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sabato 30 Dicembre, 2023

Da Chico Forti a Lilli Gruber: cinque libri da leggere nel 2024

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Tra le migliaia di novità editoriali, quelle qui presentate riguardano autori e autrici del Trentino-Alto Adige o affrontano argomenti legati allo stesso territorio

Tra le migliaia di novità editoriali, quelle presentate in questa pagina sono accomunate dal fatto di riguardare autori e autrici del Trentino-Alto Adige o di affrontare argomenti legati allo stesso territorio. Ecco cinque consigli di letture per il 2024.

Chico Forti: «Sono io». È la mia vita tra il carcere e la verità sui fatti

Quelle che trovate in questa pagina sono cinque delle migliaia di novità editoriali annunciate per il 2024. Sono accomunate dal fatto di riguardare autori e autrici di casa nostra – il Trentino-Alto Adige/Südtirol – o di affrontare temi e argomenti legati al nostro territorio. Ci piace iniziare questo breve viaggio con quello che è il titolo probabilmente meno letterario, certamente il più legato alla cronaca ed altrettanto certamente dal forte impatto emotivo. Sì, perché Mondadori pubblicherà in febbraio «Chico Forti sono io». Un libro-testimonianza di 200 pagine scritto dal cittadino italiano nato a Trento nel 1959, ex campione di windsurf, produttore di cortometraggi, in carcere negli Usa dal 2000, condannato all’ergastolo per un omicidio a Miami e da anni sostenuto da un forte movimento innocentista che ha coinvolto anche molte personalità del mondo dello spettacolo: basti pensare ad Enrico Ruggeri che ha dedicato alla vicenda il brano «L’America (Canzone per Chico Forti)». Nel libro, si legge nella scheda di presentazione, Chico Forti racconta la fatica enorme di essere detenuto in un carcere di massima sicurezza statunitense, fatica moltiplicata per mille perché frutto di un frettoloso errore giudiziario. Forti ricostruisce anche la sua versione della vicenda che l’ha portato alla condanna all’ergastolo e ribadisce con forza e dignità le sue ragioni di innocenza, e che fanno di lui un caso internazionale. Ricordiamo che nel dicembre 2020, l’allora ministro degli affari esteri italiano Luigi Di Maio ha annunciato che il governatore della Florida aveva accolto con riserva l’istanza di Chico Forti di avvalersi dei benefici previsti, con la possibilità di essere trasferito e scontare la pena in Italia. Un annuncio che non ha avuto seguito alcuno.

Lilli Gruber: «Non farti fottere», il porno è dittatura o libertà del piacere?

È una delle voci più conosciute del giornalismo italiano: ex volto di punta del Tg1, poi parlamentare europea e infine tornata alla televisione nel 2008. La bolzanina Lilli Gruber (1957) ha al suo attivo molti titoli: da «Eredità» a «Basta!», da «Figlie dell’Islam» a «Tempesta», da «La guerra dentro» a «Chador». Rizzoli manda in libreria a fine febbraio il suo nuovo saggio: «Non farti fottere. Dittatura del porno o democrazia del piacere?». Da Youporn a Onlyfans, contro la deriva di un mercato pornografico che vale miliardi e che domina internet, la conduttrice di «Otto e mezzo» fa luce sulla necessità di una nuova alleanza per rimettere al centro la libertà delle donne (e degli uomini). La sua sarà un’inchiesta ricca di dati, interviste e riflessioni su un fenomeno in crescita esponenziale che ha deformato le nostre economie e le nostre democrazie, e che troppo spesso viene ignorato dal dibattito economico e politico. Un’attenta analisi in cui Lilli Gruber affronta non solo le conseguenze sui ragazzi e sulle ragazze, ma anche gli aspetti più politici connessi all’ascesa di una società pornografica di massa. Il risultato è un saggio esplosivo su un fenomeno che si ripercuote pericolosamente sulle nostre vite e che non riguarda, come alcuni pensano, soltanto gli attori o i lavoratori del porno. Qualche mese fa, riguardo alla diffusione del mercato porno in Italia, Lilli Gruber scriveva che «dobbiamo mobilitarci, dobbiamo pretendere dai politici una rivoluzione culturale per far uscire l’Italia dall’apatia di fronte a un fenomeno che minaccia il nostro tessuto sociale, già fortemente sfibrato. L’Unione Europea deve imporre ai fornitori di pornografia l’obbligo di far pagare i clienti. In parole povere, per vedere devi pagare. E una gran parte del problema dei minori sarà risolto».

