la storia

domenica 1 Ottobre, 2023

Lagorai, Giulia e Luigi da undici anni a Malga Cere: «Siamo custodi di terre che esprimono valori»

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La coppia, assieme alla figlia Rosa di 9 anni, gestisce la malga a 1.700 metri, diventata anche luogo di cultura e di pensiero

Non solo l’attenzione all’ambiente e a ciò che viene messo nel piatto, ma anche la consapevolezza della montagna e lo spirito di accoglienza: questi gli ingredienti che Giulia e Luigi hanno portato a Malga Cere, esercizio rurale sulle montagne del Lagorai.
Situata a 1.713 metri di altitudine sopra la Val Calamento, a Malga Cere si arriva solo a piedi. Un po’ ristorante, un po’ malga, un po’ centro culturale, è il luogo in cui Giulia Bortolon, il compagno Luigi Dall’Armellina e la figlia Rosa hanno scelto di stare.
Gestiscono la struttura portandovi tutta la loro storia e le loro scelte di vita.
Originari di Venezia e Castelfranco Veneto, undici anni fa hanno iniziato ad occuparsi della gestione invernale ed estiva, per i primi tempi senza interrompere completamente le occupazioni precedenti.
L’arrivo della figlia Rosa li ha portati poco alla volta a fare la scelta trasferirsi definitivamente in Trentino.
Giulia Bortolon, da dove arriva questa scelta?
«Luigi è stato cooperante in Guinea Bissau, e dopo questa esperienza ha ripreso il suo sogno di sempre di lavorare in montagna: dapprima è venuto in Valsugana per imparare a lavorare in stalla e poi abbiamo scoperto del bando per questa malga. Io al tempo avevo un lavoro collegato all’Università di Venezia di Ca’ Foscari che per un po’ ho tenuto. A un certo punto, però, abbiamo dovuto prendere una decisione: avendo scelto un certo tipo di vita legato alla natura e all’ambiente, per custodire un posto in alta quota non aveva davvero senso perdere così tanto tempo negli spostamenti. Quindi abbiamo deciso di trasferirci definitivamente in Trentino, in Valsugana. Adesso viviamo ai Masi di Roncegno».
Dall’offerta gastronomica alle tante iniziative culturali, si capisce subito che da voi alla base c’è una precisa filosofia. Vuole parlarcene?
«La nostra attenzione alla sostenibilità ambientale e al territorio si riflettono sull’offerta della cucina: poniamo una grande attenzione al biologico e al fatto che i prodotti siano a filiera corta. Non avendo una cucina da ristorante vero e proprio ma una cucina molto piccola, abbiamo puntato sulla qualità dei prodotti, con un’attenzione anche, per quanto possibile, alla linea vegetariana e vegana. Dal punto di vista culturale negli anni abbiamo sperimentato di tutto, compreso il cineforum in alta quota. Negli anni è nata anche la rassegna di laboratori per bambini “Alte vette per piccole stature” in cui abbiamo inserito la didattica. Infatti, io sono facilitatrice linguistica, insegno italiano come seconda lingua a chi arriva da altri paesi, e insegno attualmente alla scuola primaria di Borgo. La didattica è la mia passione che è confluita un po’ alla volta nella nostra attività e nella scelta di creare laboratori per bambini».
E come siete arrivati al traguardo dei dieci anni?
«Abbiamo vissuto molte vicissitudini. Prima ancora della pandemia, per noi c’è stata Vaia, che è stato un evento ancora più devastante: il sentiero che portava qui è rimasto bloccato per tanto tempo, ed anche quelli nei dintorni non erano messi bene. Quindi ci sono stati un paio di anni non facilissimi, però abbiamo resistito. Quando abbiamo compiuto dieci anni abbiamo fatto una revisione del nostro progetto: da quest’anno, infatti, Luigi gestisce anche il nuovo rifugio Malga Cavallera, con il suo socio Dario Ferroni, mentre io mi sto dedicando di più alla parte didattica. Il filo conduttore per i due rifugi riguarda la sostenibilità ambientale e il fatto di essere custodi di luoghi di cui vogliamo coltivare il valore».
