio: «Una specie su cui la mala gestione dei grandi carnivori in Italia è ancora più evidente. Partiamo dai numeri, in Italia erano 3.300 secondo l’ultimo censimento di 2 anni fa e ora potrebbero anche essere il doppio. Da una parte bisogna rendersi conto che non si tratta più di una specie rara e fragile, dall’altra prendere atto che è saltato il controllo territoriale. Abbiamo smantellato le provincie e la forestale, gli enti preposti al controllo della fauna, e ora ci stupiamo dei lupi in Toscana e dei cinghiali a Roma. Se vogliamo controllare la situazione bisogna investire in termini di conoscenza, personale e organizzazione. Dico anche che bisogna prendere atto che il lupo è una specie pericolosa, le mura di Bergamo nacquero proprio per proteggere la popolazione dai lupi. Tra il 1800 e il 1825 nella pianura padana lombarda, un’area prive di prede selvatiche, gli attacchi del lupo nei confronti dell’uomo furono 146, la maggior parte di tipo predatorio. Perché è un predatore pigro, che caccia prede facili».
Però adesso la richiesta di abbattimento di due lupi è stata sospesa dal consiglio di stato.
Apollonio: «La sensazione è che la richiesta non fosse documentata a dovere. È problematica l’idea di abbattere due esemplari a caso di un branco, non è un’azione mirata. Mi pare ci fosse anche qualche dubbio sul recinto. Detto questo sul totale di lupi in Italia due esemplari non spostano nulla. Non bisogna perseguitarla in modo sciocco, ma nemmeno mettere questa specie su un piedistallo e invece gestirla con intelligenza. Sparare ai primi due lupi che capitano non è il miglior modo possibile, scopre il fianco a chi difende la specie a spada tratta. Bisogna iniziare a ragionare di rimozione del lupo. Se abbattimento o captivazione spetta alla politica. Però rendiamoci conto che negli altri paesi europei è già così. La Francia ne abbatte a decine e ne ha molti meno di noi. La Slovenia anche e ci sono meno lupi lì che in una sola regione d’Italia».