Maddalena Fingerle: Nel «Pudore» di Gaia, la ricerca di una nuova e più vera identità

La bolzanina Maddalena Fingerle (1993) è una delle voci emergenti del panorama letterario. Nel 2021 con il suo romanzo d’esordio, «Lingua madre» (ItaloSvevo editore) ha vinto il Premio Italo Calvino. È del 2022 la monografia «Lascivia mascherata. Allegoria e travestimento in Torquato Tasso e Giovan Battista Marino» (DeGruyter). Una giovane autrice talentuosa, una scrittura potente ed estremamente riconoscibile. A febbraio Mondadori manda in libreria il suo nuovo romanzo, «Pudore» (160 pagine). La storia di Gaia che non ha più voglia di essere se stessa: si rasa i capelli a zero e indossa parrucche, svende i suoi orecchini più preziosi su ebay, si libera dell’armadio e compra un letto nuovo, che poi non è capace di montare. Vuole ricostruire se stessa e l’ambiente in cui vive a immagine e somiglianza di Veronica: la sua amata, meravigliosa Veronica, da cui è appena stata lasciata. Veronica non è solo la persona di cui Gaia si è innamorata, ma anche la donna che lei vorrebbe diventare, come accade nei primi, furiosi, narcisistici innamoramenti. La famiglia di origine di Gaia appartiene alla solida borghesia di italiani che vivono a Monaco e incarnano tutto ciò che lei rifiuta: la cultura umanistica come sprezzatura e ostentazione, il culto dell’apparenza, la tendenza a delegare i compiti operativi ai subalterni. Veronica al contrario è una donna vitale, concreta, estroversa e solare come la terra da cui viene, il Salento. Nel suo monologo ora arrabbiato e rivendicativo, ora masochistico, ora spaurito, ostaggio di una miriade di sublimi ossessioni, Gaia arriverà a conoscersi meglio e sarà pronta a correre davvero dei rischi per diventare l’individuo che vuole essere. Consapevole finalmente che per rinascere dalle proprie ceneri è inevitabile appiccare un incendio.

Piero Lotito: L’uomo «di freccia e di gelo». Biografia immaginaria di Ötzi

La biografia immaginaria del cacciatore Ötzi, la storia affascinante di un uomo morto cinquemila anni fa.
Questo è «Di freccia e di gelo», il romanzo di Piero Lotito in libreria da gennaio (Mondadori, 240 pagine). Da quando è stato ritrovato, nel 1991 – restituito in condizioni miracolose dai ghiacciai delle Alpi altoatesine –, l’uomo del Similaun, comunemente conosciuto come Ötzi, è divenuto una fonte inesauribile di informazioni su com’era la vita cinque millenni fa a pochi chilometri da noi. Ma un essere umano non è soltanto usi e abitudini. Gli è propria una sostanza immateriale più profonda, fatta di sogni, paure, desideri, rimpianti. In una parola, emozioni. Se oggi la mummia nella sua teca potesse parlarci di queste, esattamente come fa il suo corpo per i cibi ingeriti e le ferite subite, che cosa direbbe? È quanto immagina Piero Lotito, giornalista milanese, autore di romanzi e opere teatrali. Immagina che Ötzi sveli la sua storia a quei visi che gli si affollano davanti. Dagli anni della giovinezza con il padre Urd e la madre Mael alla sua formazione da cacciatore e, ancora, le sfide della natura, le insidie degli uomini, e poi il ritorno inaspettato di Ief, un amico di infanzia, e l’amore, improvviso e lacerante, per Alesh, una donna che non può avere, fino al tragico epilogo di una battuta di caccia e alla fuga dal villaggio. Maneggiando con sapienza gli attrezzi affilati della narrazione, Lotito combina una ricostruzione della società protocivile con il racconto degli elementi senza tempo di ogni esistenza umana: famiglia, rivalità, amicizia, vendetta e – sopra ogni cosa – l’amore. Facendoci rivivere, con intensità e senza stereotipi, un’avventura non poi così lontana da quella di tutti noi che millenni dopo calpestiamo, forse con meno rispetto, lo stesso pianeta.

Marco Niro: «Il predatore», una strage, l’orso e l’atavica caccia al mostro

«L’orso che non sapeva di chiamarsi Thor, perché gli orsi neppure sanno cosa sia un nome, avanzava ciondolando fra i boschi dove ormai si sentiva di casa. Vi era nato tre anni prima e non aveva mai trovato grandi motivi per allontanarsene, se non per qualche lunga sgroppata ogni tanto. Non era certo un orso vagabondo, lui». È l’incipit de «Il predatore» di Marco Niro, che arriva nelle librerie a fine gennaio, Bottega Errante edizioni, 322 pagine. Facile prevedere che farà discutere il primo romanzo «solitario» di uno dei fondatori del collettivo Tersite Rossi, con cui ha pubblicato quattro romanzi. Marco Niro si occupa di comunicazione ambientale, vive e lavora a Trento. «Il predatore» è un noir che indaga la difficile relazione fra l’uomo e gli animali selvatici, fra l’orso e i cittadini di una comunità, fra la sete di potere e la fragilità degli esseri umani. Una notte, sulla montagna che sovrasta il borgo di Cimalta, accade un fatto di sangue orribile. Una strage destinata a sconvolgere per sempre la vita in paese. Le pulsioni represse e le paure ataviche trovano di colpo libero sfogo ed è a quel punto che comincia la caccia al mostro. L’orso. Mentre i fucili sparano, s’intrecciano le vicende di quattro uomini, sulle cui esistenze gli artigli assassini hanno lasciato il segno più profondo: il potente sindaco che sogna lo scranno più alto della politica regionale; uno stimato cardiochirurgo che sogna di diventare primario; un commissario di provincia che sogna di diventare questore; un prete ribelle che sogna di ritrovare la fede.
Nella nota finale Niro cita Bachelard («Immaginare è alzare la realtà di un tono») ma è indubbio che è nelle Alpi, che è nel Trentino, che questo romanzo trova ispirazione.