il caso

mercoledì 10 Gennaio, 2024

Le quattro vittime, le confessioni, il testimone oculare. Storia della strage di Erba e del processo che ha condannato Rosa e Olindo

di

La sera dell’11 dicembre 2006, 5 persone vengono accoltellate brutalmente in una casa di via Diaz, a Erba. Una persona si salvò e fu lui a indicare Rosa e Olindo come i responsabili

La storia della «Strage di Erba» inizia la sera dell’11 dicembre 2006. È un lunedì quando i vigli del fuoco intervengono per un incendio ad un appartamento della corte restaurata di via Diaz a Erba. Quando le fiamme si spengono però, e i pompieri entrano nell’appartamento dalla finestra, si trovano davanti ad uno scenario atroce: nelle varie stanze della casa, nel corridoio e anche sul pianerottolo ci sono dei corpi. Cinque in tutto, tre donne, un uomo e un bambino molto piccolo.
Sono stati tutti accoltellati più volte. L’uomo però è ancora vivo. La notizia inizia a rimbalzare sui media poco prima delle 22. L’Italia scopre l’orrore di quella che diventerà nota come la «Strage di Erba».

Le vittime e il superstite
Quei corpi massacrati con tanta ferocia sono quelli di: Raffaella Castagna (30 anni), suo figlio YOussef Marzouk (2 anni), la madre Paola Galli (57) e la vicina di casa Valeria Cherubini (55). Il sopravvissuto è Mario Frigeri, 65enne marito della Cherubini. L’assassino aveva provato a sgozzarlo, ma l’uomo si è salvato grazie ad una malformazione congenita che ha fatto sì che la carotide non venisse recisa. Sarà il testimone oculare del massacro di quella sera.

Il primo sospettato
Forse alimentati anche dai pregiudizi, i primi sospetti, dei giornali e dell’opinione pubblica, ricadono sul marito di Raffaella Castagna: il tunisino di 26 anni Azouz Marzouk. Il fatto che non si trovi non fa che rafforzare questi sospetti, l’uomo diventa l’indiziato numero uno descritto come «il killer in fuga». La sua posizione viene complicata anche da una storia personale fatta di piccoli precedenti penali, droga e carcere, con l’uomo che era tornato in libertà solo pochi mesi prima grazie all’indulto. A scagionare immediatamente il giovane però è il suocero Carlo Castagna. Pur distrutto per la perdita della moglie, della figlia e del nipotino l’uomo davanti alle telecamere scagiona Azouz spiegando che si trova in Tunisia per un viaggio programmato da tempo; non può essere stato lui.

La svolta nelle indagini
Passa quasi un mese prima che le indagini subiscano un’accelerata improvvisa. È l’8 gennaio 2007 quando Rosa Bazzi e Olindo Romano, che vivono nello stesso condominio della strage ma al piano terra proprio sotto l’appartamento di Raffaella e Azouz, vengono fermati e portati in carcere. La coppia da tempo aveva iniziato una faida con la giovane famiglia del piano di sopra, infastiditi dal troppo rumore e dal bambino che giocava a pallone nel cortile. Uno scontro talmente aspro che il 13 dicembre, due giorni dopo il massacro, era fissata la causa civile con Raffaella Castagna: la ragazza aveva denunciato i coniugi Romano per ingiurie e lesioni dopo una lite avvenuta la sera di Capodanno del 2005. Rosa e Olindo proclamano la loro innocenza e si difendono fornendo un alibi: la sera dei delitti sono stati a mangiare in un McDonald’s a Como. I due hanno anche conservato lo scontrino che presentano agli investigatori. Si tratta però di un alibi che non regge: al fast food sono stati due ore dopo la strage, un lasso di tempo compatibile con i delitti secondo chi indaga.

I sospetti
Sono 4 gli indizi che poco a poco hanno messo gli investigatori sulle tracce della coppia.  I due erano intercettati e in un mese non hanno mai commentato ciò che è accaduto pochi metri sopra le loro teste.  Anzi pochi giorni prima del loro fermo Rosa Bazzi, intercettata, pronuncia questa frase: «Adesso sì che possiamo dormire». Un altro elemento considerato anomalo è il fatto che Rosa la notte della strage ha fatto una lavatrice. Non sarebbe una cosa strana, non fosse che Rosa Bazzi non lo faceva mai, come riscontrato dagli investigatori guardando i tabulati della società elettrica nei precedenti tre anni. Metodica la donna non aveva mai una volta fatto un bucato dopo le 6 del pomeriggio.  Gli ultimi due indizi, schiaccianti secondo chi indaga, sono le tracce di sangue femminile su alcuni indumenti dei Romano e una macchiolina di sangue maschile sul tappetino della loro auto. È il sangue del signor Frigerio, il sopravvissuto che 10 giorni dopo la strage aveva riaperto gli occhi.

