IL FESTIVAL

domenica 27 Agosto, 2023

La direttrice di Oriente Occidente Consolati: «Creiamo incontri di culture a livello globale e di comunità»

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Dopo il successo dello scorso anno torna l'iniziativa culturale. L'esperta: «Un festival al passo coi tempi deve parlare più lingue, incontrare più pubblici»

Anna Consolati è direttrice generale di Oriente Occidente. Figura cardine all’interno della struttura organizzativa, in questa intervista illustra la missione e la visione del Festival e  centro di residenza artistica, alla luce delle istanze che la contemporaneità pone in rilievo.

Oriente Occidente ha svolto negli ultimi anni un significativo lavoro di reinterpretazione e consolidamento delle sue mission e vision, alla luce della complessità del mondo contemporaneo che ha inevitabilmente portato a interrogarsi, sulle proprie funzioni e organizzazioni, anche solide realtà come la vostra. Quali novità avete introdotto?

«Più che di interpretazione, parlerei proprio di un consolidamento di quel pay off che è “incontro di culture”, un’attenzione marcata ad accessibilità e sostenibilità e una necessità stringente di essere oltre il festival un ente culturale che lavora nei territori e nelle comunità, anche nel proprio spazio fisico che si apre in maniera osmotica. Oriente Occidente ha sempre lavorato tra etica ed estetica e ha cercato di anticipare tempi e tendenze artistiche portando anche delle riflessioni più larghe sulla società e il contemporaneo. Siamo sempre più nel mondo, quindi lavoriamo a livello glocal, sia sui progetti che sulle relazioni che sulle comunità. Abbiamo lavorato tanto anche sulla nostra competenza di guardarci e leggerci, per poterci raccontare al meglio e per definire con consapevolezza le strategie future».

Nel panorama dei festival internazionali comparabili al vostro, quali sono le caratteristiche distintive di Oriente Occidente?

«Andando per festival e confrontandomi spesso anche con operatori stranieri che spesso ospitiamo durante le nostre edizioni, ci sono certamente alcune peculiarità di Oriente Occidente. Un pubblico locale altamente fidelizzato, come verifichiamo e viene confermato ogni anno dai questionari che somministriamo. Tanti trentini e poi un gruppo di appassionati che arrivano anche da fuori provincia. Non è la tribù dei frequentatori dei festival del contemporaneo, è il festival della città di Rovereto, in primis della sua comunità di fruitori culturali. La seconda peculiarità è l’indice di riempimento e partecipazione: soprattutto agli occhi degli operatori stranieri, è sbalorditivo il risultato per una cittadina così piccola e periferica, per un festival di danza contemporanea, che tendenzialmente raccolgono invece pubblici ristretti di appassionati o operatori».

Quali sfide deve affrontare un festival internazionale di danza affinché sia al passo con i tempi e allo stesso tempo portatore di senso per la comunità?

«Deve parlare più lingue, incontrare più pubblici, mantenere organicità ma in maniera prismatica, offrire più livelli di ingresso, essere spettacolo dal vivo di eccellenza, ma anche riflessione, momento di aggregazione in forma di festa, come sono i concerti finali che anche quest’anno proponiamo dopo il successo dello scorso anno».

Oriente Occidente non si esaurisce nei dieci giorni del Festival. Il vostro è un lavoro quotidiano i cui esiti sono visibili (e fruibili) per tutto l’anno. Dai progetti europei alle residenze, quali sono le attività su cui puntate e vi siete specializzati?

«L’Oltre Festival vive nel lavoro che facciamo nello “Studio” e per i progetti “People”. Significa ospitare in residenza artisti che stanno sviluppando progetti e provare ad estendere questi periodi di ricerca per trovare scambi di senso con la comunità locale. L’Oltre Festival sono i progetti di comunità sulla disabilità e con la generazione Z. È utilizzare il corpo e la danza come veicolo per creare relazioni di comunità, dare voce a minoranze, stimolare incontri creativi e sociali».

Un’ultima domanda. Si tende ormai a definire «Festival» quasi ogni tipo di rassegna o calendario di appuntamenti, ma una distinzione andrebbe fatta tra questi due tipi e modalità di proposte. Guardando alla vostra esperienza, in che cosa si differenza un festival da altri generi di programmazione?

«Il festival osa, ti fa scoprire qualcosa di nuovo, ha l’ambizione di portarti un po’ oltre, o almeno sul bordo del crinale. Dico sempre che la capacità di Lanfranco Cis è quella di calibrare un programma che ci porta in un viaggio, con momenti calmi e piacevoli, subito seguiti da imprevisti, dall’inatteso. Essere Festival è proporre al pubblico, invitandolo a un patto fiduciario, di intraprendere un percorso di indagine che speriamo apra finestre, stimoli e approfondimenti, ponga domande più che dare risposte. Difficilmente si trova tutto questo in una rassegna»