il reportage

sabato 2 Settembre, 2023

Viaggio in Rsa, voci e storie degli ospiti della struttura San Bartolomeo: «Qui stiamo bene e non rompiamo»

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Le immagini e gli spaccati di vita degli anziani residenti raccontati nel nostro reportage

Una signora esile tiene stretta la mano del figlio mentre passeggiano nel giardino. Una donna accompagna la mamma in sedia a rotelle verso l’ascensore. Su in cima, nella terrazza, un signore afferra una sedia per lasciarsi accarezzare dal vento di fine estate. Tanti piccoli frammenti di vita che si frappongono all’ingresso della residenza sanitaria assistenziale (Rsa) «San Bartolomeo» di Trento. Una grande nave, con le sue finestre a oblò. Lungo le scale è stato scolpito un messaggio: «Non smettere di sognare. Goditi ogni momento». Non tutti gli ospiti immaginavano di trascorrere la vecchiaia in una casa di riposo, «ma le gambe hanno deciso per me», dice Antonietta Tait, seduta su una carrozzina. Il suo sospiro è battuto sul tempo dalle parole dell’amica. «Io invece ho scelto di venire qui per lasciare in pace i miei figli», spiega Lina Alessi. La chiosa, ironica, è di Eugenia Baroncelli: «Si sta meglio qui: a casa sono agli arresti domiciliari».
La hall è un crocevia di incontri. «Vedete quello? Si chiama Enzo, ha 102 anni e gioca ancora a carte. E vince», dice Lina. Lei ne ha compiuti 90 da poco. Il marito se n’è andato molti anni fa. Una morte prematura che l’ha costretta a crescere da sola i tre figli. Ora «ho deciso di venire qui per lasciare un ricordo positivo ai miei figli. Voglio lasciarli in pace. A casa mi capitava di cadere e dovevo chiamarli — prosegue Lina, che fino allo scorso novembre abitava nella sua abitazione, a Romagnano — Qui mi trovo bene. Facciamo molte attività. La mattina si fa ginnastica, poi si legge il giornale con il caffè e facciamo le parole crociate. Giochiamo a carte, c’è la sala della musica e anche il mercatino dei vestiti usati. Ai miei figli dico di chiamare dopo le 18.30 perché prima sono quasi sempre impegnata».
Il sottofondo musicale proviene dall’aula magna. Nel pomeriggio si ritrovano quasi tutti lì. Giovanna e Nunzio escono dalla sala. Lei vive in casa di riposo da 25 anni. Camminano insieme per il corridoio. Giovanna si guarda intorno con occhi fieri: sulla parete sono appesi i suoi dipinti.
Ma fra gli ospiti chi avrebbe pensato o voluto passare la vecchiaia in una Rsa? «Io ho sempre detto che non volevo i ricoveri. Non volevo trascorrere la vecchiaia in una casa di riposo, ma le gambe hanno deciso per me. Mi ha mandato qui l’ospedale», racconta Antonietta, rimasta vedova anche lei da giovane, con un figlio e un lavoro da impiegata. «Cosa mi manca di casa? Tutto», dice.
Eugenia soggiorna solo temporaneamente nella Rsa. Occupa uno dei «posti di sollievo», riservati alle persone che sono state dimesse dall’ospedale e che sono assistite dai familiari. «Mercoledì prossimo andrò via. Dovrebbero essere giorni di sollievo per le famiglie, ma in realtà sono giorni di sollievo per noi che stiamo lontani dai parenti», dice spalancando gli occhi ironici. Fa una premessa: «Lo psichiatra mi ha detto che sono logorroica». E in effetti è un vulcano. Originaria di Ravenna («sono nata al mare»), il padre voleva che si iscrivesse all’università, «ma mi presi una cotta». Sposò un professore universitario e «decisi di fare la segretaria per lui. In casa — ricorda — avevamo migliaia di libri». E a casa, ora, si appresta a tornare. «È un paradosso — prosegue — ma qui mi trovo molto bene, soprattutto con gli assistenti. Sono in un reparto psichiatrico, io sono l’unica normale e questo dà l’idea di quanto sia strana la definizione di normalità. Io sto benissimo con i matti perché con loro non abbiamo obblighi sociali».
Ogni due anni gli ospiti e le loro famiglie eleggono tre rappresentanti per portare istanze e idee all’amministrazione. Uno di loro è Fulvio Micheli, che ha deciso di mettersi a disposizione dopo che la moglie, affetta da Alzheimer, è entrata in Rsa. «Qui si entra con la sofferenza e si esce con le lacrime. Dobbiamo fare di tutto per creare un ambiente all’insegna della dolcezza — spiega — una delle principali istanze che ci vengono manifestate è che il personale, oltre ad essere professionale, instauri un rapporto affettivo con gli ospiti. Le persone vogliono un sorriso, una carezza. Con l’amministrazione siamo riusciti a creare un rapporto positivo e, a parte qualche lamentela, non ci sono particolari polemiche. Facciamo anche tante piccole iniziative: dalla gabbia dei pappagalli a un piccolo spazio per le galline».