l'opinione
venerdì 15 Dicembre, 2023
di Adele Oriana Orlando
La stagione è iniziata «con il botto» sulle montagne trentine, prese d’assalto dai turisti durante il lungo weekend dell’Immacolata. Non solo turisti cittadini, quindi, che hanno superato in quantità numerica ogni aspettativa, anche quelli che hanno scelto le valli, la natura e gli sport invernali sono stati tantissimi. A commentare quanto avvenuto nei giorni passati è Marco Albino Ferrari, scrittore, sceneggiatore, divulgatore e giornalista, oltre che specializzato in cultura della montagna. Ferrari quest’estate, a seguito di una polemica diventata poi caso nazionale sulle croci in vetta, ha rassegnato le dimissioni da direttore editoriale del Club Alpino Italiano. Le dichiarazioni che lo avevano visto al centro dell’occhio del ciclone erano emerse durante la presentazione di un libro in un momento in cui è stato affrontato l’argomento relativo alle «Croci di vetta». Per Ferrari la sua riflessione era stata «distorta» e usata in maniera differente rispetto alla loro vera intenzione.
Da esperto della cultura di montagna, oltre che autore del libro: «Assalto alle Alpi» edito da Einaudi, Ferrari vede la questione turistica attuale, non solo il fenomeno dell’ultimo ponte dell’Immacolata, satura e che necessità di una riprogettazione. «Arrivati a questo punto – spiega Ferrari – bisognerà rivedere anche i piani di comunicazione, perché il Trentino investe molti soldi sulla comunicazione e far arrivare ancora più turisti, non so quanto li renda contenti, ne va a decremento dell’offerta. Quindi quando non si riesce a trovare un parcheggio, quando si fa la coda ovunque, penso che non ci sia da essere così contenti, perché il territorio viene messo a soqquadro. Poi, sono tutti sono tutti educati e non lasciano impronta del loro passaggio, se non nell’atmosfera, però il servizio che viene dato naturalmente ne risente fortemente. Dalla prospettiva della macchina del turismo, direi che se l’offerta vuole rimanere alta, devono diminuire la comunicazione». Non c’è, però, solo la questione legata alla promozione per Ferrari, ma anche l’idea di overtourism che, afferma: «Crea dei forti danni alla comunità. Se facciamo un passo indietro nella storia, le valli alpine degli anni Sessanta-Settanta che hanno beneficiato del turismo, si sono salvate dallo spopolamento. All’epoca il turismo è stato una manna. Oggi, invece, l’overtourism crea spopolamento. La grande pressione turistica crea spopolamento, perché i prezzi diventano sempre più cari, aumentano gli affitti che quindi non sono più abbordabili dalla classe lavoratrice. Chi possiede un appartamento, lo vende, perché i mercati sono altissimi e così si smembrano intere comunità. Il turismo, se supera una certa soglia, diventa dannoso». Il rischio concreto per questo esperto è che i territori rischino di trasformarsi completamente, anche verso il residente, che la montagna la vive tutto l’anno, anche quando non arriva una macchina da fuori provincia per settimane. «Quando gli autoctoni sono costretti a usufruire dei servizi dei turisti, l’equilibrio si è rotto – osserva Ferrari – Questo in Trentino sta avvenendo in val di Fassa e in altri luoghi di grande concentrazione». E se l’eccessivo carico su un territorio può essere dannoso, la domanda è la stessa che molti altri territori, con attrattive anche molto diverse, si sono posti negli anni è: sarebbe utile intraprendere la strada della destagionalizzazione? «A Venezia la destagionalizzazione ha portato a un affollamento 365 giorni all’anno – ricorda Ferrari – non ha spalmato il turismo nel corso delle stagioni, le ha riempite tutte. In montagna la destagionalizzazione è meno facile da fare. L’idea è però quella di non affollare determinati periodi e non raggiungere la concentrazione massima dell’affluenza. Poi, soprattutto, spalmarla e non creare delle affluenze solo nei luoghi deputati al grande turismo, ma pensare a delle accoglienze piccole e diffuse. Invece si tende sempre di più a concentrare il massimo degli arrivi in alcuni luoghi della grande macchina del turismo. La montagna non si deve consegnare alla monocoltura del turismo». Sulla scorta di questo ultimo ragionamento, Ferrari suggerisce un’apertura nuova: quella di investire su altre risorse su cui vivere. «Possiamo pensare di riattivare la filiera del legno e altre industrie leggere, tecnologiche, si può socializzare e localizzare certe produzioni. Oggi la montagna può prestarsi per una sorta di delocalizzazione di prossimità per certe attività che si fanno in città o di tipo professionale. La montagna deve essere popolata ma non ci si deve consegnare alla monocoltura del turismo, perché quello è un danno alle comunità».
L'INTERVISTA
di Gabriele Stanga
Il professore emerito del dipartimento di Sociologia commenta i dati Ocse: «La cultura scolastica è sconnessa dalla realtà economica, sociale e culturale. Non si crea l’abitudine a leggere e informarsi»