Calcio
venerdì 13 Ottobre, 2023
di Gabriele Stanga
Pallone d’oro 2005, si comincia da lì. «Ho passato molti anni a Barcellona, tutti bellissimi. Mi ricordo tutto», si commuove quasi a raccontarlo. Lui è Ronaldo De Assis Moreira, meglio noto al pubblico con il nome di Ronaldinho. Una folla mai vista ad accoglierlo ieri all’auditorium Santa Chiara per il Festival dello Sport di Trento. Mezz’ora prima dell’evento la coda cominciava già all’altezza della libreria Ancora. «La famiglia è la cosa più importante della mia vita-dice Dinho- quando sono con i miei familiari per me è il momento più felice. Non è facile quando sei troppo giovane perdere il papà, mio fratello ha fatto la parte del padre molto bene per tutta la vita e gli sono molto grato. Perdere la mamma da grande è stato più difficile, quando sei piccolo capisci meno». Il fratello, Roberto, venne anche in Italia per un provino col Torino ai tempi di Radice, poi si trasferì in Svizzera e in Francia. Fu proprio lui a portare Dinho in Europa. Prima però Il mondiale under 17: «È stata la mia prima grande vittoria, il Brasile non lo aveva mai vinto. Mi aprì la strada per il professionismo quando tornai al Gremio». Tempo 5 anni e si arriva alla vittoria del mondiale vero, nel 2002: «Sono passati velocemente, a 19 anni c’era già la coppa America. Ricorderò sempre la prima volta con la “selecao” segnai al debutto e fu una serata magica». La partita con l’Inghilterra fu un momento chiave di quella coppa del Mondo: gol, assist per Rivaldo ed espulsione. Sul gol gli inglesi sono ancora convinti che volesse crossare: «Era un tiro», assicura ridendo. La prima squadra europea fu il Paris Saint Germain: «Era un Psg diverso dallo squadrone di oggi, aveva però un grande progetto con altri calciatori forti. Sono stati due anni importanti che mi hanno fatto arrivare al mondiale. È stato bellissimo a distanza di anni vedere Messi, Mbappè e Neymar con quella maglia». Dopo Parigi, arriva il periodo più importante della carriera di Dinho, il Barca. All’epoca, il Barcellona non giocava la Champions e non vinceva nulla dal ‘99: «Era un club con una grande squadra, tutti i miei idoli ci avevano giocato, Romario, Ronaldo e Cruijff». La prima partita è col Siviglia, la famosa «noche del gazpacho». Si gioca a mezzanotte e bisogna tenere svegli gli spettatori. Ronaldinho segna un goal spettacolare, il resto è storia, fino alla vittoria in Champions, arrivata nel 2006, con finale a Parigi. Sembra quasi un film. «La crescita del barca non è stata merito mio ma di tutti gli altri giocatori e della gente. Rijkaard è il miglior che mi abbia allenato», umile come sempre. Ronnie ricorda il goal col Chelsea, un passo di samba, prima di tirare di punta all’incrocio dei pali: «Mi venne naturale fare quel movimento, non ci avevo mai pensato». Un altro momento iconico è la vittoria per tre a uno nel “clasico” del 2006. Il Barcellona vinse 3 a 1 e i tifosi del Real madrid si alzarono ad applaudire l’allora Pallone d’oro. Come si alza anche il pubblico del santa Chiara qualche maglietta, finisce sul palco per gli autografi. Si passa al Milan: «Tutti volevano giocare per il Milan, c’erano calciatori incredibili e Ancelotti era un grande allenatore. Sono rimasto due anni e mezzo, adesso sta tornando su buoni livelli». Il sorriso sulle labbra, Joga Bonito come filosofia di vita: «Sono così anche ora che è ho smesso di giocare». E qui il pubblico non si trattiene più, una cosa mai successa al Festival: palloni sul palco, tutti abbandonano i loro posti e cercano di salire sul palco, tanto che si è costretti a finire in anticipo. Sipario. Forse con un po’ di sicurezza in più, si poteva sperare in un finale diverso ma in fondo con Dinho le cose non vanno mai secondo i programmi.
montagna
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