Il libro

giovedì 25 Gennaio, 2024

È arrivato l’«Alpecedario», memoria e storia delle terre alte del Trentino

di

Claudia Marini, fondatrice dell'Archivio Fotografico di Comunità di Peio, ha dato vita al volume: «Uno spaccato di vita alpina che assume un significato universale in cui chiunque
può riconoscersi»

Si comincia da «Alberi» e si arriva a «Zuppa» e da ciascuna parola, disposta come nei vecchi abbecedari in rigoroso ordine alfabetico, nascono brevi racconti legati al mondo della montagna. Sono lievi inserti su pagine gialle che sospendono il flusso delle immagini fotografiche raccolte in «Alpecedario. Memorie fotografiche di una comunità di montagna» (268 pagine, 35 €). Riduttivo considerarlo soltanto un libro: le sue caratteristiche grafiche ed editoriali lo presentano come un vero e proprio prodotto artistico. Ideato e curato da Claudia Marini e pubblicato da Postcart, casa editrice romana indipendente fondata dal fotografo Claudio Corrivetti, con gli oltre duecento scatti che lo compongono presenta immagini che, pur prive di didascalie con riferimenti a luoghi, a tempi o a persone, raccontano ugualmente, e con forza, la vita di una comunità nel suo ambiente nel secolo scorso. «Sono partita dal presupposto dell’importanza di conoscere un territorio per capire il nostro presente e verso quale direzione stiamo andando», spiega Claudia Marini. «Ho perciò voluto creare un libro – continua – che rappresentasse con immagini (le foto) e parole (i brevi racconti) uno spaccato di vita alpina in cui fosse cancellato qualsiasi riferimento alla Val di Peio, territorio da cui provengono le fotografie. Facendo scomparire specifiche connotazioni territoriali ne viene così dato un significato universale, in cui chiunque può riconoscersi. Le immagini (mi piace considerarle una famiglia di foto nate da una comunità) seguono un loro racconto interno che inizia con delle vedute di alte montagne innevate che, dopo poche pagine, iniziano a popolarsi di persone viste in lontananza mentre le salgono e fanno escursioni. Poi il paesaggio cede il posto a paesi coperti di neve che gradualmente si dirada per l’arrivo della primavera e dell’estate in una serie di fotografie, scattate nuovamente in montagna, che ritraggono bambini e famiglie. La montagna viene infine anche presentata come luogo di lavoro, senza però essere mai dominata dall’uomo».
Claudia Marini, fotografa e artista originaria per parte di padre della Val di Sole, trascorreva dalla nonna, a Peio, le sue estati e i fine settimana ma, nonostante si sia trasferita anni fa fuori regione, ha sempre mantenuto uno stretto legame con quel territorio. Nel 2013, dopo aver pubblicato il libro «Ritratto di mio padre», una galleria di volti della gente di Peio, interessata a fare un lavoro sulla montagna, inanellando relazioni con gli abitanti di quella comunità alpina e assecondando la sua passione per la fotografia vernacolare, ha fondato l’Archivio Fotografico di Comunità – Peio («Alpecedario» può esserne considerato una costola) per costruire, conservare e tramandare una memoria collettiva di quei luoghi attraverso le fotografie, narrazioni di storie di vita individuali e familiari.
«Un Archivio Fotografico di Comunità – prosegue Claudia Marini – è un contenuto visivo insostituibile per la storia di un territorio. Le fotografie di famiglia sono documenti preziosi di memoria visiva, poiché testimonianze dirette di precisi momenti del singolo individuo nella storia, cioè fonti per una storiografia “inconsapevole”, che aiutano a comprendere e rileggere il passato di una comunità e di un territorio da una prospettiva quotidiana, attraverso il paradigma della famiglia». E, a sottolineare il forte impatto che questa iniziativa ha avuto nella comunità, dice: «In questi tre anni abbiamo raccolto circa seimila fotografie donate da più di cento famiglie della Valle. Mi sono sorpresa nel vedere che sono generalmente di qualità piuttosto alta, con inquadrature non sempre scontate, caratteristica che manca in molti archivi che vengono dal basso. Ogni foto ci viene raccontata da chi ci consegna questi documenti familiari perché noi che le raccogliamo possiamo capire cosa rappresentano. A volte ci vengono portati album di antenati che sono stati ricevuti in eredità, per cui è necessario andare a caccia di informazioni per far parlare le immagini». Si tratta di scatti che, spesso privi di pretese artistiche, possiedono però un forte potenziale nel restituirci la verità di un mondo ormai lontano, rivelato da visi sorridenti, a volte imbarazzati, e da atteggiamenti ingenuamente goffi davanti all’obiettivo. I vari fotografi, quasi tutti senza nome, hanno voluto fermare un istante, il frammento di una storia che, negli album fotografici, da individuale si allarga ad abbracciare una comunità. Viene così valorizzata quell’immediata semplicità che, per la valanga di immagini da cui quotidianamente siamo sommersi, oggi abbiamo perso di vista insieme alla genuinità dei rapporti interpersonali e sociali. Come sottolinea la fotografa e ricercatrice Romina Zanon nel suo saggio a conclusione dell’opera, «Gli sguardi privati che hanno generato i singoli fondi familiari dell’Archivio di Peio, se accostati gli uni agli altri in un dialogo di reciproche consonanze, generano un caleidoscopio di microstorie che apre degli scorci sul passato di una comunità montana qualificandosi come patrimonio culturale di inestimabile valore».
Il lavoro d’archivio condotto da Claudia Marini e dall’équipe che collabora con lei (sono quasi tutti volontari), si sta avvalendo del sostegno di diverse realtà, in primis dell’associazione 10×12, del Comune di Peio e di Cogolo che, in una sala di palazzo Migazzi, ha dato una sede all’Archivio. Ma sono i finanziamenti, come quelli ricevuti da parte della Fondazione Caritro, che permettono di dare continuità a questo progetto in fieri, la cui importanza è sempre più riconosciuta anche in ambienti scientifici, come attestano le diverse e importanti collaborazioni dell’Archivio con Enti esterni. Recentemente, ad esempio, il Parco Nazionale dello Stelvio si è servito di alcune immagini per la cartellonistica che accompagna il percorso dei ghiacciai della zona e «la Commissione glaciologica della Sat trentina – aggiunge con orgoglio Claudia Marini – utilizzerà alcune immagini dell’Archivio Fotografico di Comunità – Peio per la realizzazione di un volume sullo stato dei ghiacciai trentini nel tempo. Inoltre, anche il Museo Civico di Rovereto e la Sovrintendenza di Trento ci hanno avvicinati ed è nata una collaborazione con ambedue gli enti». Un impegno ad ampio raggio che supera lo stretto ambito locale e mette in rete un’intera comunità.