l'intervista

sabato 19 Agosto, 2023

Alessandro Dell’Aira, fu preside del da Vinci: «Venni espulso dall’università e arrivai in Trentino a bordo di una 500»

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80 anni e un passato da viaggiatore: «Ho prestato servizio in Spagna, Portogallo e Brasile. E fatto l’apneista»

Potremmo incominciare dagli auguri. Perché Alessandro Dell’Aira, siciliano, per anni e anni in Trentino, docente di italiano e storia nelle scuole superiori, preside, dirigente scolastico, giornalista, scrittore, traduttore, ricercatore, musicologo, apneista – in una parola, come ama ripetere, «scavatore» – è ora un pensionato al sole di Cefalù. E proprio oggi, 19 agosto, compirà 80 anni.
Auguri, dunque.
«Certo, un momento sfigatissimo per nascere, tra il 25 luglio e l’8 settembre del 1943. Avevo due settimane quando firmarono l’armistizio a Cassibile, a mia insaputa (ride)».
Poi andò meglio…
«Mi laureo a Palermo nel 1966, divento assistente incaricato di storia greca e romana all’Università. Da subito, pratico un vizio: dire quello che penso. Non la verità, che non esiste, ma dire la mia, sempre. Nel 1969 mi scontro con un professore, origini piemontesi, bravissimo e fascista. Diciamo che vengo buttato fuori dall’Università per diversità ideologica…».
E finisce all’ombra delle Dolomiti.
«Presento domanda di supplenza in cinque regioni. Scopro che in Trentino mi avevano chiamato, ma per gli onnipresenti intoppi burocratici me lo comunicano tardi. Così il mio posto lo prende Franco Rella. Io comunque parto con la 500, nell’ottobre 1969, e raggiungo Rovereto. Qui insegno due anni, poi passo al Pozzo e al Tambosi, a Trento. Vinco il concorso di italiano e storia e insegno alle Magistrali. Poi verranno anche gli anni da preside al liceo scientifico da Vinci, a Trento».
Dove inventa una rivista almanacco, «La scuola del ponte», che resta uno degli esperimenti editoriali più coraggiosi in ambito scolastico. Curioso: allora la scuola del ponte a Trento, oggi in Sicilia, dove un altro ponte fa discutere, assai.
(ride) «Lasciamo perdere. Messina è uno dei posti più belli del mondo. Il ponte sarà – se realizzato – una devastazione totale. I siciliani non lo vogliono. Noi siamo contenti di essere un’isola. Il ponte è simbolo letterario per eccellenza, qui sono in ballo interessi economici e politici. Di altro ha bisogno la Sicilia».
E il Trentino. Ora, da lontano, come le appare?
«Per fortuna riesco a tornarci, ancora. Sempre volentieri. Non si cancellano tanti anni. Ho il ricordo bellissimo di un meraviglioso mondo prealpino, di una natura amata, di coerenza rispetto alle regole. Certo, devo anche dire che qui in Sicilia c’è un calore umano diverso. Diciamo, un casino ordinato».
A proposito: «Buzzati scrisse di una famosa invasione di orsi in Sicilia. Però sono in Trentino, per ora…
«Quello che poteva e voleva, penso, essere una carta per l’ambiente e per il turismo, si sta rivelando qualcosa di insostenibile. Una faccenda tutt’altro che semplice».
Torniamo alla sua carriera, assai intensa.
«Ho concluso in Trentino con l’istituto tecnico “Martino Martini”, a Mezzolombardo. E proprio gli alunni dei tecnici, nella mia esperienza, sono stati i più reattivi. Poi, nel nome di quella scuola c’era una sorta di destino letterario».
Perché?
