La storia

domenica 10 Settembre, 2023

Ahmed, il sarto da 30 anni in piazza Garzetti

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Ahmed Ferrah è arrivato in città nel 1990: tre anni al ristorante Chiesa e poi il negozio. «Ho passato la mia vita qui e ho visto Trento cambiare. Ricordo i nomi e le vite di tutti i clienti»

«Tutta la mia vita a Trento è stata in piazza Garzetti. Ho osservato la città cambiare da questa prospettiva, la mia piazza. L’unico elemento che non cambia mai sono i bambini, la loro gioia, la loro disperazione». Nel suo piccolo laboratorio di sartoria, ricavato in un locale Itea al numero civico 10, Ahmed Ferrah guarda il mondo. Si distoglie dalla macchina da cucire solo quando percepisce un’ombra all’ingresso e stringe gli occhi nelle rifrazioni della luce. Tre gradini che scendono sotto il livello della strada, il suo riparo nella vita. Ha aperto nell’autunno del 1993, trent’anni fa. Affisso alla parete l’attestato della commissione provinciale per l’artigianato che lo iscrive nell’Albo con decorrenza dal 13 ottobre. Ti osserva, Ahmed, con il suo sguardo fanciullesco che unisce espressioni di stupore e amore per i dettagli. Nessuno, qui, è anonimo. Ahmed non solo ricorda i nomi e le storie familiari di tutti i suoi clienti, ma capita che restituisca aneddoti e confidenze che hai rimosso dall’archivio della mente. «Non so come riesco, sono fatto così. Forse mi succede perché desidero che le persone si trovino da me come a casa» dice con la sua semplicità.

«Cerano ancora i francesi!»
Ahmed Ferrah è nato ad Algeri il 28 maggio 1953. «C’erano ancora i francesi!». Il papà Daoud era un commerciante, la mamma Cherifa una casalinga. Sono morti tra il 1991 e il 1992 e da allora Ahmed non ha più fatto ritorno nella capitale algerina nonostante vivano lì i suoi due fratelli più anziani, Said e Mohamed. «Quando la mamma era viva tornavo sempre e lasciavo i soldi sufficienti per un anno» ricorda. Dopo le scuole elementari e qualche lavoretto, era stato assunto in una fabbrica di Algeri che produceva vestiti nel 1975. Dell’Italia aveva avuto un assaggio nel 1982 («Come turista, sono stato a Roma») prima di ritornarci definitivamente nel 1990 grazie ad alcune conoscenze algerine. A Trento è arrivato nel 1990, il destino. Un mese al Santa Chiara per un’operazione di calcoli e due mesi a Villa Sant’Ignazio. Poi il lavoro come aiuto cuoco al ristorante Chiesa. «Sergio Chiesa è una bravissima persona, un grande capo». Ai fornelli c’era Mario Giovanella. Alcune foto storiche, che Ahmed cura come cimeli d’epoca, lo ritraggono a tavola con l’équipe della cucina (qui sotto è il secondo da sinistra).

«La sartoria, il mio sogno»
«Sono stato benissimo ma dopo tre anni ho lasciato per il mio sogno, aprire una sartoria. Era il lavoro adatto a me. Ho trovato questo locale Itea in piazza Garzetti e alcune famiglie trentine mi hanno aiutato economicamente. Cercavo in centro storico perché il passaggio di persone aiuta il lavoro. Non c’era ancora il parco giochi e le auto potevano circolare. Non mi sono più spostato, tutta la mia vita è stata qui». Tanto che, pur avendo raggiunto la pensione, ha scelto di non recedere da questo suo osservatorio così delicato e prismatico. «Non mi piace il vuoto per questo ho deciso di continuare». Non l’ha mai nemmeno sfiorato il progetto di fare ritorno ad Algeri: «Forse un giorno ci andrò. Ma la mia casa è Trento, il mio piatto preferito la polenta. A proposito, ma alle nuove generazioni piace la polenta?».

Una comunità trasversale
Ahmed utilizza «caro» e «cara» per i e le clienti che non diventano mai ripetizione, ma ogni volta è come se fossero stati pronunciati per la prima volta. È la sua autenticità. Considerata l’etimologia è anche il suo modo per esprimere amore. Talvolta declinano verso il superlativo quando il legame non è più di superficie. Solo frequentando nel tempo questa bottega da angiporto e osservandone i suoi astanti si può capire che intorno ad Ahmed si è costituita una comunità variegata di soggetti, con estrazioni sociali agli antipodi, che entra tra rocchetti, aghi e gessetti per cercare qualcosa di più di un’opera di sartoria. Anche se quella non manca mai: «La riparazione più complicata? Rifoderare una giacca».

«Mi è piaciuta la vita»
Ahmed indossa sempre un copricapo, gli occhiali che scivolano sulla punta del naso in un’eterna lotta di equilibrio. L’ironia sottile, l’attrazione per il Bondone. I viaggi in Costa Azzurra, l’ultimo a Nizza. «Cosa mi piace di più del Trentino? La natura». Ahmed prega ogni venerdì al centro culturale islamico di Gardolo anche se abita da tempo in Clarina. «Mi è piaciuta la vita che ho avuto».

«Carissima, ti aspettavo…»
«Buongiorno carissima, ti stavo aspettando…» si rivolge ad una cliente tra gioco e seduzione. Fuori una signora richiama il marito: «Renzo, hai visto che bel lavoro ti ha fatto?». Nei periodi caldi a volte Ahmed cinge una seggiola e la porta fuori dal laboratorio. Si siede in silenzio per raggiungere una dimensione quasi estatica. È lì che, alla fine, comprende il mondo che lo circonda.