la critica
venerdì 22 Settembre, 2023
di Sara Alouani
Si chiama Serena Rammazzo e nella sua lettera si autodefinisce «cittadina di Trento». Dopo aver visitato i giardini del castello del Buonconsiglio, spiega, si è recata al bagno dove è rimasta spiazzata dalle insegne che differenziano i servizi per le donne da quelli riservati agli uomini.
Per i primi, infatti, viene raffigurata una mamma con un figlio maschio ed una figlia femmina, quindi, prevede l’accesso ai bagni a entrambi i bambini. Per i secondi, invece, il bambino che accompagna il papà è solo maschio.
«Premetto la mia posizione, ovvero di assoluta contrarietà della divisione dei bagni in base al genere maschile e femminile perché sono discriminatori per tutte quelle persone che non rientrano nell’una o nell’altra categoria» tiene a precisare Rammazzo che elenca nella sua lettera una lunga serie di altre motivazioni a supporto della sua avversione per la divisione dei servizi igienici.
Rammazzo continua: «Per quale motivo alla figlia è negato l’accesso al bagno degli uomini e non avviene il contrario per il figlio maschio? Perché ad un bambino è consentito l’accesso al bagno con la mamma e alla bambina non è consentito l’accesso al bagno con il papà? Al netto del fatto e della considerazione che possano esserci famiglie omogenitoriali o con due genitori dello stesso sesso, impedendo dunque alla bambina di andare in bagno, mi domando quali pericoli possa correre una bambina entrando nel bagno degli uomini? Cosa può comportare questo? Pericolo? Rischio di violenze future? O l’intento è quello di proteggere la bambina da eventuali sguardi furtivi maschili? E allora, per quale motivo abbiamo deciso di sessualizzare il corpo di una bambina e non quello del bambino? Presupponiamo che l’uomo sia violento in ogni caso e la donna non lo sia in nessuno? Dunque per il bambino non esistono pericoli? Ritengo sia molto grave che all’interno di un luogo pubblico venga fatta una distinzione di questo tipo, in un’età così giovane, riflesso di una società maschilista e patriarcale che impedisce alle bambine e ai bambini uno sviluppo equo e sereno, libero da sessualizzazioni e responsabilità rispetto al loro sesso di nascita. Soprattutto quando si tratta di minori spetta a noi adulti il compito e il dovere di porre le basi per una società che permetta il pieno sviluppo, sia che siano giovani bambini o giovani bambine e, dunque, ogni luogo pubblico ha l’obbligo di garantire questo spazio, anche un bagno. Ho volutamente tralasciato il presupposto per il quale il lavoro di cura spetta alla donna e non all’uomo, dunque il fatto che in una “famiglia tradizionale” è la mamma a portare in bagno i due bambini, mentre quello del papà è un lavoro “eccezionale” che fa solo nei confronti del figlio maschio. Lo tralascio perché questo è un lavoro faticoso, costante e demoralizzante, anche personalmente, per una società maschile che non ha nessun interesse alla messa in discussione del proprio privilegio per un interesse collettivo. E lo tralascio soprattutto perché parto dall’amara consapevolezza che la società per me donna sarà estremamente faticosa, sempre, ma non voglio che lo sia per le donne e, più in generale per le persone, future».
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