L'editoriale

mercoledì 3 Gennaio, 2024

Il pandoro di Ferragni, le critiche lecite e la nostra ipocrisia dietro alla gogna

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Sicuramente, il modo in cui Ferragni ha «guadagnato» quel milione di euro è scorretto ed è giusto che paghi – sia in termini economici che reputazionali. Tuttavia, mi sembra che mandare la regina alla ghigliottina senza mettere in discussione la monarchia sia un atteggiamento ugualmente ipocrita

Nel 1843, Charles Dickens scrisse il Canto di Natale, una storia che probabilmente avete sentito almeno una volta nella vita. Il Canto narra dell’avido e avaro banchiere Scrooge che, la notte della Vigilia, riceve la visita di tre fantasmi: lo Spirito dei Natali Passati, quello del Natale Presente, e quello dei Natali Futuri. Attraverso un viaggio nel tempo, i tre fantasmi mettono Scrooge davanti alla sua triste solitudine, diretta conseguenza della sua cupidigia. Svegliatosi di soprassalto nel suo letto, Scrooge non sa se ha sognato o meno, ma di una cosa è certo: la sua vita fino a quel momento è stata tutta un errore. In men che non si dica, si redime e, distribuendo quattrini a destra e manca, riesce a guadagnarsi la stima e l’affetto di tutti coloro a cui aveva fatto torto. E vissero tutti felici e contenti. Mi è tornata in mente questa storia qualche giorno fa, quando ho intercettato su Instagram il video in cui Chiara Ferragni si impegna a donare un milione di euro all’ospedale Regina Margherita.

Per sanare quello che lei ha definito un «errore di comunicazione» ma che l’antitrust ha invece multato come pratica commerciale scorretta.
Chi conosce la storia di Dickens sa che Scrooge dava al suo contabile Cratchit una paga da miseria, così bassa da non permettergli di curare il figlio che finirà per morire – come gli rivela lo Spirito dei Natali Futuri. La prima cosa che Scrooge fa per redimersi è alzare il salario di Cratchit abbastanza da permettergli di curare il figlio ma non così tanto da farlo diventare ricco. In buona sostanza, Scrooge diventa un magnanimo benefattore pagando al suo collaboratore ciò che gli era semplicemente dovuto e, va notato, senza perdere un pelo del proprio privilegio.

In modo abbastanza simile, Ferragni dona all’ospedale Regina Margherita esattamente la cifra che l’antitrust le contesta di aver guadagnato dalla vendita dei panettoni Balocco aggiungendovi – ha dichiarato – tutto quello che riuscirà farsi decurtare se il ricorso che ha inoltrato andrà in porto. Un gioco non esattamente a somma zero (perché, verosimilmente, la multa dell’antitrust non sarà annullata) ma con il quale sta cercando di ricomprarsi (per ora senza riuscirci, sembrerebbe) quel consenso che ha perduto e senza il quale non può vivere.

Ferragni ha lavorato alacremente in questi anni per cancellare ogni confine tra sé stessa e il suo impero: lei è la sua stessa ricchezza – ce lo ha ripetuto tante volte. Ma quando una persona diventa un marchio, la pratica commerciale scorretta finisce per coincidere con un atto di slealtà. Se di sanzionare la prima si è occupata l’antitrust, autorità preposta a questo scopo, ci siamo intestati noi (non si sa in virtù di quale competenza) il diritto di punire la seconda levando in alto gli scudi dell’indignazione collettiva: Te l’avevo detto, è finta! Ma come ha potuto prendersi gioco di noi? Adesso è tardi per offrire tutti questi soldi! Non le crederemo mai più!

Sicuramente, il modo in cui Ferragni ha «guadagnato» quel milione di euro è scorretto ed è giusto che paghi – sia in termini economici che reputazionali. Tuttavia, mi sembra che mandare la regina alla ghigliottina senza mettere in discussione la monarchia sia un atteggiamento ugualmente ipocrita.
Non c’è traccia, in questa indignazione collettiva contro Ferragni, di una critica seria alle pratiche di commercializzazione estrema del quotidiano alle quali obbediamo ogni giorno. Non abbiamo avuto nessun problema a pensare che fosse giusto comprare (come credevamo di fare) dei macchinari per un ospedale dimenticandoci che la salute dei cittadini, grandi o piccoli che siano, non è affare di beneficenza ma, piuttosto, compito di qualunque Stato che voglia definirsi democratico. Non sembriamo avere nessun problema con i prezzi fantasmagorici dei prodotti pubblicizzati dagli influencer anche se l’Italia rimane uno dei pochissimi Stati in Europa senza un salario minimo. Più in generale, non sembriamo avere nessun problema con il fatto di dover pagare tre volte di più un pandoro, un quaderno, una maglietta o un qualsiasi oggetto per provare anche solo per un secondo la sensazione di appartenere a un empireo scintillante che, in realtà, non ci aprirà mai le porte.

Ci fa gola una ricchezza rosa e golosa come lo zucchero dei pandori griffati Ferragni, narrata come se fosse qualcosa di totalmente accessibile in uno spot senza fine che noi abbiamo scambiato per voglia di condividere giornate ed esperienze. Mangiamoci un’altra fetta di panettone e pensiamoci su.

*Professoressa associata di Sociologia generale all’Università di Trento