«Perché il mio nuovo libro, “Porta di Giada”, che uscirà in settembre (la bibliografia di Dell’Aira è ricchissima, ndr) ha come sottotitolo “Martino Martini e i sogni speciali del sindaco di Hang Zhou”. È ambientato a Trento nel 1981, in occasione del convegno voluto dall’allora assessore Lorenzi per celebrare la figura del geografo gesuita che, partito proprio da Trento, tre secoli prima, raccontò per primo all’Europa gli splendori della Cina. Un romanzo storico dove l’io narrante è appunto il sindaco cinese: in una notte di sogni ripercorre 47 anni della vita del gesuita».
Un giramondo, un po’ come lei.
«Dopo gli anni trentini ho prestato servizio presso le nostre rappresentanze diplomatiche consolari in Portogallo, Spagna e Brasile. Il mio impegno, con riviste e convegni, oltre che con la docenza, è stato quello di promuovere lo studio di lingua e cultura italiana».
Le ho chiesto un’immagine di quegli anni. Me ne ha passata una assai poco canonica, ma intrigante. Cosa ci faceva un dirigente scolastico di vaglia con una fisarmonica in mano?
«La musica è una mia grande passione. Ho collezionato spartiti, ho scoperto la genesi di una celebre canzone, “Il barbiere del porto di Palermo”, del 1946, legata allo sbarco degli americani in Sicilia. Nella foto sono a Quilombo, nel Minas Gerais, in Brasile e accompagno con la mia fisarmonica Paolo Soprani 80 Bassi una “congada” (confraternita afro brasiliana) di ragazzi e ragazze in onore del Santo Nero di Palermo (cui Dell’Aira ha dedicato un importante testo, ndr) fondata da dona Luzía, nipote di un’africana “comprata da un brasiliano”, così mi disse. La “Paolo Soprani” era in garage a Povo, la misi in una valigia partita vuota dal Brasile e gliela regalai. Nella foto dona Luzía comanda la “congada” col fischietto. Doveva suonare la “sanfona”, la fisarmonica, un gelataio ambulante, che quella mattina non arrivò dal suo paese, così feci da “sanfoneiro” supplente».
A Trento, invece, negli anni Ottanta, era diventato direttore dell’Istituto Gramsci.
«Bella esperienza, prosecuzione di ciò che ho sempre creduto riguardo al nostro compito di cittadini e che continuo anche da pensionato, che ha la fortuna, al mattino, prima di ogni altra cosa, di toccare il mare. Perché sono tre le nostre necessità: imparare a leggere, imparare a scrivere, imparare a pensare. È un impegno da rinnovare, ogni giorno».
Eppure quell’esperienza finì bruscamente.
«Vero. Nel 1984 lasciai la direzione del Gramsci e anche il Partito comunista, dove allora militavo. Avevo organizzato, assieme a Franco Rella e Rossana Carrozzini, un convegno sul progetto di realizzare un parcheggio nell’ex ospedale Santa Chiara, nel centro di Trento. Avevamo invitato Alexander Langer, a Bolzano impegnato allora in una battaglia a difesa del ponte. Lui, costruttore di ponti. I ponti tornano sempre nella mia vita… Beh, il convegno fu un fallimento perché il partito non spedì gli inviti, non fece alcuna pubblicità. A qualche dirigente la cosa non piaceva. Lasciai immediatamente il partito».
E ora, politicamente?
«È come nel mio nuovo romanzo: vivo una fase storico–onirica. Sostengo Elly Schlein per impedire la deriva del Pd, ma non ce la farà, temo. Non manco di mandare stoccate a Conte. Per il resto, è come essere testimoni di una sorta di resistenza, culturale prima di tutto».
Sento, al telefono, un cane che abbaia…
«È il mio Jacques. Il nome glielo ha dato mia figlia, in onore di Mayol, il grande apneista. Io, dai 12 ai 60 anni, con qualche puntatina anche dopo, questo ho fatto: tuffarmi, senza bombole, ogni volta possibile. E poi leggere, studiare, scrivere…».
PS: ad un certo punto Alessandro Dell’Aira cita la parresia. Il diritto-dovere di dire la verità, in schiettezza e franchezza. Aggiunge: «A volte è terrificante».