Il forum

venerdì 6 Ottobre, 2023

Stati generali del welfare, i promotori: «Per i nostri servizi risorse limitate»

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La redazione de il T con Gennai (Consolida), Komatz (Villa Sant’Ignazio) e Casagranda (Csv Trento)
Massimo Komatz, Giorgio Casagranda, Francesca Gennai (Foto di Federico Nardelli)

La sensazione è che si sia persa «una dimensione di senso, di significato». Come se i servizi garantiti dalle cooperative sociali e dalle organizzazioni di volontariato — che confluiscono nel cosiddetto Terzo settore, ossia l’universo degli enti privati che perseguono finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale senza scopo di lucro — fossero dei meri ingranaggi della società. Come se fossero dei semplici e puri servizi: c’è l’erogatore e c’è l’utente. «Ma noi non siamo solo questo. Noi abbiamo un’enorme capacità di aggregazione. Siamo un elemento di definizione della comunità». Ecco la sensazione è che negli ultimi anni questa dimensione sia rimasta soffocata «dalla logica degli appalti, dalla logica del massimo ribasso. E anche per quanto riguarda le altre forme di affidamento dei servizi da parte del pubblico dobbiamo sempre fare i conti con la riduzione dei costi e la burocratizzazione». E da qui derivano «salari non sempre degni»: spesso si parla di stipendi di 1.300 euro. Tutto questo fa specie perché le casse pubbliche saranno sempre più sotto pressione e quindi «noi potremmo essere una risorsa per alleggerire i costi e attirare fondi», spiegano al forum de il T Francesca Gennai, presidente di Consolida, Giorgio Casagranda, presidente del Centro servizi volontariato (Csv) del Trentino, e Massimo Komatz, coordinatore generale della cooperativa sociale Villa Sant’Ignazio, fra i promotori degli Stati generali del welfare, in programma domani proprio a Villa Sant’Ignazio, a Trento. Una giornata di dibattito sul welfare del futuro, organizzata, non solo da Consolida (il consorzio delle cooperative sociali trentine) e Csv, ma anche dal Coordinamento nazionale comunità di accoglienza (Cnca) del Trentino, in collaborazione con la Consulta provinciale delle politiche sociali. L’autocritica non mancherà.

Quali sono due punti di forza e due di debolezza del Terzo settore?
Komatz: «Un punto di debolezza riguarda la capacità di rinnovarsi. Il sociale, in questo momento, è davvero una villa antica: un capitale prezioso costruito nel tempo, ma per essere funzionale ha bisogno di trovare il modo di tenere insieme il rispetto di quanto costruito in passato e la capacità di visione del futuro. Un altro punto di debolezza è la frammentazione della rappresentatività nel dialogo con le istituzioni. Invece un punto di forza è la creatività quotidiana, quindi la capacità di stare con le persone che hanno bisogno».
Casagranda: «Uno dei punti di debolezza è l’incapacità di fare rete. Per anni abbiamo lavorato a comparti stagni, anche con momenti di frizione, quasi di gelosia. Poi nel momento in cui è scoppiata la pandemia, ci siamo accorti dell’importanza di fare squadra. C’è da dire che le istituzioni non hanno fatto poco o nulla per farci sedere attorno a uno stesso tavolo. Un altro punto di debolezza è la scarsa capacità di andare nelle scuole per far sì che i ragazzini diventino ambasciatori delle buone pratiche nelle loro famiglie».
Gennai: «Abbiamo perso la capacità trasformativa: piuttosto che interpretare soluzioni, siamo molto vincolati all’istituzionalizzazione, alla performance normativa, al catalogo, al bando di gara. Questo è uno dei principali punti di debolezza. Abbiamo smesso, inoltre, di fare politica, e fare politiche. Ci siamo depoliticizzati. Rispetto all’occupazione, infine, siamo scarsamente attrattivi e abbiamo qualche resistenza ai cambiamenti delle nostre strutture organizzative. Abbiamo, però, anche tanti punti di forza. Uno di questi è l’essenzialità di quello che facciamo. E poi siamo capillari e radicati. Siamo talmente entrati nella quotidianità che siamo diventati invisibili».

