L'intervista

martedì 23 Gennaio, 2024

Edoardo Leo: «Ho lasciato il cinema, viaggio per i teatri per raccontare le nostre storie e quelle dei grandi della letteratura»

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L’attore romano torna al teatro e sarà in scena a Trento il 13 febbraio insieme al compositore Jonis Bascir con uno spettacolo in cui emergono «racconti miei e anche di grandi intellettuali e scrittori, come Marquez e Calvino»

L’attore romano Edoardo Leo si è preso un anno di pausa dal cinema per dedicarsi completamente all’attività delle sue origini: il teatro. Sarà in scena a Trento, all’Auditorium Santa Chiara, il 13 febbraio alle 21, con lo spettacolo «Ti racconto una storia».
Edoardo Leo, riguardo il titolo del suo spettacolo: perché sono importanti le storie? E perché lo è raccontarle?
«Perché con le storie, soprattutto quelle che racconto io, si fa un viaggio nelle vite della mia generazione e del nostro Paese. Dentro, poi, c’è la mia fascinazione per il racconto orale, per quella forma di improvvisazione che non solo chi lo fa di mestiere come me riesce a fare, ma che tutte le persone fanno quando in qualche modo sono costrette a parlare di sé. Io ho cercato di condensare in un’ora e mezza di spettacolo i meccanismi che mettiamo in campo inconsapevolmente quando ci troviamo a dover raccontare le storie della nostra vita».
Il sottotitolo, invece, è «letture semiserie e tragicomiche», come ce lo può spiegare?
«Nel raccontare storie utilizzo esempi non solo di gente comune e dei miei racconti, ma anche dei racconti di grandi intellettuali, scrittori, romanzieri. Ho sempre avuto una grande passione per quelli che hanno cercato di raccontare con la lente dell’umorismo e del grottesco delle storie anche drammatiche, in maniera dunque semiseria e tragicomica. Per questo parlo di Marquez, di Calvino… prendo come esempio e cito quelli che sono stati i miei eroi della parola».
Pensa che questo tipo di racconti piaccia alle persone perché è simile alla vita di tutti i giorni?
«Nei grandi romanzieri c’è sempre qualcosa, anche nel racconto di storie epiche, che ci riguarda direttamente. Quando in una lettura riusciamo a trovare dei frammenti e dei passaggi della nostra vita, è lì che la grande letteratura diventa qualcosa che ci attraversa profondamente. Per questo cerco di andare a pescare in quegli scrittori che in qualche modo, pur raccontando la storia di altri, hanno raccontato anche la nostra».
Ed è attraverso questi aspetti che lo spettacolo ha l’obiettivo di far ridere e allo stesso tempo riflettere?
«L’umorismo è la lente attraverso la quale un fatto può essere guardato sotto diversi punti di vista e attraverso la quale io cerco sempre di guardare dentro le storie. È questo il filo conduttore dei miei ormai trent’anni di carriera. Far ridere per me resta un’arma straordinaria per cercare di conoscere il mondo».
Lo spettacolo è una raccolta di suggestioni e pensieri dall’inizio della sua carriera a oggi, qual è il sentimento prevalente che emerge?
«Non so se c’è un sentimento unico, ci sono suggestioni di vario tipo e ormai, negli anni, le persone mi dicono di aver tratto ognuno qualcosa di diverso. Quello che interessa a me, soprattutto quest’anno, è riappropriarmi del mio mestiere di teatrante e commediante. Ho infatti scelto di fare un anno di teatro e fermarmi completamente con il cinema, perché volevo proprio ritornare agli inizi della mia carriera, tornare a fare una grande tournée. Quello che sto prendendo sono gli incontri con le persone, il guardare negli occhi gli spettatori a teatro e avere un contatto diretto con loro, non filtrato dallo schermo di un cinema».
E qual è il sentimento prevalente adesso, guardandosi indietro?
«Finora è stato un grande viaggio, ma io non amo molto guardarmi indietro, cerco di guardare avanti. Quel che mi viene da pensare è che questa storia scritta negli ultimi trent’anni è ancora una storia tutta da scrivere».
Come si inseriscono le improvvisazioni musicali di Jonis Bascir nello spettacolo?
«Lo spettacolo vive di improvvisazioni verbali. C’è una partitura certa, ma entro in scena con un librone e solo quando sono sul palco decido quali esempi fare e cosa citare, mi concedo il lusso di improvvisare, di pescare di volta in volta da un juke box letterario. È uno spettacolo abbastanza jazz da questo punto di vista. Ed esattamente come al cinema ho bisogno di una colonna sonora. Il musicista in scena con me, Jonis Bascir, improvvisa musicalmente sulle mie improvvisazioni e così lo spettacolo si colora, prende vita».
E qual è il valore aggiunto dell’improvvisazione, per lei e per il pubblico?
«Grazie all’improvvisazione ogni serata è diversa dalle altre, sostanzialmente è come se facessi ogni spettacolo per la prima volta, non mi stanco mai di farlo, mi diverto continuamente. E per il pubblico succede lo stesso: guarda qualcosa di diverso dalla sera prima. Ogni serata è un unicum che non si ripete mai, io e gli spettatori viviamo insieme una suggestione che accade solo ed esclusivamente in quel momento».