La storia

domenica 26 Novembre, 2023

Il «Babas» e i suoi 25 anni di mercatino: «Dai frati ‘mbriaghi al brulè. In un giorno anche 250 litri»

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Da un quarto di secolo Dario Simonazzi mesce vin cotto nella sua casetta durante le festività natalizie. «Siamo partiti in 3, adesso siamo in 14»

In principio erano “I frati ‘mbriaghi”, ovvero fette di pane passate in padella col burro e annaffiate dal vino. Fette per frati ubriachi perché, nelle valli, si diceva che i frati non pativano mai la fame. Oppure, di uno che non aveva problemi economici: “El sta bèn come ‘n prèt sota l’Austria”, perchè ai preti, durante la dominazione austriaca (1815-1919), era garantita la congrua. Dai “frati ‘mbriaghi” (“che oggi i clienti non chiedono più o soltanto di rado”) Dario Simonazzi (1960), in arte culinaria-gastronomica detto “Babas”, è passato al “vin brulé”. Bevanda principe dei mercatini di Natale, di quello di Trento in particolare. Racconta il “Babas”: «Venticinque anni fa, quando ho cominciato qui in piazza Fiera, a proporre il “vin brulé” eravamo in tre. Oggi, tra qui e piazza Mostra, siamo in 14».
Il vin cotto, (“brulé” alla francese) scorre a fiumi. Non è solo per via del “mercatino di Natale” o della temperatura che richiede una bevanda calda. È il corollario di una festa, il “carburante” del viaggio, magari da fuori regione; l’occasione di portarsi a casa un ricordo e una tazza di ceramica. Come quella del vino che brucia perché il segreto (che tale non è) per dare “corpo e anima al brulé” è di dar fuoco all’alcool che sta evaporando quando il vino, in padella, arriva all’ebollizione. Lo zucchero, la cannella, i chiodi di garofano e qualche altro ingrediente “segreto” sono indispensabili per ottenere un buon vin cotto. Certo, molto dipende dalla materia prima: il vino. Dario Simonazzi si serve della cantina di un piccolo produttore dalle parti dei Sorni, a Sornello di Lavis. Un uvaggio di Teroldego, Lagrein e Schiava che non arriva alla bottiglia ma finisce nelle tazze, le “tozzole” di ceramica.

Piazza Fiera-Avventori del Mercatino di Natale @ Foto di F. Nardelli – Walden Photo Studio 

«Ho cominciato in piazza Battisti che non erano ancora chiamati “mercatini di Natale” ma era una manifestazione di “Trento iniziative”. Avevo una bancarella con prodotti di marzapane, succo di mela e strudel. In piazza fiera sono arrivato due anni dopo e ho cominciato a proporre i “frati ‘mbriaghi” e le zuppe di una volta. Il tutto accompagnato dal vin brulé».
A proposito di “una volta”, suo papà, Luigi, nato nel 1924 in un maso, al Pont, sul fondovalle dell’Avisio, fu adottato da una famiglia di Carbonare di Capriana; la mamma, Annarosa, calabrese, divenne sposa “per corrispondenza”. «La mamma è morta a 93 anni, quatto anni fa. Il papà è morto di silicosi a 56 anni, nel 1980».
Com’è finito a sposare una donna calabrese? «Mio papà lavorava come minatore in Val Sarentino. Con lui c’erano numerosi operai e minatori arrivati dalla Calabria. Un giorno domandò loro: c’è una brava ragazza, dalle vostre parti, che vuol venire a vivere in Trentino. E così ha trovato moglie. Era il 1956».
Per molti anni, il “Babas” è sceso a Trento dalla natia Capriana, villaggio dell’alta Val di Cembra che, per ragioni storiche, fa parte di Fiemme, portandosi le “tozzole” con la scritta “Frati ‘mbriaghi” e “Babas brulé”. Quest’anno, l’azienda di promozione turistica di Trento ha imposto a tutti un’unica tazza con la scritta: “Il Mercatino di Natale di Trento”. Un brand.
«Sono contento di questa scelta – dice il “Babas” – perché siamo diventati importanti, non solo a livello nazionale. È giusto che ci sia un marchio comune a tutti». Sulle frotte che affollano i dintorni della sua casetta di legno, sotto le mura cittadine restaurate da poco, Dario Simonazzi tergiversa, cambia discorso, sprizza soddisfazione ma non fornisce cifre. Racconta solo che qualche anno fa, in un solo giorno sono state versate milleduecento tazze che fanno la bellezza di quasi due ettolitri e mezzo di vino.
La storia personale del “Babas” è la storia di molti commercianti girovaghi delle valli che si sono fatti da sé. «Da aprile a settembre faccio l’ambulante con i gelati. In autunno passo alla vendita delle caldarroste. Vado alle manifestazioni, alle sagre di paese. Mi chiamano un po’ un po’ là. Sono stato a Terzolas alla festa della castagna; a Predazzo per la festa di S. Martino (11 novembre). Poi mi chiamano anche nelle case di riposo per allietare gli anziani ospiti».
In ogni occasione sfodera il suo buonumore e il sorriso contagioso. A proposito, perché lo chiamano “Babas”? «Perché sono come quelle donne che alla fontana “babavano”, continuavano a chiacchierare. Sono così anch’io. Mi piace parlare con le persone, non ho difficoltà a tenere in piedi un argomento». Non si contano i personaggi passati dal “Bàbas” per un brulé. «Un anno è venuto l’attore Fabio Testi a dar fuoco al vino; poi la Nazionale di basket americana; la sorella di Belén Rodriguez, la fidanzata di Ignazio Moser, tanto per citare».
Quando il vino bolle, il “Babas” batte su un recipiente per attirare l’attenzione. Poi dà fuoco all’alcol che sale dal pentolone di rame, quasi una distillazione “en plein air”, all’aria aperta.
In piazza Fiera a Trento ci sono altre pentole sul fuoco: Georg Lochman, un cuoco di Anterivo, provvede a cucinare cervo, salsicce e funghi porcini, mentre nel paiolo di rame la polenta è quasi pronta. Sono le altre “specialità della casetta” del “Babas”. A Carbonare di Capriana, dove è nato, Dario Simonazzi ha la sua attività. Lo aiutano le figlie Stefania (31 anni) e Lara (26) le quali, oltre a provvedere al vin brulé, su nella valle portano avanti un laboratorio di cioccolata mentre a Cavalese, d’estate, tengono aperta una piccola gelateria. L’estate è lontana e, intanto, si mesce vin brulé. In attesa di Natale, perché a questo vorrebbero portare i mercatini sulle piazze di Trento.