Val di Non

domenica 13 Novembre, 2022

Gli ultimi artigiani della frusta: «Non c’è futuro per quest’arte dopo di noi»

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Il racconto di Rocco e Tulio Tamè, di Taio: «Una volta l'industria era fiorente, dava lavoro a centinaia di persone. Noi abbiamo resistito puntando sull'unicità dei nostri pezzi»
Frusta artigianale

«Non c’è un dopo di noi. Dopo quasi due secoli di storia artigianale, la produzione di manici attorcigliati per le fruste da sensali, conduttori di bestiame e gruppi folkloristici che ancora utilizzano quello schiocco inconfondibile per spettacoli e animazioni scomparirà. Speriamo solo che resista il piccolo museo della memoria, nato 4 anni fa per volere di un gruppo di amici».

C’è rassegnazione e orgoglio nelle parole di Rocco e Tullio Tamè, 88 e 77 anni. A Taio, piccola frazione di Predaia che si arrampica tra i meleti della trentina val di Non, i due fratelli sono gli ultimi depositari di un’arte nata prima del 1830 per combattere povertà ed emigrazione. «Quello delle fruste era un mercato fiorente – raccontano a LaPresse i Tamè -. Attorno al 1920 c’erano addirittura 21 aziende con oltre 380 dipendenti. I nostri manici attorcigliati a mano andavano ovunque: ai mediatori di Svizzera e Belgio, agli allevatori di Stati Uniti e Australia e alle compagnie folkloristiche di mezza Europa. Poi è arrivata la meccanizzazione che con la produzione industriale ha eroso i nostri sbocchi commerciali. Con la crisi della zootecnia è arrivato il colpo di grazia. Ma abbiamo resistito, puntando sull’unicità dei nostri pezzi: belli, flessibili e resistenti grazie al vapore che permette di lavorare e attorcigliare il legno a impatto zero. Una nicchia della nicchia. Non è stato abbastanza. C’è chi ha abbandonato e chi invece ha convertito l’attività esplorando nuovi mercati come quello dei bastoncini da montagna e ski roller».

Con il tempo e il progresso è scomparso anche il « mondo» che proteggeva il lavoro degli artigiani delle fruste: sindacati di categoria, consorzi di produttori e la cassa malati. «Tutto finito – dicono i fratelli Tamè -. Ma quelle esperienze non saranno dimenticate. Grazie all’associazione “Taio ieri” sono stati recuperati documenti, strumenti di lavoro, testimonianze, fotografie, verbali di riunioni sindacali e buste paga. Atti e volti che sono confluiti nel piccolo museo ricavato da un vecchio laboratorio dove si realizzavano manici e fruste. Stiamo cercando di promuoverlo, di creare interesse e curiosità. Qualcosa si sta muovendo. Quassù siamo testardi: questa arte finirà, non la nostra storia».