L'intervento
venerdì 24 Novembre, 2023
«Scrivimi quando arrivi a casa»: psicologi e assistenti sociali insieme contro la violenza di genere
di Angela Rosignoli* e Roberta Bonmassar**
I due ordini professionali all'unisono contro la normalizzazione della violenza. «Nel mondo, circa un terzo delle donne dichiara di essere stata vittima di violenza fisica o sessuale e anche in Trentino la situazione non è diversa»

Un paio di anni fa un caso di femminicidio nel Regno Unito suscitò una grande reazione emotiva non solo perché il colpevole si rivelò essere un insospettabile poliziotto di Scotland Yard, ma perché la solidarietà femminile sfociò in una denuncia collettiva a suon di «# scrivimi quando arrivi a casa» rivelando la spiazzante normalità di mancanza di sicurezza in cui versano le donne, ogni donna. Perché tu che stai leggendo non te lo sei mai sentito dire? O non lo hai mai chiesto a una moglie, compagna, figlia, sorella …? Le statistiche dipingono un quadro molto serio. Nel mondo, circa un terzo delle donne dichiara di essere stata vittima di violenza fisica o sessuale e anche in Trentino la situazione non è diversa. I dati che abbiamo a disposizione ci dicono che nel 2021 (dati presentati nel 2022) le denunce connesse a episodi di violenza contro le donne sono state 479 e se teniamo presente che l’analisi delle denunce non coincide mai con l’analisi del fenomeno della violenza contro le donne, possiamo tristemente affermare che i numeri reali rimangono ancora sommersi.
In questi giorni sentiamo parlare molto di femminicidio e il 25 novembre che è la giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne (e tutti gli altri giorni) come assistenti sociali e psicologi avvertiamo più che mai il bisogno di fermarci a riflettere su questo termine, perché se le parole formano i pensieri e ai pensieri seguono le azioni, nessuna e nessuno di noi è di fatto escluso dalle responsabilità che nascono quando usiamo questa parola.
E allora, quando parliamo di femminicidio sappiamo di cosa stiamo parlando? La definizione da dizionario riferisce di un particolare tipo di omicidio, l’omicidio di donne in quanto donne e a opera di uomini.
Ma non è solo questo. Dobbiamo rendercene conto.
Quando parliamo di femminicidio, infatti, NON PARLIAMO DI FATTI ISOLATI, ma di un FENOMENO SOCIALE. Si legge da più parti che gli omicidi in Italia diminuiscono, ma quelli sulle donne rimangono stabili. Questo ci dice che il femminicidio ha a che fare con la violazione dei diritti umani e si tratta di un problema sociale e di salute pubblica perché le sue conseguenze per la famiglia e la comunità possono essere enormi.
E ancora, quando parliamo di femminicidio, NON PARLIAMO DI UN ATTO ISOLATO, ma spesso dell’ATTO FINALE di una serie di comportamenti che la donna subisce che hanno a che vedere con la violenza fisica, quella psicologica, sessuale ed economica.
Parliamo allora anche di FATTORI CULTURALI che possono causarli e/o sostenerli questi comportamenti. La cultura, del resto, è un parametro molto influente che modella il comportamento individuale, compreso quello violento e influenza la socializzazione di ragazzi e ragazze, così come la loro comprensione di cose diverse come i ruoli di genere, la violenza, la famiglia, eccetera.
Infine il femminicidio mostra anche quanto una cultura patriarcale – che seppure stia evolvendo sotto la spinta di cambiamenti sociali, culturali ed economici che pongono al centro un modo nuovo di intendere i diritti delle donne – è profondamente radicato nel FUNZIONAMENTO PSICOLOGICO delle persone. La maggiore autonomia e i successi professionali delle donne hanno fragilizzato la rappresentazione di Sè dell’uomo. Per questo molte separazioni vengono ancora vissute come intollerabili ferite narcisistiche che si condensano in azioni violente dal significato implicito “tu non puoi essere libera, meglio la morte”!
Contrastare femminicidio convoca noi operatrici e operatori sociosanitari ad un impegno serio e continuativo nella promozione dell’uguaglianza di genere, del diritto alla vita, di leggi e politiche che proteggano le donne, dell’educazione sulla prevenzione della violenza e nell’offerta di sostegno e risorse per le vittime. La guardia non va abbassata, perché va detto: quando una donna muore non si può più fare niente per lei.
E allora abbiamo il dovere di intervenire prima. E come? Avviando una seria riflessione, ognuno a modo proprio, sul fatto che la violenza contro le donne è un fatto sociale ed un funzionamento psicologico e relazionale che prende forma dal modo in cui ne parliamo fra di noi e lo definiamo. Una riflessione ampia che coinvolga tutti operatori, istituzioni, politici e ogni singolo cittadino. La violenza può assumere molte forme, ma quante volte abbiamo preso posizione di fronte a sopraffazioni, battute sessiste, comportamenti inappropriati? Impariamo a riconoscere i segni della violenza che sono solo le botte, ma anche la paura, la diffidenza e la solitudine impegniamoci a non voltarci dall’altra parte perché la violenza di genere non sia più solo un problema privato ma un “affare di tutti.”
*Angela Rosignoli, presidente Ordine Regionale Assistenti Sociali del Trentino Alto Adige
**Roberta Bommassar, presidente Ordine Provinciale Psicologi del Trentino