Trento
sabato 23 Settembre, 2023
di Mattia Pelli
Come descrivere la fetta di città che ruota attorno a via San Pio X? Potremmo forse iniziare col dire che vi si trova una inusuale concentrazione di parrucchieri, di tutte le nazionalità e per tutte le tasche, così come una quantità di sedi sindacali — confederali e non — e di chiese: quella monumentale di San Giuseppe, quella di San Pio X e — molto più modesta — quella Evangelica di via Cauriol, dove poco più in alto, un tempo, c’era anche il Centro islamico con la moschea.
Appena passate le arcate c’è un bar gestito da esercenti cinesi, che ogni sera raccoglie un’affezionata clientela per l’aperitivo, mentre nella vetrina del negozio di vestiti poco lontano, accanto a capi sportivi, un manichino femminile indossa un hijab attorno al capo. Nel classico bazar cinese, fino a prima del Covid c’erano in vendita granchi vivi e pesce fresco, portato direttamente da Chioggia (Venezia) ogni mercoledì, mentre negli spacci etnici si trovano spezie e carne halal.
Via Matteotti è invece divisa in due: la parte bassa, con le attività commerciali e i palazzoni più popolari, e quella alta, dove le case si abbassano e diventano più signorili, circondate da bei giardini. Il nuovo parco sorto sull’area delle ex caserme Duca d’Aosta (tra via Vittorio Veneto e via Matteotti), è diventato il punto di ritrovo di bambini in cerca di un po’ di sfogo dopo la scuola: non si contano i compleanni festeggiati su quelle panche sotto i grandi platani, che di sera diventano rifugio per gruppetti di adolescenti che lì ritrovano la voglia di chiacchierare.
Alle elementari De Gaspari e alle Savio tutto questo bel mondo impara a conoscersi, a vivere insieme, con le arcate della Valsugana a fare da sfondo e il rumore del trenino che gli abitanti non sentono nemmeno più.
Il quartiere nasce anche grazie a un forte intervento edilizio pubblico: ci sono le case dette «dei maestri» in via Vivaldi, costruite a fine anni ‘50 dal ministero dell’istruzione, dove ha vissuto Felice Manzinello, morto nel 2023 a 105 anni. Catturato in Libia dagli inglesi durante la Seconda Guerra Mondiale e internato in India, al ritorno divenne insegnante elementare: «Qui intorno — spiegava ai suoi vicini indicando i parcheggi — quando sono arrivato io non c’era nemmeno una macchina. Soltanto biciclette». Ma prima ancora, nel 1952, quando Renzo Moratelli è venuto a vivere qui con la famiglia, tra casa sua — due edifici costruiti per ospitare i ferrovieri, accanto all’attuale supermercato Orvea — e il Fersina c’erano solo campi di mais e vecchie fortificazioni della contraerea. Accanto c’era la «nave», un altro edificio di case popolari ora abbandonato. Quattro piani con 28 appartamenti, occupato nel 2016 da un gruppo di anarchici per denunciare lo spreco di quelle case vuote. Una ferita ancora aperta nel cuore del quartiere.
«Sono arrivato qui che avevo sei anni — racconta questo signore distinto che ora vive in via Matteotti dopo una carriera nell’Esercito — e via San Pio X era una strada bianca, che hanno cominciato ad allargare e asfaltare a partire dal 1955». È stato in quegli anni che ha preso il via il rapido sviluppo del quartiere, grazie a un imprenditore edile che ha cominciato a costruire edifici senza badare troppo al numero di piani massimo imposto per legge. Via Don Sordo ne è un esempio, con una densità abitativa piuttosto impressionante.
Lì dove ora sorge la chiesa di San Giuseppe, progettata da Efrem Ferrari, c’era il campo sportivo della parrocchia e la chiesetta originaria è ora diventata teatro parrocchiale. «L’ho vista venire su dalle fondamenta» spiega Renzo Moratelli, che ricorda anche le lunghe ore passate in strada a giocare con i suoi coetanei. «Qui era pieno di bambini» racconta. Un quartiere, quello di San Pio X, che ha un’anima popolare: «Qui ci vivevano soprattutto operai, molti arrivati dalle valli per lavorare in città» spiega. Era il caso dei «casoni» e del «Vaticano», che fino agli anni ‘30 segnavano il limite tra la città e la campagna.
A questi edifici è dedicata la mostra curata da Elena Tonezzer, della Fondazione Museo storico del Trentino, che verrà esposta oggi nel parco Duca D’Aosta come parte della festa di quartiere intitolata «C’è un unicorno in città». Sara Zanatta, del Museo storico, proporrà insieme a Guido Laino, promotore dell’applicazione «Le case parlanti», visite guidate proprio ai «casoni» e all’asilo Pedrotti, costruito nel 1922. In fondo una comunità si sviluppa e cresce quando si immagina tale e oggi sarà una bella occasione per farlo, per conoscersi e scambiarsi vecchi racconti di quartiere e nuove storie di cittadinanza, nel segno dell’unicorno, simbolo di rinascita.
L'INTERVISTA
di Anna Maria Eccli
Violoncellista, sposata con un principe africano, gira il mondo per lavoro. Nella città della Quercia ha deciso di comperare un rifugio dalla vita frenetica parigina. Proprio accanto alla residenza per cui i suoi avi si indebitarono