L'intervista
mercoledì 27 Dicembre, 2023
di Benedetta Centin
Le lancette della memoria vanno all’indietro di 14 anni, a quella maledetta sera del 26 dicembre 2009, ma il ricordo dei quattro volontari del Soccorso Alpino della Val di Fassa che morirono, travolti da una valanga in Val Lasties, dove si erano portati in piena notte, alla ricerca di due friulani dispersi, non è affatto sbiadito. I nomi, i volti, la dedizione di quei quattro «eroi e angeli della montagna» — così come erano stati battezzati allora — sono scolpiti nella memoria di tutti. E non solo dei trentini. Lo prova anche il fatto che in tantissimi ieri, giorno del triste anniversario, hanno ricordato Alex Dantone, Erwin Riz, Diego Perathoner e Luca Prinoth con un post social, a partire dal Soccorso alpino nazionale: «Ricordare evoca sempre dolore, ma rimane per noi un dovere» il messaggio con la foto delle vittime.
«Ci fa molto piacere che siano stati in diversi a rivolgere loro un pensiero» commenta il figlio di uno dei quattro, Igor Dantone, 30 anni, che ha raccolto il testimone di papà Alessandro. A distanza di tempo sceglie di raccontare a cuore aperto. «Ma — è la premessa — non solo mio padre, tutta la squadra, tutti loro».
Igor, aveva 16 anni quando ha perso suo padre. Diventato maggiorenne, è entrato nel Soccorso alpino per seguire i suoi passi?
«Sì, ho chiesto di farvi parte due anni dopo, compiuti i 18 anni. L’anno dopo la tragedia e quello successivo le richieste di diventare volontario erano aumentate, sulla spinta di quello che era successo. Ma io lo avrei fatto comunque, a prescindere da quanto accaduto: i miei genitori mi hanno cresciuto con determinati valori, insegnandomi cos’è l’altruismo, a donare il mio tempo al prossimo. È vero, potevo prestare servizio altrove, per esempio in casa di riposo, ma ho scelto qualcosa più vicino al mio animo, quindi la montagna».
Anche lei come papà opera nella stazione dell’Alta Val di Fassa..
«Sì e dal 2021 sono vice capo stazione».
Ci sono anche altri parenti delle vittime che hanno fatto la sua scelta?
«Non sono l’unico: ad operare nella stessa stazione ci sono anche il fratello di Luca Prinoth e quello di Erwin Riz. E questo ci lega ancora di più».
Lei conosceva anche gli altri tre soccorritori che quella sera erano intervenuti con suo papà?
«Sì, Luca ed Erwin in particolare erano stati anche miei istruttori di arrampicata. Erano molto conosciuti, anche tra noi adolescenti: si prodigavano per insegnarci ad arrampicare, per raggiungere dei buoni risultati anche per partecipare a delle gare. Loro erano le anime dell’associazione “Fassa Climbing”, un punto di riferimento per noi ragazzi della valle.
Diego Perathoner invece?
«Lui era il promotore di eventi importanti, bravo ad organizzare: basti dire che ha ideato e realizzato due tra le gare più conosciute e cioè la Sellaronda Ski Marathon e la Dolomites Skyrace. Per tutti loro non c’era solo il Soccorso alpino: lui, come Luca ed Erwin, erano persone che lavorano anche per la comunità, per il sociale, che si sono messe a disposizione, lasciando il segno. Persone che hanno trasmesso la loro passione per la montagna ad altri, ai giovani soprattutto».
Ci racconti di suo padre Alessandro…
«Papà era una guida e lavorava per il servizio Strade della Provincia autonoma, addetto alla pulizia e allo sgombero dei passi dolomitici dalla neve. Era una persona generosa, altruista. Aveva iniziato a 18 anni come volontario della Croce Bianca, quindi aveva prestato servizio per dieci anni nei vigili del fuoco, poi si era avvicinato alla montagna e da 13 anni era operativo nel Soccorso alpino. Per lui era un valore aggiunto poter aiutare gli altri. E ci teneva al corpo. Lo ha dimostrato anche quell’ultima sera di Santo Stefano del 2009: era in ritardo e, partito da Canazei, aveva raggiunto con la sua auto il passo e da lì aveva proseguito con il resto della squadra».
Una squadra di esperti..
«Certo non degli sprovveduti: erano tecnici del soccorso preparati, professionisti competenti, con specifiche qualifiche che implicano un’alta esperienza. Si registravano oltre 160-170 interventi all’anno e loro erano tra i più attivi della stazione, tra coloro che più vi si dedicavano. Quella sera in val Lasties avevano fatto tutte le loro valutazioni e cercato come sempre di evitare i rischi che purtroppo ci sono sempre».
Ma la montagna li ha traditi..
«La montagna non ha colpe né sentimenti. Ripeto: avevano fatto le loro valutazioni. Io e la mia famiglia siamo molto religiosi, credenti: se quello è il tuo momento così è, non si può fare molto».
Nessun rancore quindi da parte sua?
«Non c’è rabbia contro nessuno, nemmeno verso chi ha chiamato quella sera per l’intervento: nessuna rabbia, no, nessuna colpa da imputare. Dio ci ha preso il nostro papà, ci ha portato via una persona molto cara, che a tutt’oggi ci manca moltissimo».
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