La storia
mercoledì 20 Settembre, 2023
di Gabriele Stanga
Dalla giacca da cuoco di Alessandro Borghese alle tende del teatro Zandonai di Rovereto, poi i vestiti delle damigelle medievali per le feste vigiliane, matrimoni un po’ rocamboleschi e persino l’abito da scena di un mago. Ne hanno visti passare tanti di capi di abbigliamento Giorgio Bianchini e Graziella Beatrici, i due coniugi che da una vita gestiscono la Lavanderia Splendor in via Giovanni e Tina Lorenzoni, nel quartiere di San Giuseppe a Trento. Una vera e propria istituzione per Trento, con la quale molti clienti, alcuni anche noti al grande pubblico, hanno instaurato negli anni un rapporto di fiducia.
Dopo aver imparato il mestiere dalla madre ed averlo continuato per 35 anni di attività, Graziella ha però deciso, insieme a Giorgio, di chiudere la lavanderia. «Siamo in età di pensionamento – racconta – è una questione fisica, di volontà e di stanchezza». Se ne va, dunque un pezzo di storia della città, con grande rammarico da parte dei clienti storici e dei più affezionati. La lavanderia ora è in vendita, come spiega Giorgio: «I nostri figli hanno preso altre strade, non avevano interesse a continuare. Ci sono un po’ di persone che vengono a vedere la lavanderia, anche se nessuno ha fatto ancora il passo di acquistare. Forse c’è un po’ di paura nel gestire una nuova attività, anche se ben avviata», le sue parole (per gli interessanti il numero di riferimento da contattare è 3393979517). I coniugi Bianchini-Beatrici hanno raccontato la storia dell’attività e ricordato i momenti più belli che hanno vissuto in questi lunghi anni di lavoro.
Signora Beatrici, quando ha cominciato l’attività e come l’ha vista cambiare nel corso degli anni?
«Mia madre aveva fatto questo lavoro per 20 anni e me ne aveva insegnato i fondamenti, sono figlia d’arte. Ho preso la lavanderia quando avevo 33 anni e sono qui ormai da 35. Il lavoro è cambiato molto nel tempo, nonostante le nuove tecnologie, è diventato forse più complesso. Una volta non esistevano le stoffe col riciclo. Nel tessuto riciclato ci sono tante stoffe diverse, oltre a colle e plastiche, non c’è una stoffa precisa, quindi bisogna prestarci molta attenzione».
Quanti capi siete abituati a gestire?
«In questo momento ne abbiamo una media di 4-500. Il nostro è un lavoro che segue molto le stagioni, ci sono 2 periodi principali: quello primaverile e quello invernale. Ci sono mesi buoni in cui si lavora di più, come, ad esempio, maggio ed altri un po’ meno buoni come febbraio, ma diciamo che i periodi buoni compensano gli altri. Noi, poi, abbiamo abituato i clienti a fare anche deposito qui. Molti passano ora a prendere i loro giacconi invernali».
Che tipo di rapporto si è creato col quartiere e con i clienti?
«C’è un forte legame, anche se sempre professionale. Non abbiamo amicizie tra i clienti perché abbiamo preferito mantenere il rapporto sul piano lavorativo, in modo da non doverlo portarlo poi anche a casa e che non invadesse gli spazi di vita personali. Però abbiamo tanti clienti storici, molto affezionati, accanto a quelli di passaggio. La nostra chiusura è la disperazione dei nostri clienti, perlomeno finché non arriverà qualcuno al nostro posto. A proposito di clienti, ricordo che anche Maria Concetta Mattei, prima di trasferirsi a Roma per lavorare al Tg2, fu nostra cliente per alcuni anni».
Ci sono stati anche altri clienti celebri?
«Una volta c’è stata portata la giacca da cuoco di Alessandro Borghese, quando venne qui a Trento per 4 ristoranti, non la portò lui direttamente. Venne la famiglia Martinelli, cui lui l’aveva regalata, però sulla giacca c’era il suo nome e il logo del programma. Un altro fu il mago Dennis Forti, che svolgeva un programma per la televisione locale. Ci portò da lavare una giacca particolarissima piena di mostrini e pietruzze».
Qual è stato il lavoro più bello che vi abbiano commissionato?
«Una cosa unica fu la tenda di un teatro. Il teatro Zandonai di Rovereto ci portò la propria tenda da scena di 90 metri (ride). Penso sia stata la commissione più inaspettata e particolare. Poi lavorando spesso con abiti raffinati ed anche vestiti da sposa, ci portavano ogni anno gli abiti delle dame per le feste vigiliane. Erano degli abiti medievali davvero bellissimi».
E la richiesta più bizzarra, oltre alla tenda?
«Un sabato notte alle 2 sentimmo suonare il campanello di casa. Era uno sposo che ci aveva lasciato il proprio abito per il matrimonio e lo aveva completamente dimenticato. Dopo svariati tentativi senza trovarci, era riuscito ad ottenere in qualche modo il nostro indirizzo ed era venuto a prendere il vestito per sposarsi: il matrimonio era la mattina dopo!»
Vedete un calo dell’interesse per la vostra professione?
«Purtroppo, c’è un calo fisiologico, la gente non ha più soldi e soprattutto tra i giovani non c’è troppo interesse, Si tagliano cose che vengono percepite come non necessarie, soprattutto dopo il Covid».
Che periodo è stato per voi quello della pandemia?
«È stato un momento duro per tutti, noi eravamo aperti ma non poteva venire nessuno. L’unica fortuna è che, rispetto ad altri, potevamo muoverci un po’ da casa».
Sesto Pusteria
di Redazione
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