Che cos’è il progetto Terre Alte Malga Cere?
«Da Malga Cere le persone transitano verso i numerosi trekking del Lagorai, però abbiamo notato che questo non è solo un luogo di passaggio ma anche un posto in cui le persone stanno bene e si fermano. Noi avevamo bisogno di dare un significato a questo stare nelle terre alte con una certa consapevolezza: è nato così il progetto Terre Alte Malga Cere, che si occupa di cultura, accoglienza e sostenibilità in cui è coinvolto anche Luca Stefenelli, accompagnatore di media montagna (Montanamente). Siamo partiti organizzando dei laboratori di osservazione ed esplorazione sensoriale con la guida; stiamo progettando attività didattiche per le scuole, ad esempio sono venute le classi prime dell’istituto Degasperi di Borgo per fare attività di accoglienza. Abbiamo fatto anche percorsi in notturna, per cambiare il punto di vista sulla montagna. Pochi giorni fa abbiamo ospitato Lucia Ferrai di Filos eventi e l’associazione Tasso Barbasso, e un evento dedicato ad Emergency».
In famiglia siete in tre: come vive questa scelta di vita vostra figlia?
«Mia figlia Rosa, che ha nove anni, è quella più radicata in questo posto perché ci è nata. Spesso le persone mi chiedono se lei non sia isolata d’estate in malga, ma la realtà è che ci sono sempre persone, che passano e che tornano, le relazioni sono tantissime. Tante iniziative per i bambini, in realtà, inizialmente le abbiamo promosse anche pensando a lei, proprio perché fosse un luogo frequentato da bambini. E poi queste cose hanno preso piede, anche indipendentemente da Rosa. D’estate la malga è circondata di animali e abbiamo visto l’abilità di Rosa a riportare le mucche indisciplinate. Qui a fianco c’è un pascolo esterno di mucche e un altro di cavalli, proprietà di altri pastori. Di nostro abbiamo due asinelle e le galline, poi c’è sempre qualcuno che si lascia in custodia degli animali che poi rimangono. La cosa bella è che magari io le mucche non so mandarle via, Rosa invece sì, ha imparato, e sono cose che succedono in alta montagna. Per lei questa è casa sua. Che poi non è un posto nostro, è del Comune di Telve, e questo per me è un grande elemento di valore, non solo perché le istituzioni ci hanno sempre sostenuti, ma perché credo molto nel fatto che questo sia un luogo da custodire, e la nostra funzione è custodire un luogo che è di tutti».
In questi anni avete visto cambiare il modo di vivere la montagna?
«Solo in parte. Magari può capitare che arrivino persone che non conoscono la montagna e fanno richieste più assurde: ma è un fenomeno molto limitato. Io, anzi, vedo persone con grande consapevolezza. Forse proprio perché da noi è molto evidente il progetto: quest’anno ci sono state tantissime persone con la tenda, in trekking, molti sono venuti a cavallo, e c’è stata grande partecipazione agli eventi, come quelli con Marco Albino Ferrari, con Daniele Zovi e con Paolo Malaguti. Poi lo so, io vedo sempre il bicchiere mezzo pieno, ma è come se, con una nostra identità chiara, arrivasse da noi chi ha già una certa sensibilità, oppure la voglia di essere recettivo.
Che poi bisogna un po’ andare oltre al mito della montagna incontaminata, e smitizzarne la sacralità, perché la vita di montagna non è quella di Heidi, ma va compresa attraverso l’educazione: se qualcuno ti spiega qual è l’ambiente che ti circonda, qual è il paesaggio, quali sono gli alberi, la percezione cambia: tutti abbiamo una sorta di cecità vegetale, e attraverso piccole esperienze cambia lo sguardo e cominci a riconoscere le diverse forme. È successo e continua a succedere anche a me».