La confessione/Le confessioni
Due giorni dopo il fermo i coniugi cedono e confessano. È Olindo il primo a parlare e inizialmente prova a prendersi tutte le responsabilità. «Ho fatto tutto da solo», dice l’uomo che piano piano inizia a parlare «Ho sbagliato, lo so, devo pagare. Ecco, io vorrei solo vedere mia moglie ogni tanto». Durante le prime confessioni, ripetute sia agli inquirenti sia agli psicologi, i due sono molto crudi nel loro racconto. Rimangono nella memoria e nelle pagine dei giornali le parole di Rosa Bazzi: «Il bambino l’ho fatto io. La mamma l’ho fatta io e gliene ho date tantissime e idem anche a Raffaella», stava parlando delle coltellate con cui ha ucciso la famiglia. Il quadro che emerge dal lavoro degli investigatori è quello di una coppia simbiotica e isolata. Lei con un’infanzia difficile alle spalle e un lavoro come donna delle pulizie, lui addetto di una ditta per lo smaltimento dei rifiuti. Nessun figlio e, a quanto dicono i vicini e i conoscenti, nessun amico. Scarse anche le relazioni con i parenti, il mondo di Rosa e Olindo comincia e finisce con la coppia e la loro casa. Quell’appartamento la cui quiete, secondo i due, era stata spezzata dall’arrivo di questa giovane famiglia al piano di sopra. Il processo contro di loro inizia nel gennaio del 2008.

Cos’è successo la sera della strage
In base alle ammissioni fornite, la Procura ricostruisce gli eventi della sera dell’11 dicembre in questo modo. Verso le 19, Olindo e Rosa salgono le scale per raggiungere l’appartamento dei loro detestati vicini, portando con sé due coltelli di dimensioni diverse e una spranga di ferro. Raffaella, posizionata all’ingresso, è la prima a essere colpita, seguita da sua madre Paola e infine dal piccolo Youssef. I Romano hanno anche pianificato di cancellare le prove del loro crimine, decidendo di appiccare un incendio nell’appartamento. Utilizzano un combustibile liquido, ma si rendono conto che bruciare un corpo umano non è così semplice. Quindi danno fuoco al copriletto e ad altri angoli della casa, causando la diffusione di fumo nella corte. All’ultimo piano, Valeria Cherubini e suo marito Mario Frigerio sentono urla arrivare dall’appartamento di sotto, mentre stanno per portare il cane a fare una passeggiata. Decidono di andare a verificare se Raffaella ha bisogno di aiuto, ma purtroppo si scontrano con gli assassini. Valeria tenta di fuggire, ma secondo la ricostruzione della Procura, Rosa la insegue e la uccide poco prima che la donna raggiunga la sua abitazione.  Nel frattempo, Olindo si occupa di Mario, come raccontato dallo stesso Frigerio. Una volta completata la missione omicida, la coppia lascia la scena del crimine. Successivamente, durante la notte, Rosa e Olindo si uniscono al pubblico di curiosi che affolla la corte di via Diaz.

Il testimone oculare
Il processo è anche il momento di Mario Frigerio, il sopravvissuto alla strage. L’uomo non cammina più come una volta e la sua voce è ridotta ad un sibilo, ma ricorda, parla e indica in Olindo l’uomo che ha tentato di ucciderlo. «Lo ripeterò finché campo: è stato Olindo, mi fissava con occhi da assassino, non dimenticherò quello sguardo per tutta la vita, ho come una fotografia – dice Frigerio durante il processo – Olindo era una belva, mi schiacciava con il suo peso, era a cavalcioni su di me. Ha estratto il coltello mentre mia moglie invocava aiuto. Poi mi ha tagliato la gola, non ho sentito più nulla, solo il sangue che usciva e il fuoco che divampava. Ho pensato: se non muoio per la ferita, muoio tra le fiamme». Frigerio è morto nel 2014, otto anni dopo la strage.

La condanna
Olindo Romano e Rosa Bazzi, che dopo la prima confessione hanno ritrattato tutto, ancora oggi si dicono innocenti e il 9 gennaio 2023 hanno ottenuto il sì all’istanza di revisione del processo, vengono condannati all’ergastolo con isolamento diurno per tre anni. È il 26 novembre 2008.
La sentenza viene confermata anche in appello e in Cassazione.
Lui è detenuto nel carcere di Opera, lei sta in quello di Bollate. Entrambe le strutture sono in provincia di Milano. La coppia si vede tre volte al mese per due ore.