Esternamente com’è cambiata la visione della politica e della società civile rispetto al Terzo settore?
Casagranda: «Da questo punto di vista il volontariato è riuscito a fare breccia. Se siamo stati scelti come Capitale europea del volontariato 2024 lo dobbiamo soprattutto all’attenzione dei cittadini ai beni comuni. Spero che questo sia di buon auspicio per una maggiore integrazione delle associazioni di volontariato con tutte le realtà del sociale».
Komatz: «Negli ultimi anni siamo in una fase di stasi nei rapporti con la politica. Non siamo stati in grado di far comprendere l’essenzialità della nostra attività: non realizziamo solo servizi alla persona, ma abbiamo anche un’enorme capacità aggregativa, di coinvolgimento delle persone. In questi anni il dibattito è stato indirizzato dagli aspetti giuridico-amministrativi legati alla riforma nazionale del Terzo settore. Ecco penso che il troppo ordine blocchi le dinamiche vitali del Terzo settore. Sono convinto invece che il caos possa essere creativo».
Gennai: «Parliamoci chiaro, noi per la politica siamo principalmente un costo da mettere in bilancio. Non vedono invece la dimensione di risorsa del Terzo settore: primo, per alleggerire il costo dei servizi stessi e rafforzarne ulteriormente la capacità; secondo, per la capacità del Terzo settore di attrarre anche nuove risorse economiche. Questo settore sconta anche il fatto di essere estremamente femminile. Tutti i settori tipicamente femminili non sono attrattivi. Il Terzo settore, dunque, deve affrontare anche un’altra sfida: se noi occupiamo molte donne e facciamo sì che queste donne non possano avere una retribuzione tale da poter fare scelte in autonomia, dobbiamo interrogarci per rendere più forte e stabile questo tipo di occupazione, anche per aiutare le donne che si trovano in condizioni di fragilità».

Dagli operatori del Terzo settore arriva una forte richiesta di riconoscimento. Il sistema degli appalti, non solo dal punto di vista economico, è adeguato all’evoluzione dei servizi richiesti dalla società?
Komatz: «Noi arriviamo da un primo periodo di cesura veramente forte rispetto alla storia di crescita del Terzo settore in Trentino. Nel nostro territorio dalla fine degli anni Settanta la gente ha iniziato a fare delle cose per chi aveva bisogno in forma autorganizzata. In Trentino il Terzo settore è nato dall’impegno individuale di gruppo e non da un pensiero dell’istituzione. Questa storia bisogna innanzitutto rivendicarla con orgoglio e poi bisogna ridarle significato. Arrivo alla domanda. Ora noi stiamo cambiando pelle in maniera profonda e negli ultimi cinque anni c’è stato un grande processo di affidamento dei servizi socio-assistenziali. Ed è successo di tutto. Alcuni di questi servizi sono stati affidati tramite veri e propri appalti, secondo una logica che rifiutiamo, perché non parliamo di servizi che possono essere affidati secondo la logica del massimo ribasso. Ma al di là dello strumento dell’appalto, anche tutte le altre forme di affidamento sono state contrassegnata dalla riduzione dei costi, dalla burocratizzazione del rapporto e dall’ampliamento dei costi legati alla gestione giuridico-amministrativa. Questo percorso di affidamento dei servizi ha messo in difficoltà molte cooperative, anche dal punto di vista economico, ma soprattutto ci ha inseriti all’interno di un percorso di trasformazione incentrato sul “qui e ora”, sulla sopravvivenza. Invece andava incentrato sul futuro. In questo momento siamo fuori da questa fase di transizione, ma non abbiamo l’aria per respirare, per fare innovazione. E poi va detta anche un’altra cosa. La riforma delle Comunità di valle ha dato in capo a questi enti una responsabilità primaria, cioè quella di gestione dei servizi sociali e del loro affidamento. Non ci interessa se lo ha fatto il centrodestra o il centrosinistra. Il dato di fatto è che questa riforma istituzionale, abbinata alla riforma dei servizi sociali, ha creato delle sperequazioni sul territorio. Questa cosa non va bene. Oltretutto tantissime delle risorse dedicate al sociale finiscono per coprire costi di struttura delle Comunità di valle, che ne hanno un bisogno oggettivo. La sovrastruttura non è più bilanciata all’effettivo risultato. Stiamo parlando del venir meno del principio di sussidiarietà: dal sostituire lo Stato rispetto all’erogazione di servizi, siamo passati ad una sorta di concessione».
Gennai: «Gli appalti fanno parte del problema perché aumentano la competizione e normalizzano la risposta ai bisogni. Come si fa a innovare quando il capitolato di gara ti impone di fare determinate cose? Inoltre le modalità di affidamento variano da Comunità a Comunità, senza garantire la stessa qualità di servizio territoriale. Allo stesso tempo, un elemento centrale è il costo della co-progettazione perché si parla anche di 15-20 incontri per far scaturire un progetto».

