la storia

sabato 4 Novembre, 2023

Sartori, un trentino al Manchester United: «George Best voleva che gli insegnassi a ballare»

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Fu il primo italiano e il primo calciatore straniero a giocare nel club inglese: «Sogno di tornare tra le Dolomiti, il paradiso»

«Era malato da tempo, il grande Bobby. Non c’era agli ultimi pranzi sociali degli ex calciatori del Manchester United, né alle partite di golf che il club organizzava per noi, “old glories” dei Red Devils. Quando ci vedevamo, ricordavamo gli anni passati indossando la maglia di una delle squadre più conosciute al mondo. Nel maggio del 2016 ci siamo ritrovati a Collyhurst, il mio quartiere ma anche luogo natale di Nobby Stiles, roccioso difensore, campione del mondo con l’Inghilterra nel 1966, al fianco di Bobby Charlton. Quel giorno una strada del quartiere fu intitolata proprio a lui. Nobby non c’era, era già malato, sarebbe morto quattro anni dopo. Lo scorso 21 ottobre se ne è andato anche Bobby, la bandiera dello United».
C’è un velo di malinconia nelle parole di Carlo Sartori, oggi un gentile signore di 75 anni, mezzo secolo fa protagonista di una straordinaria avventura calcistica. Per dieci anni – cinque nelle giovanili, cinque in prima squadra – Carlo Sartori, nato a Caderzone, figlio della val Rendena che porta sempre nel cuore, ha giocato nel Manchester United, al fianco di Charlton (considerato tra i dieci calciatori più grandi di ogni tempo) e di altri campioni, su tutti George Best.
«Best non ha retto alla fama»
Ancora oggi, non ha dubbi: «Messi? Pelé? No, io resto della mia idea: come Best non c’è mai stato nessuno. Le cose che gli ho visto fare con un pallone trai piedi non sembravano possibili. Certo, sappiamo come è finito, come si è perso. Ma anche su questo ho una idea precisa, perché sono stato testimone diretto di quello che gli accadeva. George è stato la prima superstar del calcio. E non ha retto. Tutto qui. La pressione dei tifosi, della stampa, del gossip, il vorticoso giro di amiche e amici che gli stava attorno. Ha ceduto. L’alcol, di cui tanto si parla, nella sua vita è arrivato dopo. Fin quando abbiamo giocato assieme, non ricordo una volta, una che fosse una, di averlo visto con un bicchiere di whiskey in mano. Coca Cola beveva, Best, negli anni in cui nessun terzino al mondo poteva pensare di fermare i suoi dribbling. Una volta andammo a ballare, lui mi sussurrò all’orecchio: vorrei saper ballare come te, Carlo. Risposi: e io vorrei saper giocare a calcio come te, George».
Il papà moleta e l’Inghilterra
Casacca leggendaria e carriera unica, quella di Sartori. Il primo italiano a giocare con lo United. Approdo di un destino familiare che è lo specchio di come sia cambiata la sua verde valle. Quando Carlo viene al mondo, il 10 febbraio 1948, si era poveri, e in cerca di un destino migliore, si va per il mondo. A fare quello per il quale la Rendena è conosciuta: i moleta, gli arrotini. Così anche per il papà e la mamma di Carlo, Giovanni e Pia. Ha dieci mesi quando la famiglia intera si trasferisce in Inghilterra. Parla inglese a scuola e nelle strade, dove dà calci al pallone e parla il dialetto rendenero a casa. «Sono ricordi struggenti e bellissimi – dice – che porto dentro me con orgoglio. Sono stato fortunato. L’ultimo giorno di scuola il direttore mi chiama e mi informa che un dirigente del Manchester United sarebbe andato a casa mia per parlare con i miei genitori. Quando sono arrivato stava bevendo un tè con la mamma. Mi hanno preso nelle giovanili. Sono andato allo stadio in autobus e al campo chi incontro? Denis Law, lo scozzese, il mio idolo. A 15 anni inizio la mia avventura con i diavoli rossi».
Il debutto in prima squadra
«Abitavamo nel distretto di Collyhurts – ricorda -, mio padre aveva aperto la Sartori Sharpening Services, fornivamo gli alberghi più importanti di coltelli e forbici sempre affilati al meglio. Nel 1965 divento professionista. L’allenatore era il mitico Matt Busby, in squadra c’era Charlton. Otto anni prima era scampato alla morte quando l’aereo con tutta la squadra era precipitato a Monaco di Baviera. Però né Bobby né Matt parlavano mai di quel tragico 6 febbraio 1958, quando 28 dei 44 passeggeri persero la vita».
Carlo un po’ alla volta conquista spazio nei Red Devils. Chissà, forse anche l’aver dei capelli rossicci aiuta a stare nel Diavoli Rossi. «Ero un centrocampista, faticatore, al fianco di uno con i piedi buoni quale Charlton ho acquisito anche tecnica. ll 9 ottobre 1968 l’esordio nel massimo campionato, che ancora non si chiamava Premier League. 2 a 2 sul campo del Tottenham, non me lo scorderò mai».
Il ritorno in Italia
È un 1968 da incorniciare, per il giovane Sartori. Il 27 novembre gioca in Coppa Campioni, a Bruxelles, contro l’Anderlecht. E segna, un gol importante per il passaggio del turno. Con i rossi di Manchester il rosso Sartori rimarrà fino al 1973. 56 partite in tutto, sei gol. Tornerà in Italia e giocherà col Bologna di Bulgarelli, poi Spal, Benevento, Lecce, Rimini e, per chiudere, la «sua» Trento. Vincerà, in Congo, il Mondiale delle nazionali militari in squadra con Furino e Graziani.
L’azienda di famiglia e il Trentino
Confessa: «Avrei voluto allenare ma il destino ha deciso altrimenti: mio fratello è morto e sono tornato a Manchester, nell’azienda di famiglia fino alla pensione, qui ho i miei figli, Romina e Giancarlo, l’adorata nipotina e tanti amici. Ma un giorno tornerò all’ombra delle Dolomiti, il paradiso».