Pandemia

giovedì 24 Agosto, 2023

Covid, i casi tornano di nuovo a crescere. Merler: «Ma l’emergenza è finita»

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L’epidemiologo Stefano Merler invita alla prudenza: «I casi tornano a crescere. C’è un incremento delle infezioni. Quello che è cambiato è che la popolazione è ampiamente vaccinata»

A pensarci in questi giorni il Covid sembra quasi un ricordo del passato. Così diversa ci appare questa estate da quella per esempio del 2021 quando, in mezzo alla febbre da europei di calcio, fu l’influenza da coronavirus a schizzare di nuovo alle stelle riportando poi in autunno limitazioni e regolamenti. In realtà il Covid-19 non è ancora un retaggio degli anni scorsi ma un problema presente, i dati invitano alla cautela, mentre l’alto tasso di immunizzazione è la maggiore fonte di sicurezza al momento. Questo il quadro dipinto da Stefano Merler, epidemiologo e direttore del Centro Health Emergencies di Fbk.
Merler siamo veramente arrivati alla fine dell’era Covid?
«Direi di no e forse non ci arriveremo mai a una fine vera e propria. Invece alla fine di un’emergenza che impone determinati comportamenti e misure di limitazione direi di sì. Detto questo il futuro non si può prevedere, non sappiamo quali varianti potranno presentarsi più avanti».
Le scorse estati furono momenti di grande trasmissione del virus, com’è la situazione quest’anno? E se è cambiata, cosa ha contribuito?
«Già la sua domanda sottolinea un aspetto interessante: non è vero, come si crede comunemente, che d’estate il virus circoli meno. Nel ’21 ci fu una grande trasmissione legata alle varianti e agli europei di calcio. Nel ’22 ci fu Omicron 5 che causò vari morti. Anche il ’20 ebbe il suo picco di casi in concomitanza con la riapertura delle discoteche. Quest’anno va detto che i casi stanno tornando a crescere. L’indice di trasmissibilità, il famoso Rt, è tornato sopra soglia (nel mesi di luglio è arrivato a 1,3 a livello nazionale, ndr). Stiamo osservando un aumento delle infezioni in tutte le regioni e questo non ci piace. Contemporaneamente però già da Omicron in poi abbiamo osservato che il tasso di ospedalizzazione dei contagiati è in diminuzione. Ricoveri, terapie intensive e decessi per infezione sono enormemente diminuiti, tanto che la mortalità ora è paragonabile a quella dell’influenza, attenzione però rimane un virus che si diffonde molto di più. Diciamo che la situazione per quel che riguarda il fronte ospedaliero non è bella, ma è in miglioramento. Quello che è cambiato rispetto agli anni passati è che la popolazione ora è ampiamente vaccinata. Molti hanno anche fatto il Covid almeno una volta.
Quindi la copertura dai sintomi più gravi è presente in un’ampia parte della popolazione. Questo significa che per la malattia grave siamo coperti, per l’infezione semplice è un discorso diverso. Questo è un virus capace di circolare tra chi è immune. Ad oggi il 40% delle infezioni che registriamo sono re-infezioni e forse il numero è più grande perché di molte positività non ne siamo a conoscenza».
Questo minore tasso di ospedalizzazione e di letalità è dovuto al vaccino oppure è il virus a essere diventato meno letale?
«Non è facile stabilirlo. Diciamo che da Omicron in poi abbiamo registrato un lieve calo nell’aggressività del virus che adesso aggredisce di più le vie aeree superiori e meno quelle polmonari. Quindi è un po’ meno aggressivo, dopodiché abbiamo una grande copertura vaccinale. Purtroppo la stiamo perdendo, la copertura non dura in eterno e di richiami se ne fanno sempre meno. Comunque tra vaccinazioni e guariti dal covid c’è una buona immunizzazione che protegge la popolazione dall’aggressività della malattia».
Vista la situazione con che spirito guardiamo all’inverno?
«Non ho la sfera di cristallo, ma direi che non c’è né la volontà né la necessità di mettere in campo interventi come quelli che si sono fatti quando non c’erano risorse alternative. Ora l’alternativa c’è e si chiama vaccino e immunità naturale. Io credo che, se non arriva una variante capace di provocare malattia grave nella popolazione vaccinata o che si è già ammalata, non ci sarà bisogno di ricorrere a misure di controllo della diffusione epidemica. Se una simile variante dovesse arrivare il discorso cambia, ma siamo nel campo delle ipotesi e finora non ne abbiamo viste».
Sul tracciamento e sui tamponi la sensazione è che si sono tirati i remi in barca?
«Ormai se ne fa poco. Dico una cosa: il monitoraggio è l’ultima cosa che dismessa perché è sempre utile. Oggi è difficile fare un monitoraggio perché di tamponi se ne fanno pochi. Fino al 2022 si individuava tra il 15% e il 45% delle infezioni, ora credo che siamo sotto il 15%. Se bisogna fare di più è una scelta politica, non tocca a me. Io da ricercatore ovviamente dico che sarebbe meglio fare di più anche perché il monitoraggio ci può aiutare a controllare le varianti e vedere come muta il virus».
C’è qualche minaccia o qualche virus da tenere sotto controllo?
«Per quel che riguarda i virus a trasmissione aerea in questo momento va posta attenzione alle influenze aviarie. Potenzialmente possono essere un problema anche per noi. Al momento non c’è contagio uomo a uomo, ma è una situazione da tenere monitorata».