Qual è l’andamento delle risorse finanziarie per il settore? E sul fronte delle risorse umane, quali sono le necessità?
Komatz: «Le risorse finanziarie sono rimaste uguali nel tempo, nonostante il costo della vita, banalmente, sia aumentato. Noi tra l’altro rischiamo di rimanere schiacciati tra le rivendicazioni sindacali dei lavoratori e le risorse che abbiamo a disposizione. È evidente che si pone un tema di salario dignitoso. Di conseguenza risultiamo poco attrattivi perché un ragazzo che dovesse decidere di venire a lavorare con stipendi di 1.300 euro non riesce ad immaginarsi una vita autonoma. Ma parlare di marginalità, di guadagni, nel mondo no profit è una bestemmia. Ci si dimentica che quei guadagni, poi, sono reinvestiti in servizi per la comunità».
Casagranda: «E poi ci troviamo ad affrontare questi problemi con le persone che ci vengono a chiedere un pasto. Perché oggi i nuovi poveri sono i lavoratori poveri».
Gennai: «Rispetto al tema della marginalità, noi abbiamo la necessità di avere un patrimonio solido perché quando bussiamo alle porte delle banche nessuno ci fa sconti. E rimanendo in tema, negli ultimi cinque mesi, su tre diverse Comunità di valle, sono andate deserte tre gare nel campo dell’assistenza domiciliare, proprio perché le risorse stanziate non erano sufficienti. Rispetto al tema delle risorse umane, c’è anche il tema della migrazione: molte persone lasciano la cooperazione per andare a lavorare nel pubblico, che dà maggiori garanzie. Un’altra questione è che in molti settori siamo in deroga rispetto ai requisiti professionali richiesti perché non troviamo più risorse umane».

Domani presenterete un documento programmatico sul futuro del welfare. Quali sono le priorità che avete indicato alla politica?
Gennai: «Una delle questioni è quella di ripristinare un quadro delle politiche attive del lavoro incentrate sull’occupabilità. C’è un mercato del lavoro che ha fame e sta inserendo dentro di sé persone che hanno fragilità e quando escono di nuovo dal mercato di lavoro sono ancora più fragili. Bisogna prendersi il tempo per formare le persone. Per questo bisogna tornare a parlare di occupabilità e non solo di occupazione».
Komatz: «Un’altra questione riguarda le politiche giovanili. Servono politiche che siano davvero capaci di sostenere un orientamento alle scelte, incentrate su un ascolto autentico dei giovani. Il documento, comunque, non ha la finalità di presentare delle richieste puntuali alla politica, ma è una richiesta di dialogo continuo per ridare dignità al nostro lavoro».