la storia

sabato 27 Gennaio, 2024

Dal saio francescano all’arte sacra. Fabio Nones ha lasciato i voti per l’iconografia: «Ora dipingo a Roma»

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Dopo cinque anni nel seminario diocesano la vocazione si sfarinò. Oggi, 63 anni, ha tre figli e insegna religione nelle scuole alternata alla pittura su tavola

La prima icona «degna di esposizione» fu una pala d’altare, in stile russo, con i tre martiri d’Anaunia per la basilica di Sanzeno. Correva l’anno 1990 e Fabio Nones (1961) si era invaghito delle icone bizantine. Ve lo aveva avviato l’amicizia con padre Nilo (Ezio) Cadonna (1924-1997), figura di spicco nel dialogo interreligioso, tra cattolicesimo e ortodossia. Fondatore di «Russia Cristiana» assieme a padre Romano Scalfi (1923-2016) di Tione, Nilo Cadonna fondò a Trento (1987) il centro di iconografia «Andreij Rublev».
Cominciò lì l’iniziazione alla pittura su tavola di Fabio Nones, oggi considerato uno dei più importanti pittori di iconografia sacra che operano in Trentino. «Tutto il mio interesse verso le icone lo devo a lui. Perché me le ha fatte conoscere, ha visto che avevo qualche talento e mi ha spronato ad applicarmi in questa direzione».
Origini a Sover, in val di Cembra, villaggio di appena 500 anime, aggrappato alle ripide pendici del monte Vernera, ultimo di sei figli. Il papà Angelo autista di camion, la mamma, Gemma, occupata tra la famiglia e la bottega del paese. Proprio quella che ha abbassato le saracinesche a fine anno 2023. Scuole elementari in paese, «poi la mamma mi disse che in seminario, dai preti, avrei imparato a fare del bene. E devo dire che mi è piaciuto».
Alla fine del liceo classico all’Arcivescovile, la cotta per una compagna di classe «dai bei capelli lunghi». Ma fu il Poverello di Assisi a convincerlo a lasciare il seminario diocesano. Infatti, non aveva mai manifestato il proprio interessamento alla fanciulla forse perché si era innamorato di S. Francesco. «Proprio così. E passai con tonaca e bagagli dai frati cappuccini». Prese i voti minori, frequentò la teologia «da frate» nel seminario diocesano ma dopo cinque anni anche quella vocazione si sfarinò.
Non che avesse perduto la fede, «ma volevo seguire fino in fondo l’ideale di S. Francesco». Ha fatto la naja a Merano e nel 1988 si è sposato con Annamaria.
Uno dei figli, Ismaele, ha 31 anni, vive a Torino ed è un artista affermato. «Ismaele vuol dire: “Dio ascolta”. Mi piacciono i nomi della Bibbia». Alla figlia ha imposto il nome Maddalena mentre il più piccolo, adottato nel Duemila a Mumbai, in India, aveva già un proprio nome: Ankur, che significa «germoglio».
Tra i germogli figura anche un Baccalaureato in teologia che, dopo una interruzione negli studi, Fabio Nones ha ottenuto nel 1988 e lo ha abilitato all’insegnamento della religione nelle scuole.
«Insegno religione in modo tradizionale perché sono convinto che i bambini devono conoscere la religione cristiana cattolica». Perché? «Perché ha spezzato la storia in due tronconi e ha influito in maniera fondamentale sulla storia, la cultura, l’arte e la musica del popolo italiano».
D’accordo, ma non è la sola. «Ad ogni modo bisogna conoscerla a prescindere dalle scelte che si faranno poi nella vita». E le altre religioni? «Bisogna insegnarle per conoscerle ma, qui da noi, non hanno avuto lo stesso influsso della religione cattolica».
In questi giorni si celebra la settimana per l’unità dei cristiani. Allora non serve? «L’unità dei cristiani consiste nel ritorno alla religione cattolica delle altre fedi cristiane. Ma sì, se vuoi scriverlo scrivilo pure: sono cattolico tradizionale». Che è piuttosto singolare detto da chi ha orientato la propria arte a Oriente, alla scuola dell’iconografia bizantina.
Fabio Nones alterna la pittura su tavola con l’insegnamento della religione in una scuola primaria. Quest’anno è stato costretto a fare il pendolare fra San Donà, dove vive con la famiglia, e Ronchi Valsugana. «A scuola mi trovo bene, racconta, meglio in una scuola di paese che in città». Perché i bambini sono uguali al centro come in periferia, i problemi, semmai, li creano alcuni genitori.
Torniamo all’artista. Nello studio-bottega di vicolo Dallapiccola a Trento, Fabio Nones sfoglia l’album delle grandi opere realizzate per chiese e istituzioni religiose in Trentino, a Bolzano e in altre città italiane. Ha lavorato a Gomel, in Bielorussia, e a Gulu in Uganda. Ha tenuto corsi di iconografia a Monselice, nel padovano, a Trento e a Roma. Ha portato la sua arte e insegnato la sua tecnica pure all’università artistica cattolica di Incheon, nella Corea del Sud.
In questi giorni il maestro di iconografia con radici a Sover è impegnato nella pittura di una grande opera, la «Salus populi romani», la copia di un’icona del primo secolo, attribuita a S. Luca evangelista. Si trova nella cappella paolina della Basilica di S. Maria Maggiore a Roma e della quale è molto devoto papa Francesco. Al punto che il romano pontefice ha già disposto la sua sepoltura proprio sotto quell’icona.
Fabio Nones, lei ha molto lavoro? «Quello che mi basta per andare avanti».
In fondo molto francescano anche in questo.