Festival dello sport
mercoledì 11 Ottobre, 2023
di Lorenzo Fabiano
«Io sono uno che è morto per alcuni minuti ed è poi rinato». Nel metterla giù così non potrebbe essere più chiaro Sonny Colbrelli, l’uomo dalle due vite; la prima in bicicletta fino a quel terribile 21 marzo del 2022 quando al Giro della Catalogna subito dopo aver tagliato il traguardo la sua luce si spense, la seconda dopo pochi minuti di buio totale quando grazie al tempestivo e provvidenziale intervento dei medici quella sua luce si riaccese. Venerdì alle 16.30 il ciclista bresciano sarà al Festival dello Sport a raccontare la sua storia davanti alla platea di Palazzo Geremia insieme a Daniele Andreini, responsabile del reparto Cardiologia Clinica e Cardiologia dello Sport all’Ospedale Galeazzi – Sant’Ambrogio di Milano; titolo dell’incontro, «Metterci il cuore», parole che dicono tutto, perché se c’è uno che di cuore ce ne ha messo tanto, anche troppo verrebbe da dire, questi è proprio Sonny Colbrelli.
Buongiorno Sonny, come va?
«Bene, grazie. Sono appena tornato dalla Croazia dove ho partecipato a una gran fondo di 300 km. Non li ho pedalati tutti, ma va bene uguale perché altrimenti qua va che la pancia continua a crescere e a lievitare…(ride, ndr)».
Lei torna al Festival di Trento dopo due anni: questa è la città dove lei ha indossato la maglia di campione d’Europa. Emozione?
«Parecchia. Sono molto legato a Trento, dove nel 2010 ho vinto da under 23 il Trofeo Alcide De Gasperi, una corsa dura e di prestigio: vincerla mi fece capire di avere i numeri per passare tra i professionisti. Ma il giorno in cui divenni campione d’Europa rimane indimenticabile: ho battuto un fuoriclasse come Remco Evenepoel, davanti a un sacco di tifosi che mi hanno sempre voluto un gran bene ed erano venuti lì per me. Li ho ripagati di tanto affetto, e quella vittoria è un ricordo davvero speciale».
Pochi giorni e da campione d’Europa ha vinto la Roubaix.
«Vincere la Roubaix è un sogno che si realizza. Da ragazzino non me ne perdevo mai una rimanendo incollato per ore davanti alla televisione. I miei idoli erano Tom Boonen e Fabian Cancellara, e mi chiedevo cosa provassero a vincere quella corsa e a sollevare quella pietra che è il trofeo. Poi l’ho provato anch’io ed è una gioia indescrivibile».
Lei aveva promesso di appendere in casa la bici infangata come l’aveva lasciata a fine corsa al velodromo di Roubaix: promessa mantenuta?
«La bici è in magazzino dalla casa produttrice. È ancora bella sporca, come dev’essere. Non ci hanno passato neanche uno straccetto e presto andrò a riprendermela. “Non fate scherzi eh!” gli ho detto (altra risata, ndr)».
In bicicletta ha raggiunto la sua piena maturazione di atleta a 31 anni; cosa le mancava prima?
«Solo un po’ di convinzione in più e fiducia nei miei mezzi. La forza fisica c’era, ho lavorato su quella mentale e questo mi ha permesso di arrivare dove sono arrivato».
Poi è arrivato quel terribile 21 marzo del 2022: dal punto di vista del morale, qual è stato il momento più duro?
«Detto che ogni volta che vedo una corsa penso a quel 21 marzo del 2022, il giorno più duro per me è stato al raduno con la squadra, il Team Bahrain, a dicembre di quello stesso anno. Ogni anno un corridore aspetta il giorno del raduno per conoscere i nuovi compagni, indossare la nuova divisa e provare la nuova bici. Ti sembra di tornare bambino e aprire i regali sotto l’albero di Natale, e invece quando mi ritrovai da solo in camera di tutta quella magia non c’era più nulla. Fu in quel preciso momento che mi resi conto che Sonny non correva più».
Oltre alla sua, vicino a lei ha trovato un’altra famiglia: la sua squadra.
«Sì, è così. Sono onorato e felice di essere ambassador e direttore sportivo del Team Bahrain. Sono grato alla squadra per avermi dato una nuova opportunità, perché non era affatto scontato. Vuol dire che nella vita, se se ti comporti bene, le cose alla fine tornano».
Parliamo di ciclismo; cosa dire davanti all’ennesima impresa di Tadej Pogacar sabato scorso al Lombardia?
«Lo potremmo definire “il nuovo Merckx”, basta vedere come vince, con chi vince e cosa vince. Vederlo scattare è puro godimento».
È peraltro in bella compagnia…
«Van Aert, Van der Poel, Evenepoel, ma pure Roglic e Vingegaard nei grandi giri, gente che vince il 60% delle corse che contano di più. Senza mancare di rispetto a nessuno, bisogna dire che questi sono di un altro pianeta. È un ciclismo d’altri tempi, bellissimo. Si corre allo sbaraglio, sempre a tutta sin dalla partenza. Una volta aspettavi davanti alla tv gli ultimi 25 km per vedere che sarebbe successo, ora non è più così e la gente si diverte a seguire le corse dall’inizio alla fine, perché i colpi di scena si susseguono. Campioni così fanno bene al ciclismo».
Al Lombardia l’Italia ha trovato un grande Andrea Bagioli, che ne pensa?
«Ho sempre puntato su di lui, un grande atleta che ha avuto due anni un po’ difficili ma che ora ha fatto vedere di che pasta è fatto. Con questo secondo posto, adesso tra i grandi c’è anche lui, perché a una corsa dura come il Lombardia non arrivi secondo per caso. Ci darà delle belle soddisfazioni».
Pippo Ganna può vincere la Roubaix secondo lei?
«Certo, il mio successore può essere lui, ha tutto per riuscirci. Ha bisogno di fare ancora esperienza, ma un po’ ne ha già fatta, nelle corse in Belgio, perché lì lo stile è diverso, devi stare davanti e tenere la posizione. Credo anche debba ridurre un poco il suo impegno in pista per dedicarsi di più alla strada. La pista richiede tanto allenamento e ti porta magari a tralasciare dei dettagli che su strada non vanno tralasciati».
“Metterci il cuore”: lei ce ne ha messo davvero tanto, tutto quello che ha. Pensando alla sua storia e a quello che ha passato, che messaggio si sente di dare?
«Io dico che bisogna volersi bene e aver cura del proprio corpo. Se hai una bronchite, un’infezione o qualsiasi altra cosa, devi capire perché sono arrivate per poi curarle bene senza fretta. Soprattutto ai giovani voglio dire di non arrendersi mai; se succedono cose come quelle che sono capitate a me, beh ragazzi…il bicchiere vedetelo mezzo pieno. È la vita l’unica cosa che conta».
L'INTERVISTA
di Anna Maria Eccli
Violoncellista, sposata con un principe africano, gira il mondo per lavoro. Nella città della Quercia ha deciso di comperare un rifugio dalla vita frenetica parigina. Proprio accanto alla residenza per cui i suoi avi si indebitarono